BUZZACARINI, Ludovico (Lodovico Ongaro; Alvise)
Nacque, probabilmente a Padova, nella seconda metà del sec. XIV - forse verso il 1360 - da Arcoano e dalla faentina Nobilia Manfredi.
Sposatosi due volte, con Lodovica Sanguinazzi e con Angela da Castelnuovo, ebbe due figli, Alvise e Francesco; quest'ultimo, che restò coinvolto nella tragica fine del padre, s'imparentò col condottiero carrarese Bartolomeo Cermisone, sposandone la nipote Caterina, figlia del celebre medico Antonio.
Ultimo dei fratelli, si indirizzò inizialmente - seguendo le tradizioni culturali della famiglia - agli studi giuridici; nel settembre 1379 compare tra gli studenti in diritto civile dell'università di Padova. Nel settembre 1389 aveva già il titolo di "licenziato", ma non sembra che abbia proseguito gli studi sino alla laurea.
La notizia data dal Gloria, secondo cui il B. comparirebbe nel 1397 come testimone ad un esame di laurea a Padova col titolo di dottore - per il Gloria titolo di cortesia -, sembra derivare dalla confusione con un omonimo e contemporaneo canonico patavino dottore in legge, che il Gloria ha distinto dal B., ma talora attribuendo all'uno notizie relative all'altro. Comunque in tutti gli atti universitari successivi, sino alla vigilia della morte, il B. ha l'attributo di "licentiatus in iure civili" o "in iure canonico", sicché sembra da respingersi anche l'affermazione del Pagnin secondo cui il B. avrebbe conseguito il dottorato durante il soggiorno che aveva fatto a Firenze nel 1389.
Legato, come il padre e i fratelli, ai Carraresi con cui era strettamente imparentato (sua zia Fina era moglie di Francesco il Vecchio), ebbe anchegli a subire le conseguenze della loro disfatta del 21 nov. 1388; l'anno seguente il B. era infatti esule a Firenze, dove forse aveva seguito Francesco Novello da Carrara, giuntovi alla fine di aprile dopo l'avventurosa fuga da Asti.
A Firenze il B., come altri fuorusciti padovani, filocarraresi, fu tra i membri della brigata letteraria che si riuniva nel "Paradiso" degli Alberti; in essa era stato forse introdotto dai conti Carlo e Simone Poppi, della famiglia dei conti Guidi, con cui era imparentato attraverso sua sorella Margherita, che nel 1381aveva sposato Roberto Novello di Carlo Poppi. Nel "Paradiso" degli Alberti il B. si legò d'amicizia principalmente con P. P. Vergerio, che poi rivide a Padova quando quest'ultimo andò ad insegnarvi, dal 1390 al 1397e dal 1400 al 1405. Anche negli anni successivi, pur occupato interamente dall'attività militare, il B. non trascurò di mantenere i contatti col mondo della cultura: nel 1412 prendeva in prestito dal Vergerio un codice di Terenzio; nel 1414 SiccoPolenton ancora lo diceva "vir... litteratissimus"; Antonio Baratella gli inviò numerosi carmi latini, confidando nel suo mecenatismo. Della corrispondenza del B. con quest'ultimo ci resta una lettera in latino (unico scritto edito del B., fu pubblicato da A. Segarizzi, A. Baratella, pp. 151 s.), dallo stile in verità piuttosto goffo e impacciato.
Non sembra che nel 1390 il B. fosse tra i membri della sua famiglia (il padre Arcoano e i fratelli Pataro e Francesco) che Gian Galeazzo Visconti esiliò da Padova per aver partecipato alla congiura in favore di Francesco Novello scoperta il 10 giugno; tuttavia il suo nome figura nella Cronaca carrarese dei Gatari tra quelli dei Padovani che, confinati a Milano ed imprigionati dal Visconti, tornarono in patria nel marzo 1392, dopo che la pace stipulata dal conte di Virtù il 28 gennaio con Firenze, Bologna, Mantova e il duca di Baviera aveva restaurato a Padova il dominio carrarese.
Poco sappiamo dell'attività del B. negli anni tra il 1392 e il 1402; nell'agosto 1394Francesco Novello lo faceva suo procuratore nello Studio padovano, e dalla corrispondenza del B. col Vergerio, iniziata probabilmente nel 1396, appare che egli in quel periodo si dedicò a una vita tranquilla di studi storici e letterari. Tra il luglio e l'agosto 1396 ilB. era forse in qualche suo possedimento di campagna, dato che allora il Vergerio gli scrisse tre lettere da Padova: la prima (9 luglio) per lodarne la studiosa passione verso i secoli passati e per fare un elogio della storia; la seconda (23luglio), per schermirsi dalle lodi dell'amico e per discutere sui rapporti tra amicizia, virtù, dottrina e disparità di condizione sociale, concludendo che quest'ultima è livellata dall'amicizia; la terza (17agosto) in cui espone al B., che evidentemente aveva manifestato l'intenzione di dedicarsi all'oratoria, i principi basilari dell'eloquenza. Anche negli anni seguenti il Vergerio, assente da Padova, mantenne i rapporti col B.: in una lettera da Roma ad Ognibene della Scola (5 febbr. 1398) lopregava di salutargli il comune amico e i congiunti, ed è probabile che al B. il Vergerio avesse intenzione di indirizzare la lunga lettera lasciata incompiuta, quasi una piccola guida ai monumenti romani, risalente probabilmente anch'essa al febbraio 1398(Epistolario, pp. 211-220).
Ma nel 1402, l'anno che allora sembrò destinato a segnare il trionfo definitivo di Gian Galeazzo Visconti, la vita del B. - sino ad allora apparentemente indirizzata agli studi e agli ozi letterari - ebbe una brusca svolta, indirizzandosi ormai decisamente alla carriera delle armi. Nell'esercito che i Carraresi, alleatisi a Firenze e a Giovanni Bentivoglio nella guerra antiviscontea, inviarono nel maggio del 1402 in difesa di Bologna, egli ricopriva un incarico di notevole importanza: era infatti uno dei quattro consiglieri affiancati da Francesco Novello ai figli Francesco III e Iacopo perché li coadiuvassero nel comando. Il 26 giugno, nella rotta di Casalecchio, fu fatto prigioniero insieme con i principi carraresi, e poté tornare in patria solo dopo aver versato un riscatto di ben 1.500 ducati. Intanto la morte di Gian Galeazzo, (3 settembre) poneva fine alla guerra; ma meno di due anni dopo, fallite le trattative tra il Carrara e la duchessa vedova Caterina Visconti, le ostilità ripresero, e Francesco Novello impartì al figlio Francesco III e al B. l'ordine di assediare Vicenza. I Padovani, giunti sotto le mura della città il 22 apr. 1404, già il giorno seguente respingevano vittoriosamente una sortita vicentina a porta Pusterla; ma la situazione precipitò per la decisione dei Vicentini di porsi sotto il dominio della Serenissima piuttosto che sotto quello dei Carraresi e per la conseguente guerra tra Padova e Venezia. Nell'agosto di quell'anno il B. era tra gli strenui difensori del "serraglio", della linea fortificata, cioè, che Francesco Novello aveva innalzato davanti a Gorgo (presso Oderzo); fatto prigioniero durante una sortita, poté riscattarsi e tornare da Venezia solo verso il novembre. Dopo aver avvertito Francesco Novello degli ultimi preparativi militari dei Veneziani, il B. rientrò nei ranghi dell'esercito, prendendo parte come provveditore alle munizioni al tentativo di espugnare il campo veneziano presso Camponogara, avvenuto alla fine di dicembre e fallito per il rifiuto di Manfredo da Barbiano a parteciparvi.
Alla fine del 1405 Francesco Novello pensò di sfruttare la cultura e le capacità diplomatiche del B. inviandolo come oratore a Sigismondo re d'Ungheria in un estremo tentativo di ottenere soccorso contro Venezia: ma la Signoria carrarese ormai agonizzava e il 22 novembre, mentre forse il B. era ancora alla corte ungherese, Padova cadeva definitivamente sotto il dominio veneziano.
Pur restando intimamente fedele alla memoria dei Carraresi, il B., ormai volto alla carriera militare, si mise ben presto al servizio di Venezia. Nei primi mesi del 1408 era a Padova, dove offriva una pianeta e un calice al convento di S. Agostino in suffragio del fratello Francesco, morto il 2 marzo; ma in quell'anno stesso ottenne dalla Serenissima un comando militare (probabilmente come provveditore, o comandante subalterno) in Dalmazia.
A quanto concordemente affermano i suoi biografi, il B. avrebbe, nel 1409, conquistato Sebenico, ma l'episodio ha alcuni punti oscuri: in seguito al trattato del 9 luglio 1409, Ladislao, re di Napoli, cedette a Venezia, per centomila ducati, tutti i suoi possedimenti dalmati, ma per l'opposizione di Sigismondo d'Ungheria l'occupazione veneziana fu completata solo nel 1412; e Sebenico si consegnò a Venezia, per dedizione, il 30 ottobre di quell'anno. È probabile che la temporanea occupazione diretta dal B., seppur avvenne realmente, sia stata pacifica, in forza del trattato del 1409, e puramente dimostrativa.
Nel 1410 il B. militava nell'esercito armato da Venezia per scongiurare l'invasione del Friuli da parte delle truppe ungheresi di Pippo Spano, inviate da Sigismondo d'Ungheria (imperatore dal 30 settembre di quell'anno) per suggestione di Marsilio da Carrara e di Brunoro Della Scala e per vendicare l'occupazione della Dalmazia. Nel 1412 il B. era ancora in Friuli come provveditore di campo; nel maggio fu poi inviato in Istria per difendere la regione da cinquecento cavalieri ungheresi che vi erano penetrati unendosi ai difensori di Buie, assediata dai Veneziani. Buie cadde intorno alla fine di luglio; quivi il 2 settembre il B. ebbe notizia della morte improvvisa di due sue nipoti e della malattia della moglie e di altri familiari e, ottenuta licenza dalla Signoria, lasciò il suo comando e tornò in patria.
Pur tra le cure politiche e militari il B. intrattenne, almeno fino a quest'anno, l'affettuosa consuetudine d'amicizia col Vergerio: del 9 luglio 1412 è una lettera di quest'ultimo per chiedergli spiritosamente la restituzione di un codice di Terenzio che avrebbe potuto restar danneggiato o andar distrutto nei tumulti della guerra. Appare probabile che il B. avesse approfittato della sua missione istriana per far visita al Vergerio a Capodistria prima che iniziassero le operazioni militari. È questa l'ultima lettera sicuramente inviatagli dal Vergerio; la famosa lettera al B. da Costanza (27 ottobre 0 26 nov. 1417), in morte dello Zabarella, in alcuni codici porta infatti, come destinatario, il nome di Leonardo Bruni.
Nel 1413 il B. fu nominato dalla Serenissima provveditore di Treviso, ma negli anni successivi sembra che risiedesse in Padova: il 16 settembre e il 25 ott. 1414 vi figura come testimone ad esami di dottorato in diritto canonico e civile; Sicco Polenton, in una lettera del 28 ottobre a Niccolò Niccoli, dice il B. "vir utique clarissimus, litteratissimus, ditissimus", in concorrenza con Enrico e Pietro degli Scrovegni per far erigere a proprie spese in Padova un monumento a Tito Livio; il 5 sett. 1417, il 7 e il 23 febbraio e il 2 marzo 1418 il B. è ancora una volta testimone a esami di dottorato e licenza. In seguito riprese certamente a servire Venezia: nel 1418, quando Venezia riaprì le ostilità contro Sigismondo iniziando la conquista del Friuli, il B., insieme con Filippo Arcelli e Simone di Canossa, era tra i capi dell'esercito veneziano, sotto gli ordini di Pandolfo Malatesta, capitano generale della Repubblica. Con Delfino Venier e Filippo Arcelli il B. assicurò la sottomissione di Artico, signore di Porcia e Brugnera: il 25 ott. 1418 Artico prestò al doge giuramento di fedeltà, presentandogli lettere del B. e degli altri comandanti che attestavano la sua lealtà. Non sembra che il B. abbia partecipato alla campagna friulana sino alla sua conclusione del 1420 è probabile anzi che alla fine del 1418 ritornasse definitivamente a Padova.
Infatti il 12, il 22 e il 23 dic. 1418 e il 22 febbr. 1419 egli è nuovamente testimone ad esami di licenza e di dottorato, e in seguito di lui si hanno notizie rare e di scarsa rilevanza, come se si fosse ritirato a vita privata. Nel 1428, scoppiata la peste, si rifugiò a San Daniele in Monte presso Abano, sui Colli Euganei; avuta notizia di una miracolosa apparizione della Vergine in una grotta del vicino monte Ortone, vi fece erigere, insieme con altri nobili padovani, un oratorio che fu la prima base del grande santuario e convento agostiniano. Nel 1434 era a Padova, ove il 20 maggio assisteva ancora una volta a un esame di dottorato.
Ricchissimo, glorioso per il suo passato militare e, secondo il contemporaneo Iacopo Zeno, tanto onorato "ut Patavinorum civium principatum concessione omnium obtineret", il B., ormai vecchio, fu condotto alla rovina e alla morte dalla nostalgia per il dominio carrarese e per l'indipendenza padovana. Scopertasi nel 1435 la congiura ordita da Marsilio da Carrara per impadronirsi di Padova, il B e il figlio Francesco furono segretamente arrestati e rinchiusi nella rocca la sera medesima del giorno in cui il Carrarese era stato giustiziato (24 marzo); all'alba del 29, per ordine della Signoria veneziana, entrambi furono decapitati.
Il grande prestigio di cui godeva a Padova il B. è dimostrato dalle precauzioni prese dai Veneziani per la sua esecuzione, narrare dallo Zeno: tutte le porte tra i quartieri furono chiuse, la città fu presidiata da armati, il B. e poi il figlio furono condotti al luogo del supplizio per i bastioni delle mura e non per le strade. L'altro figlio del B., Alvise, ancora adolescente, fu relegato dal Senato a Creta; i beni del B. furono confiscati, come appare da un atto della Signoria veneta (13 maggio 1440) in cui alcuni possedimenti nel Padovano già appartenenti al B. sono concessi per benemerenze ad Angelo Simonetta, cancelliere di Francesco Sforza. Il B. è rappresentato, vestito di corazza e con in mano il bastone di comando, in una statua di Pietro Danieletti, erettagli nel 1778 dai suoi discendenti, e tuttora esistente a Padova nel Prato della Valle, dove sono raccolte le immagini dei cittadini più illustri.
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