MANNELLI, Luca
Nacque a Firenze tra il 1291 e il 1296, da Abate di Mannello di Tommasino. La data di nascita si evince dalla lettera dedicatoria della sua opera maggiore, la Tabulatio et expositio Senecae, a papa Clemente VI, dove il M. afferma di aver compiuto cinquantasei anni al momento della stesura, quando era vescovo di Osimo, cioè negli anni 1347-52 (Kaeppeli, 1948, p. 263).
Se si identificano con la Tabulatio i due grandi codici senecani "textus et glossa" copiati per Clemente VI e pagati al M. il 9 nov. 1352 (Ehrle), si può affermare che la Tabulatio sia stata terminata presumibilmente intorno agli anni 1349-50, ovvero poco prima della morte del pontefice, avvenuta il 6 dic. 1352. Secondo la Cronica fratrum S. Marie Novelle (cfr. Necrologio…, I, p. 568), il M. alla sua morte, nel 1362, aveva alle spalle quasi sessant'anni di vita religiosa. Se si segue quindi la Cronica fratrum, si dovrebbe retrodatare la sua nascita alla fine degli anni Ottanta del XIII secolo, intorno al 1288-90, e fissare il suo ingresso nell'Ordine domenicano intorno al 1302-04, all'età di tredici o quattordici anni. La datazione fornita da Kaeppeli è, tuttavia, quella da considerare più attendibile.
La famiglia Mannelli, di fede ghibellina, sebbene contasse tra i suoi numerosi membri alcuni simpatizzanti della parte guelfa, proveniva dal contado e si inurbò agli inizi del XIII secolo, insediandosi a sud della città nel sesto d'Oltrarno ("popolo" di S. Felicita), sestiere di recente urbanizzazione. L'attività dei Mannelli, dediti al commercio e al prestito di denaro, è ben documentata, soprattutto a partire dall'ultimo quarto del XIII secolo, in particolare in riferimento alla loro attività di prestito, in ambito cittadino e nel contado. I Mannelli possedevano beni immobili e terreni fuori città, nel popolo di S. Pietro a Monticelli, in S. Pietro a Gattolino, a Pontormo, nel Comune di Gangalandi; in città le loro case erano situate in S. Felicita, con un banco a ponte Vecchio e una bottega "sub voltis", tra il ponte Vecchio e il ponte S. Trinita (cfr. Raveggi et al., pp. 38, 39 n.). Membri della famiglia risultano iscritti all'arte del cambio nella matricola del 1300 e, in quell'anno, un Mannelli, Piero di Salvi, ne era console (ibid., p. 38 n.).
Un atto notarile del 6 apr. 1316 (Arch. di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, 3142, c. 7v), in cui il M. è nominato da suo fratello Giovanni procuratore con il diritto di riscossione dei crediti, lo menziona come appartenente all'Ordine dei predicatori. Non si hanno altre notizie sul M. fino al 1331, quando era sicuramente priore del convento di S. Domenico a Pistoia.
Il 6 ott. 1331 il legato pontificio Giovanni Gaetano Orsini, cardinale diacono di S. Teodoro e legato papale in Tuscia, affidava al M. l'incarico di vestire dell'abito domenicano donna Tessa, vedova di maestro Jacopo di Bellebuono, che aveva ricevuto il permesso di edificare a Pistoia il monastero domenicano di S. Lucia. L'atto di fondazione fu rogato dal notaio Lencio di Giovanni da Orvieto quando il M. era priore del convento di S. Domenico. Non potendo adempiere il mandato perché assente dalla città, il M. fu sostituito dal provinciale romano Giovanni Porcari (Panella, 2000, n. 17). Il 29 settembre il capitolo provinciale di Roma lo aveva infatti nominato predicatore generale.
Per gli anni 1333 e il 1334 la presenza del M. a Firenze in S. Maria Novella è attestata da due documenti: dalla lista dei frati, assegnati a quel convento e partecipanti al capitolo conventuale, datata 8 ott. 1333 (Panella, 1987); e da un atto notarile, rogato a Firenze il 30 luglio 1334 dai notai Giovanni di ser Benvenuto e Guido di ser Giovanni di ser Benevenuto con il M. in veste di testimone. Probabilmente la nomina a vescovo di Firenze del domenicano di S. Maria Novella Angelo Acciaiuoli (26 giugno 1342) portò il M. al coinvolgimento nel governo della diocesi in veste di vicario episcopale (Compagnoni - Vecchietti, p. 99).
Nel marzo del 1344 il M. potrebbe aver accompagnato ad Avignone il vescovo Acciaiuoli nella sua legazione volta a giustificare dinanzi a Clemente VI il rovesciamento del duca Gualtieri di Brienne. L'ipotesi troverebbe una certa plausibilità se messa in rapporto con la nomina del M. a vescovo di Zituni (Zeitun, Cithonia), in Grecia, avvenuta il 28 maggio di quell'anno.
In quel periodo stava prendendo corpo il progetto di una lega navale contro i Turchi, che sfociò nella crociata dell'Arcipelago, guidata dal patriarca di Costantinopoli Enrico d'Asti, legato apostolico in Oriente e che portò alla presa di Smirne, il 28 ott. 1344, impresa cui presero parte sei frati domenicani di S. Maria Novella.
Secondo quanto attestato dalla Cronica fratrum, il M. scelse e inviò a Zituni, come vicario episcopale, fra Giacomo Omodei, del convento di S. Maria Novella (Necrologio..., I, p. 60), che vi morì nel 1346.
Il M. rimase a capo della diocesi greca fino al 5 nov. 1347, quando Clemente VI lo elesse alla cattedra episcopale di Osimo, grazie anche alle buone relazioni fra i Mannelli e i Malatesta di Rimini, da poco signori di Osimo.
Il fratello del M., Giovanni, godeva della fiducia di Malatesta Malatesta, detto Guastafamiglia, che lo avrebbe inviato, nel 1362, a Barletta presso Galeotto (I) Malatesta in occasione della morte della madre Taddea e per stipulare il contratto di matrimonio tra Galeotto Ungaro Malatesta e Costanza d'Este.
Il M. non si recò mai nella diocesi di Osimo, così come non aveva mai visitato quella di Zituni, ma la governò, tramite i suoi vicari, da Avignone.
I tre vicari del M. nella diocesi di Osimo furono il vallombrosano Simone da Firenze, che compare in un atto dell'8 sett. 1348 (Martorelli); il domenicano fra Lottieri, menzionato in un atto del 3 nov. 1353 (Zaccaria); Domenico da S. Severino, cappellano del papa che, in qualità di vicario del M., ratificò la fusione di tre monasteri nel 1357 (Compagnoni - Vecchietti).
Con una serie di missive ai maggiorenti del Regno di Napoli, spedite il 12 luglio 1348 (Arch. segr. Vaticano, Reg. Vat., 142, cc. 32r-34r), Clemente VI annunciò l'arrivo del M. e di Filippo da Lanciano, cappellano papale e uditore delle cause apostoliche, per confermare il sostegno alla regina Giovanna I d'Angiò e al suo secondo marito, Luigi d'Angiò Taranto, dopo l'effimera occupazione del Regno da parte di Luigi I d'Ungheria (dicembre 1347-maggio 1348). L'esito della missione non è noto, ma il fatto che sia avvenuta è fondato su una supplica rivolta dal M. al pontefice il 19 luglio 1353 per sollecitare il rimborso delle spese di quella spedizione (Arch. segr. Vaticano, Reg. suppl., 26, c. 28; Reg. Aven., 147, c. 521r).
Il 24 genn. 1358 Innocenzo VI nominò il M. vescovo di Fano, città sottoposta dal 1355 al governo dei Malatesta, su istanza dei quali probabilmente il M. fu preposto alla guida della diocesi. Su quest'ultimo periodo della vita del M. le notizie sono scarse. Il M. dovette recarsi a Fano, come attesta una supplica indirizzata a papa Innocenzo VI, il 10 marzo 1358, per ottenere un'indulgenza plenaria in articulo mortis. Verosimilmente, il M. morì a Fano prima dell'8 nov. 1362, data della bolla di nomina del suo successore Leoncino da Rimini, in cui si menziona il M. come defunto.
Opere. Il M. fu autore di un Compendium moralis philosophie, composto nel 1344; di un Sermo quem fecit quarta dom. Adventus a.D. 1346; probabilmente di un'Expositio Valerii Maximi, Factorum ac dictorum memorabilium libri IX e infine della Tabulatio et expositio Senecae.
Il Compendium fu composto su richiesta di Bruzio Visconti (m. 1357), figlio naturale di Luchino Visconti, bibliofilo, poeta e autore di un libello antipetrarchesco che fu all'origine di un vivace certamen letterario con il Petrarca. Quest'opera è stata tradita solo dall'esemplare di dedica, il ms. Fonds lat. 6467 (secolo XIV) della Bibliothèque nationale di Parigi: ne esiste, inoltre, un volgarizzamento, privo della dedica al Visconti e del prologo, che ebbe una diffusione più ampia rispetto all'originale latino, attestata dai tre testimoni (cfr. Kaeppeli, 1980, III; IV). L'opera, che si articola in tre trattati (definizione di habitus, passione e virtù; le virtù; l'amicizia), attinge abbondantemente ad Aristotele, a Cicerone, a Tommaso d'Aquino, ma anche a Virgilio, Giovenale, Valerio Massimo, Sallustio, Quintiliano, Isidoro di Siviglia, Seneca e Agostino.
Il Sermo quem fecit quarta dom. Adventus a.D. 1346 è stato tramandato da un florilegio di prediche di vari autori, di cui sono noti due manoscritti: uno del XIV secolo, oggi deperdito, descritto da Baluze e proveniente dall'abbazia di Cluny (Auvray - Poupardin); l'altro del secolo XV, conservato presso la Biblioteca capitolare di Valenza (Cathedral, 215, cc. 184v-194v; cfr. Kaeppeli, 1949). Il sermone fu pronunciato nella quarta domenica d'avvento del 1346, presso la cappella papale di Avignone, dinanzi a Clemente VI e al Collegio cardinalizio, quando il M. era già vescovo di Zituni. La rubrica che lo precede è particolarmente preziosa, perché riporta la notizia che il M. faceva parte della familia del cardinale Giovanni Colonna, il famoso mecenate e protettore del Petrarca.
L'Expositio Valerii Maximi, Factorum ac dictorum memorabilium libri IX, insieme con il commento dell'agostiniano Dionigi da San Sepolcro e quello di Luca da Penne, fu alla base della diffusione di Valerio Massimo in Europa nel XIV secolo. L'attribuzione al M. del commento a Valerio Massimo è fondata su quindici citazioni inserite da Luca da Penne nel suo commento. L'opera, che si interrompe dopo il quarto libro e il cui proemio è stato edito Kaeppeli (1948, p. 250), fu composta probabilmente prima dell'elevazione alla dignità episcopale del M., almeno stando a una copia del 1342: "Iste est fratris Luce glosa" (Di Stefano, pp. 270-272).
Insieme con il domenicano inglese Nicolas Treveth, autore di una nota expositio delle tragedie senecane, il M. fu l'altro domenicano a cimentarsi nel commento a Seneca, nei primi decenni del Trecento, con la sua Tabulatio et expositio Senecae, composta tra il 1349 e il 1352 e dedicata a Clemente VI, fautore di una politica culturale tesa alla costituzione di una nutrita biblioteca patristica, affiancata dalle opere di autori classici, quali Seneca e Cicerone. L'opera, una sorta di enciclopedia dei concetti presenti nell'opera di Seneca disposti in ordine alfabetico, è in due volumi, di cui solo il primo (comprendente i lemmi dalla lettera A alla lettera L) è giunto fino a noi, attraverso tre testimoni (il ms. Lat. 8714 della Bibliothèque nationale di Parigi; il ms. 2638 della Biblioteca universitaria di Salamanca e il ms. CCVIII.2. della Biblioteca Jagellonense di Cracovia; cfr. Kaeppeli, 1980, III, p. 90). Nella sua esposizione il M. procede in maniera acritica, ricalcando l'elenco delle opere di Seneca stilato dal domenicano Giovanni Colonna nel De viris illustribus, inserendovi però il Ludus de morte Claudii, la cui paternità senecana non era stata riconosciuta dal suo confratello; chiude la Tabulatio la Vita Senecae di Girolamo. Dei tre codici citati, quello di Salamanca conserva una miniatura del pontefice seduto, con il M. in abiti domenicani nell'atto di offrirgli l'opera (c. 1r). La difficoltà di consultazione, imputabile soprattutto alla ponderosità dell'opera, fu all'origine di una versione abbreviata, con citazioni ridotte, pur salvaguardando la struttura originaria, giunta nel ms. Fonds lat. 8715 della Bibliothèque nationale di Parigi. Un altro testimone che trasmette la Tabulatio è il Borghese 10 della Biblioteca apost. Vaticana, con glosse autografe di Pierre Roger, futuro papa Clemente VI, cui probabilmente apparteneva (Maier, 1952; Id., 1967, p. 314). La Tabulatio fu anche oggetto di un volgarizzamento in lingua catalana, su richiesta di re Martino I d'Aragona (cfr. Kaeppeli, 1980, IV, p. 191).
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