PIETROMARCHI, Luca
– Nacque a Roma l’8 marzo 1895 da Bartolomeo dei conti Pietromarchi, famiglia vicina alla Curia romana, e da Maria Zuppelli. Partecipò alla prima guerra mondiale e svolse servizio in Eritrea come vice-commissario della regione del Bárca. Un anno dopo conseguì la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Roma e nel 1923, in seguito al concorso per la carriera diplomatica in cui risultò primo, fu nominato addetto di legazione e destinato al ministero. Nominato vice-segretario di legazione nel luglio del 1925, fu in servizio a Ginevra presso la Società delle Nazioni come segretario di gabinetto del vice-segretario generale Bernardo Attolico, che era sposato con la sorella di Pietromarchi, Eleonora. Rientrato a Roma nel 1929, nel ruolo di primo segretario di legazione di II classe fu destinato alla Direzione generale affari politici e commerciali di Europa, Levante e Africa, dove andò a dirigere l’Ufficio III-A (Albania). Nel 1931 sposò la padovana Emma Micaela Zuccari, dalla quale ebbe due figli, Antonello (nato nel 1932) e Francesca Romana (nata nel 1939). Già a capo del Servizio istituti internazionali dal 1930, nel 1933 fu segnalato da Alfredo Rocco a Fulvio Suvich per rappresentare l’Italia presso l’Istituto internazionale di cooperazione intellettuale, per le sue «molte conoscenze e […] larghe simpatie nel mondo internazionale» (Ministero degli Affari, Esteri, Archivio storico diplomatico, Personale, Serie I, B 18, b. 145, f. 277: A. Rocco a Suvich il 9 ottobre 1933), incarico che gli venne conferito nel dicembre dello stesso anno. Dopo aver partecipato alla Conferenza di Stresa nell’aprile del 1935, nell’agosto del 1936 fu nominato vice-direttore generale degli Affari Generali per poi, a fine anno, essere posto sin dalla sua istituzione a capo dell’Ufficio Spagna (Gabus). In seno alla rinnovata struttura organizzativa del ministero per gli Affari esteri della gestione Ciano, in cui – come hanno messo in evidenza i principali studi sul tema (Pastorelli 1989; Grassi Orsini 1996) – il gabinetto del ministro divenne il 'cuore' dell’amministrazione centrale, Pietromarchi fu una delle personalità in vista, e non c’è dubbio che questa costituì l’esperienza più importante della sua carriera: il forte accentramento della macchina ministeriale faceva sì che le pratiche di maggiore rilevanza politica passassero nelle mani di un ristretto entourage di funzionari. Nel 1936 era stato promosso consigliere di legazione e poi ministro plenipotenziario di 1a classe, per passare al grado superiore nel 1940. Nel 1939 aveva assunto la guida dell’Ufficio guerra economica, quando fu autore di un dettagliato rapporto a Mussolini in cui illustrava gli effetti disastrosi che la guerra avrebbe avuto sull'economia italiana (Archivio storico diplomatico, Documenti Diplomatici Italiani, Serie IX (1939-1943), vol. 3, p. 326: Pietromarchi a Mussolini, 11 maggio 1940). In quell'attività riuscì anche a raggiungere un'ipotesi di accordo con la Gran Bretagna per porre fine al blocco economico, cui il duce però non volle dare seguito. Fu poi all’Ufficio armistizio-pace (Gabap), trasformatosi di fatto in Ufficio armistizi e territori occupati, con competenze su Francia, Grecia, Montenegro, Dalmazia, Slovenia, Croazia.
Le pagine del suo diario, cui fece ampio ricorso Renzo De Felice per i suoi studi sul fascismo, permettono di avere una visione interna della crisi progressiva del regime. In qualità di capo del Gabus, Pietromarchi aveva rilevato l’improvvisazione del corpo di spedizione italiano in Spagna, mentre con l’ingresso dell’Italia in guerra registrava il cattivo stato dell’opinione pubblica nel Paese, l’insofferenza progressiva dell’establishment e i timori che «in caso di vittoria l’Europa [sarebbe rimasta] sotto l’egemonia germanica» (Pagine inedite, a cura di P. Soddu, 1997, p. 483). Tra la fine del 1942 e gli inizi del 1943, fu protagonista di alcuni incontri in Vaticano con il cardinale Giavan Battista Montini e poi con Pio XII, dal resoconto dei quali si deduce la preoccupazione non solo per la salvaguardia di Roma e per la possibilità che tutta l’Italia fosse trasformata in un «teatro di guerra», ma anche per gli assetti futuri nazionali e internazionali, condividendo con il pontefice la necessità di costruzione di un ordine mondiale in cui i diritti essenziali, umiliati se non annullati dalla guerra, fossero sottoposti al potere giudiziario (p. 488). Condizionato anche dal clima generale di disfacimento, Pietromarchi nutriva sfiducia nei confronti della rappresentanza politica di tipo classico e del sistema dei partiti ed era scettico sul suffragio universale, portatore di una concezione elitaria in cui le scelte politiche fossero appannaggio di corpi tecnici dotati di capacità e competenza specifiche (pp. 494 s.).
Già da tempo convinto della necessità di un distacco dalla Germania, in qualità di capo del Gabap si impegnò in prima persona per mettere al riparo cittadini italiani ed ebrei dall’operato delle truppe tedesche sui confini orientali (Croazia, Grecia: Documenti Diplomatici Italiani, Serie IX (1939-1943), vol. 10, p. 897). Posto a capo dell’Ufficio studi e documentazioni il 21 aprile 1943, fu a contatto con i vertici militari per la fuoriuscita dal conflitto. Facendo parte di quel gruppo di diplomatici che non seguirono Mussolini a Salò, fu messo sotto accusa dalla Repubblica sociale italiana per aver collaborato all’armistizio, e fu dimissionato d’ufficio dal Ministero il 31 dicembre 1943. Con d.m. 27 novembre 1945 fu collocato a riposo per decisione della Commissione di epurazione, che gli imputava la partecipazione attiva alla vita politica del fascismo. Costretto a emigrare a San Paolo del Brasile, dove entrò in contatto con gli imprenditori Matarazzo, nell’estate del 1947 ricevette comunicazione della revoca del provvedimento di epurazione da parte del Consiglio di Stato e assunse così, nel giugno del 1948, la funzione di delegato aggiunto per la cooperazione europea, lavorando per la gestione del piano Marshall. Nel settembre del 1949 Carlo Sforza lo nominò, con rango di ambasciatore, capo della Delegazione economica per il rinnovo dell’accordo commerciale con il Brasile.
Nel 1950 fu capo-missione ad Ankara e due anni dopo arrivò la nomina ad ambasciatore di ruolo. Accolto molto cordialmente dagli ambienti governativi turchi, interessati a una collaborazione per la sicurezza nel Mediterraneo, Pietromarchi si impegnò per i buoni rapporti tra i due paesi, cercando anche di favorire l’ammissione della Turchia alla Nato. Esiti più controversi ebbe invece la missione a Mosca, dove presentò le credenziali il 2 ottobre 1958.
La nomina di Pietromarchi, vicino alla Democrazia cristiana e in buoni rapporti, oltre che con il Vaticano, con Giovanni Gronchi e Amintore Fanfani, da parte italiana sembrò la più confacente per migliorare le relazioni bilaterali, trattandosi di un funzionario dotato di grande esperienza tecnica, al di sopra di ogni sospetto di filo-comunismo e nello stesso tempo convinto che «la più scrupolosa lealtà all’alleanza [atlantica … potesse] benissimo conciliarsi con una politica di intima amicizia con l’Urss» (I diari, a cura di B. Bagnato, 2002, p. 3). Favorire la distensione costituiva per l’Italia un’occasione di rilancio della propria politica estera, ciò che era in sintonia con la svolta neo-atlantica di Fanfani. Pietromarchi cercò di operare su queste basi, riuscendo a vincere la freddezza sovietica rispetto alle vecchie questioni dei prigionieri italiani in Russia e delle riparazioni di guerra, sulle quali venne raggiunta un’intesa nel 1959. Fu lui a gettare le basi per un miglioramento dei rapporti economici e culturali tra i due paesi, ma la visita di Gronchi in Russia organizzata per i primi di febbraio del 1960 non ebbe gli esiti sperati, perché il presidente venne travolto dalle escandescenze di Nikita Chruščëv soprattutto in merito al problema tedesco. Alcuni tra i maggiori opinionisti italiani di estrazione moderata (Luigi Barzini jr, Alfio Russo, Cesare Zappulli, Ugo D’Andrea, Giovanni Ansaldo) disapprovarono l’azione diplomatica di Pietromarchi, giudicando la visita inopportuna e mal preparata. Secondo l’ambasciatore invece, gli ambienti di centro-destra – lo stesso Giuseppe Pella, ministro degli esteri al seguito di Gronchi, definì la visita «una tragedia» (p. 328) – avevano drammatizzato l’evento per allontanare l’ipotesi di un'apertura a sinistra. Ma Pietromarchi fu sempre cosciente della complessità della sua missione, sulla quale gravavano da una parte i timori russi che una effettiva distensione internazionale avrebbe 'occidentalizzato' il mondo comunista e dall’altra le preoccupazioni degli ambienti di governo italiani che un miglioramento dei rapporti con l’Urss avrebbe favorito il Partito comunista italiano, in costante crescita elettorale. Richiamato 'freddamente' a Roma, fu collocato a riposo nel marzo del 1960 per sopraggiunti limiti di età.
Ottimo e prolifico scrittore, pubblicò numerosi saggi frutto delle sue esperienze (cfr. Materiali per una bibliografia dei funzionari del Ministero degli Affari Esteri, a cura di V. Pellegrini, Roma 1999, pp. 207-210) e un gustoso libro sull’ «arte diplomatica» efficacissimo nel restituire «il fascino dell’ambasciata».
Morì a Roma il 2 luglio 1978.
Opere. Si indicano qui: [pseud. Luca Dei Sabelli], Nazioni e minoranze etniche, Bologna 1929; [pseud. Luca Dei Sabelli], Storia di Abissinia, I-IV, Roma 1935-38; Il mondo sovietico, Milano 1963 (trad. inglese The soviet world, London 1965; New York 1965); Turchia vecchia e nuova, Milano 1965; Usa e Urss: confronto di potenza, I-II, Milano 1971; L’arte diplomatica, ovvero Fascino dell’ambasciata, Milano 1974.
Fonti e Bibl.: Roma, Ministero degli Affari Esteri, Archivio storico diplomatico, Personale, Serie I, B 18: Nominativi, ad nomen, b. 145, f. 277; Ibid., Gabinetto del ministro (1930-1943), Ufficio di coordinamento, bb. 1143, 1152, 1168, 1178; Ibid., Ufficio Spagna, bb. 1207-1208, 1209-1211, 1230, 1244; Ibid., Ufficio Armistizio-Pace, bb. 1466-1521; Ibid., Documenti Diplomatici Italiani, Serie VIII (1935-1939), voll. 1-2, 6, 8; Ibid., Serie IX (1939-1943), voll. 2-5, 7-10; Serie XI (1943-1953), voll. 1-4; G. Ciano, Diario, Milano 1980, pp. 32 e passim; Pagine inedite del Diario, a cura e con nota introduttiva di P. Soddu, in Annali della Fondazione L. Einaudi, XXX (1997) pp. 475-495; I diari di L. P. ambasciatore italiano a Mosca (1958-1961), a cura di B. Bagnato, Firenze 2002; I diari e le agende di L. P. (1938-1940): politica estera del fascismo e vita quotidiana di un diplomatico romano del '900, a cura di R. Nattermann, Roma 2009.
P. Pastorelli, Le carte di gabinetto del Ministero degli Affari Esteri, 1923-1943, in Storia delle Relazioni Internazionali, V (1989), 2, pp. 313-347; R. De Felice, Mussolini l’alleato, II, Crisi e agonia del regime, Torino 1990; V. Pellegrini, Il Ministero degli Affari Esteri, in L’Amministrazione centrale dall’Unità alla Repubblica. Le strutture e i dirigenti, a cura di G. Melis, Bologna 1992, p. 144 e passim; F. Grassi Orsini, La diplomazia italiana dagli anni del consenso al crollo del regime, in Sulla crisi del regime fascista. 1938-1943, a cura di A. Ventura,Venezia 1996, pp. 125-148.