LUCREZIA de' Medici, duchessa di Ferrara
Nacque a Firenze il 14 febbr. 1544, quintogenita di Cosimo I de' Medici, duca di Firenze, e di Eleonora, figlia di don Pedro de Toledo, duca d'Alba e viceré di Napoli. Nel 1558 sposò Alfonso d'Este, figlio del duca di Ferrara Ercole II e di Renata, figlia di Luigi XII re di Francia. Il matrimonio fu parte integrante del trattato di pace stipulato in quell'anno fra Ercole II e il re di Spagna Filippo II.
Il duca di Ferrara, data la natura composita dei suoi feudi, aveva tentato di mantenersi equidistante tra Francia, Impero e Papato. Ma il giovane Alfonso, influenzato dalla madre, aveva rotto l'equilibrio già nel 1552 recandosi in Francia a combattere a fianco del cugino, re Enrico II, contro l'imperatore Carlo V. La politica filofrancese degli Este divenne ancora più evidente quando Ercole II divenne capitano generale della Lega antispagnola promossa nel 1557 da papa Paolo IV (Gian Pietro Carafa), in nome della libertà d'Italia, e alla quale partecipava la Francia.
Cosimo de' Medici si schierò con la Spagna, che invase lo Stato pontificio costringendo il papa a sottoscrivere a Cavi, il 14 sett. 1557, un trattato di pace dal quale Filippo II volle escludere il duca di Ferrara. Cosimo, sia per ritrovare l'amicizia di Ferrara (turbata anche da una gara di precedenze), sia per costituire un piccolo contrappeso allo strapotere della Spagna in Italia, intervenne a favore di Ercole II. Seppe convincere Filippo II a porre fine a una "guerricciola poco vantaggiosa" e molto costosa - dal momento che ben altri problemi incombevano, come la minaccia che i Turchi stavano portando a tutta la Cristianità - e a sottoscrivere un trattato con Ferrara a Pisa il 18 marzo 1558.
Già nel gennaio del 1557 gli ambasciatori di Ferrara a Firenze avevano offerto al Medici di consolidare la rinnovata amicizia con il matrimonio fra Alfonso e la primogenita medicea, Maria, che però morì il 19 nov. 1557. L'evento non annullò le trattative matrimoniali, alle quali Ercole più che dal desiderio di imparentarsi con i Medici - che peraltro proponevano una dote inferiore a quelle che era solita avere il casato - era spinto dall'obiettivo di ritrovare, per mezzo di Cosimo, la "gratia della maestà del re Catolico". Così l'attenzione si spostò su L., anche se Alfonso mirava a sposare, come gli era stato proposto, Margherita di Valois, sorella di Enrico II, o la figlia di lui, Isabella. La corte di Francia non guardava con simpatia al parentado con i Medici, non ritenuti degni degli Estensi, e la sorella di Alfonso, Anna, moglie del duca Francesco di Guisa, affermava che L. era "guerza e brutta da fare una bruttissima razza" (Chiappini, p. 280). Fino alla cerimonia dell'anello nessuno degli inviati ferraresi era riuscito a vedere L. direttamente, ma le voci che raccoglievano la dicevano bella, anche se "tenera assai" e piuttosto magra, mentre la madre diceva che era "brutta di viso" e aveva la "vista scura".
L. era ancora una bambina e, pur essendo entrata nei 14 anni, "non havea anchora le sue purgationi", per cui la madre desiderava che il promesso sposo attendesse a consumare il matrimonio e la lasciasse ancora due anni presso i suoi a Firenze. Il 13 apr. 1558 fu rogato l'atto nuziale, che prevedeva una dote di 200.000 scudi d'oro, e l'11 maggio l'oratore ferrarese, Alessandro Fiaschi, diede l'anello alla giovane, che finalmente poté essere vista di persona e apparire tale che il duca e lo sposo ne potessero essere contenti: "la mano ch'io sposai è bella et grande", il resto era solo una promessa perché la principessa era una bambina che ancora non aveva raggiunto la pubertà. D'animo era "cortese, amorevole, virtuosa et di buon ingegno" e "constante".
Alfonso fece il suo ingresso a Firenze il 18 giugno 1558 e gli ambasciatori si affrettarono a rassicurare il duca Ercole che il principe era infinitamente contento della sposa, ma non esiste lettera in cui egli lo manifesti personalmente. Il 3 luglio il vescovo di Cortona, Giovanbattista di Simone Ricasoli, celebrò la "messa del congiunto" nella cappella del Palazzo ducale.
Fiaschi fornì relazione non solo sui sontuosi festeggiamenti che seguirono, ma anche, molto indiscretamente - come era rituale - sulla prima notte di nozze, durante la quale il principe, in procinto di "dar lo assalto alla Rocca", fu interrotto da un inviato della suocera che lo pregava di desistere. Alfonso ringraziò ma si rimise, con successo, "a far il comandamento della Santa Matre Chiesa".
Una delle condizioni non scritte del parentado era che Alfonso, appena celebrate le nozze, potesse ripartire per la Francia, anche per tentare di riscuotere crediti che ammontavano a 300.000 ducati. Gli oratori ferraresi misero in atto tutta la loro abilità per spiegare a Cosimo che la decisione di Alfonso non era gradita al padre, che anzi lo aveva esortato a non partire e a godersi lo Stato e la moglie, lasciando "andar alla guerra chi ha bisogno di guadagnarsi il pane con la spada". In realtà di quell'andata in Francia Ercole ebbe a servirsi in modo ricattatorio, come quando chiese a Cosimo di protestare vigorosamente con la Spagna, che, nonostante i trattati di pace, muoveva truppe dal Piemonte, altrimenti, "se il principe va in Francia con questa mala satisfattione, che facil cosa saria che si lasciasse persuadere dal Re et suoi parenti di guastare questo parentato" (Arch. di Stato di Modena, Ambasciatori, Firenze, b. 20, lettera di A. Fiaschi al duca Ercole II d'Este, 16 giugno 1558).
La partenza, a dire il vero, data la tenera età di L., non dispiaceva neanche ai Medici - soprattutto alla duchessa - che ottennero di poterla tenere presso di loro. Così Alfonso partì tre giorni dopo le nozze, lasciando a Firenze, per averne puntuali resoconti e per servire in tutto la sposa, Francesco Susena. L. viveva nell'attesa di lettere del marito, che erano così rare che Susena il 18 luglio si sentì in dovere di dare ad Alfonso il seguente consiglio: "bisogna che impariate di far un poco d'amore, almeno in scritto, se non lo volete fare con effetto", poiché "l'amicitia non che l'amor si conserva grandissima sol per la conversatione" (in Saltini, p. 79).
L. mangiava pochissimo, parlava meno e rideva raramente, si comportava così "saviamente" da sembrare "una donna grave", andava a messa tutte le mattine e faceva recitare innumerevoli orazioni per garantire un felice viaggio allo sposo. Con la sorella Isabella vivevano ritirate in "poche stanze" in fondo al quartiere della madre, dalle quali non potevano uscire senza il suo permesso. L'atmosfera di corte era chiusa e seria, come lamenta Susena: "in queste bande poco piacere v'è alla corte, perché con le dame non bisogna scherzare, et queste signore non si vedono mai, se non quando cavalcano, et allora anco poca conversatione si può havere con loro" (ibid., p. 86). L'opinione del residente ferrarese era che L. non vedesse l'ora che il marito la conducesse a Ferrara, "bande molto più piacevoli et di maggior libertà che non son queste". Anche il Fiaschi scriveva a Ercole il 27 marzo 1559 che L. "desidera uscir di mano dalla matre, parendole troppo lunga et aspra la prigionia in che si truova; non si facendo diferenza dal vivere di lei di hora, a quello che faceva nanti fosse maritata" (ibid.).
Anche il duca Cosimo cominciò a manifestare disappunto per l'irregolare situazione della figlia, che intanto era cresciuta "et in bellezza et in grandezza", ma Alfonso rinviava continuamente la data del ritorno. Fu la morte del padre, il 3 ott. 1559, a costringere Alfonso II a rientrare a Ferrara, dove prese possesso del Ducato il 26 novembre. La sposa lo raggiunse, accolta trionfalmente con profusione di sfarzosi apparati e folle acclamanti, il 17 febbr. 1560. Ma la sua alla corte di Ferrara fu solo un'apparizione fugace e infelice: il marito era quasi sempre lontano e poca simpatia le manifestarono le sorelle di lui, Eleonora e Lucrezia, da tutti ammirate per la bellezza e la cultura.
L. morì a Ferrara il 21 apr. 1561, dopo due mesi di malattia, durante i quali, come si legge nelle relazioni del medico di corte che Cosimo aveva inviato da Firenze, il marito aveva vegliato su di lei notti intere. Fu sepolta nella chiesa delle monache del Corpus Domini.
Alfonso incaricò il vescovo di Comacchio, Alfonso Rossetti, di presentare le condoglianze al suocero per la perdita di una principessa così colma di virtù, di cui "godeva allegramente la cittade, i suoi e tutto il stato". Cosimo rassicurò il genero che l'amicizia fra le due casate si sarebbe conservata con immutato vincolo, ma non molto tempo dopo le mal sopite gare di precedenza fra le due corti si rinnovarono.
L. non aveva avuto figli, così come non dettero figli ad Alfonso le altre due mogli, Barbara d'Austria e Margherita Gonzaga, motivo per cui gli Estensi persero Ferrara: la bolla di Pio V del 23 maggio 1567, infatti, proibiva l'investitura di feudi ecclesiastici a discendenze "impure".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Modena, Carteggio ambasciatori, Firenze, bb. 19-21, 24; Casa e Stato, Carteggi tra principi Estensi, bb. 80, 83, 167; Documenti spettanti a principi Estensi, bb. 330, 402; Cancelleria marchionale e ducale, Estero, Italia, Firenze, b. 1153; G.B. Pigna, Oratio in funere Lucretiae, in F. Sansovino, Delle orazioni volgarmente scritte da molti huomini illustri, I, Venezia 1561; B. Varchi, Nella morte della duchessa di Ferrara, ibid., II, ibid. 1562, pp. 40-45; L.A. Saltini, Tragedie medicee domestiche, Firenze 1898, pp. 61-111; A. Lazzari, Le ultime tre duchesse di Ferrara, Firenze 1913, pp. 1-47; L. Chiappini, Gli Estensi, Varese 1967, pp. 279-284.