DEL MAZZA, Lotto
La notorietà che il mondo letterato e patrizio del tardo Cinquecento fiorentino accordò alle commedie del D. contrasta un po' curiosamente con la rarità delle notizie sulla sua vita e sulle sue opere. Concordemente, i biografi e gli eruditi lo indicano di patria fiorentina; ne tacciono però l'anno di nascita. Il suo nome, effettivamente, non compare nei registri dei battezzati nel periodo compreso tra il 1512 e il 1542:Ciò fa sorgere, con buona ragione, l'ipotesi che i suoi natali non siano propriamente cittadini ma che egli provenisse piuttosto da uno dei borghi circostanti.
Il D. fu di professione calzaiuolo. Il 13 ag. 1563 aveva già ottenuto la bottega del capitolo fiorentino con contratto a livello (Firenze, Bibl. Marucelliana, Cod. Marucell. A 152, c. 113v). Il suonome fu segnato assieme a quello di Anna di Jacopo di Carlo Pandolfini, la moglie, nel IV libro dei contratti della gabella per gli anni 1568-69 (Firenze, Bibl. nazionale, Cod. Magliab., XXVI, 135, c. 71).
Cinque anni dopo egli venne registrato nelle scritture fiscali tra i cittadini fiorentini detti "a parte" (Arch. di Stato di Firenze, Decime granducali 3677, c. 199r). Tale ulteriore indizio verrebbe a confortare l'ipotesi della sua origine extraurbana. Essere cittadini "a parte" significava infatti o avere proprietà nei sobborghi oppure, e questo sarebbe il caso, essere proprietari di beni in città ma non godere dei diritti politici dati dalla cittadinanza. A quest'ultima la famiglia Del Mazza giunse per tramite di Ottavio, il figlio del D., non prima del 1624 (Firenze, Biblioteca Riccardiana, Cod. Ricc. 2427).
Dai Partiti degli ufficiali delle Decime del 1600 (Arch. di Stato di Firenze, Decima granducale, 51, cc. 9-10r) si può ancora precisare che la bottega del D. era situata nel "popolo" di San Bartolomeo, in via dei Calzaiuoli. La bottega tornò al capitolo fiorentino alla sua morte, avvenuta il 21 febbr. 1597secondo il calendario fiorentino ab incarnatione, che equivale al 1598del computo moderno.
Gli scritti che possono essergli assegnati con certezza sono una commedia e una farsa. La prima è intitolata IFabii e fu rappresentata nella sala maggiore di palazzo Vecchio nel 1568 per festeggiare la nascita di Eleonora, figlia primogenita di Francesco de' Medici e di Giovanna d'Austria. Fu stampata in quello stesso anno (1567 sf) per i tipi di Panizzj e Peri a Firenze. Se ne conosce anche una copia manoscritta (Firenze, Bibl. naz., Cod. Magliab. VII, 211). La farsa, in tre atti, porta il titolo Ilricatto. Fu recitata in casa di Carlo Pitti nel 1578 e venne stampata dieci anni dopo presso Bartolomeo Sermartelli, sempre a Firenze. Né per i IFabii né per Il ricatto si conoscono edizioni successive.
La figura del D., stando a questa prima rassegna di documenti, sembra da accorpare al gruppo di intellettuali fiorentini che si dividevano tra gli impegni della composizione letteraria e le occupazioni dell'arte, fonte primaria di sussistenza rispetto al mecenatismo mediceo, ormai non più generoso come al tempi- del Magnifico, poiché era quasi totalmente assorbito dalle richieste delle accademie. Tale gruppo era comunque prestigioso in Firenze e anche di consolidata tradizione, che si rifaceva volentieri al precedente burchiellesco. Tuttavia esso non sopravviveva più negli anni in cui il Cinelli scriveva orgogliosamente: "Io stimo che niuna città possa vantarsi d'aver avuto anche gli artigiani così dotti, ed in sì gran numero, come la mia Patria. Intorno al 1560, infra i Calzajuoli, per non favellare delle altre arti, si trovano in Firenze molti e molti Uomini dotti tra de' quali sono anche notissimi per le stampe, cioè il famoso Gio. Battista Gelli, detto Michel Capri e Lotto del Mazza celebre scrittor di commedie".
Al Cini si legò ben presto il nome del D. per una certa comunanza stilistico-compositiva, tanto che il Poccianti e il Negri attribuiscono erroneamente a quest'ultimo La vedova del primo, recitata a corte l'anno successivo alla rappresentazione de I Fabii. Le due commedie IFabii e Il ricatto, in realtà, non si distinguono dalle altre commedie del tempo per particolari invenzioni di trama o di espressione; sin dalla prima lettura è dato riscontrare in entrambe l'intervenuta cristallizzazione delle regole formali del genere, quali la dipendenza da taluni schemi d'azione divenuti ormai canonici nel tardo Rinascimento. Si veda ad esempio ne IFabii l'accorgimento di Ormanno che si finge Fabio, che richiama il modello dei Suppositi e per tale tramite, dell'Eunuchus edei Captivi. Sarà da chiarire però che tale fedeltà del D. ai modelli antichi e moderni della commedia non si esaurisce nella stanca imitazione ma è, piuttosto, una difesa strenua del modo fiorentino di comporre commedie che aveva assicurato alla città il primato sugli altri centri teatrali italiani.
Vero è che quel primato veniva ormai perdendo favore presso il pubblico sempre più attratto dalle nuove forme di spettacolo: da un lato la magnificenza scenografica e musicale degli intermezzi, prologo delle imponenti messe in scena del melodramma barocco, e dall'altro la forza comica dei lazzi degli zanni, le prime maschere delle originarie compagnie d'arte italiane. Già Antonio Francesco Grazzini, detto il Lasca, dichiarava in alcuni suoi versi che piacevano di più i lazzi e gli scherzi degli zanni che non le commedie del Cecchi e del D., letterate sì, ma stucchevoli e, a suo dire, dall'esito scontato.
Un'ulteriore prova di ciò, proveniente proprio dal punto di vista del pubblico, è offerta da Alessandro Ceccherelli, il compilatore in forma epistolare di una notevole Descrizione di tutte le feste e mascherate fatte in Firenze per il Carnovale di questo anno 1567 (s.n.t. ma Firenze 1567). Qui, infatti, il riferimento alla commedia consiste soltanto nella indicazione dell'inizio e della fine degli atti: nulla più che una cesura per scandire un lungo e dettagliato racconto degli intermezzi.
Gli ultimi indizi d'archivio riguardanti la persona del D. sono presi dai registri dei morti, ove la data anzidetta della sua scomparsa è accompagnata dall'indicazione del luogo di sepoltura che fu la chiesa di S. Maria Novella (Arch. di Stato di Firenze, Morti della Grascia, 8, Morti Medici e Speziali, 254).
Fonti e Bibl.: A. F. Grazzini, detto il Lasca, Le rime burlesche..., a cura di C. Verzone, Firenze 1882, pp. 424, 430; Id., Scritti scelti in prosa e in poesia, a cura di R. Fornaciari, Firenze 1911, p. 186; M. Poccianti, Catal. scriptorum Florentinorum, Florentiae 1589, p. 115; G. Cinelli Calvoli, Biblioteca volante, Scanzia V, Parma 1686, pp. 71 ss.; G. Negri, Istoria degli scritt. fiorentini, Ferrara 1722, p. 382; L. Allacci, Drammaturgia, Venezia 1755, pp. 321, 665; A. D'Ancona, Origini del teatro ital., Torino 1891, II, p. 167 n.; O. Bacci, Rass. bibliografica, in Giorn. stor. d. letter. ital., XXVIII (1896), p. 190; B. Corrigan, Sforza Oddi and his comedies, in Publications of the Modern Language Assoc. of America, XLIX (1934), p. 734; I. Sanesi, La Commedia, Milano 1954, I, p. 408; A. Mango, La Commedia in lingua, Milano 1966, pp. 188, 233; Illuogo teatrale a Firenze (catal.), a cura di M. Fabbri-E. Garbero Zorzi-A. M. Petrioli Tofani, con introd. di L. Zorzi, Milano 1975, pp. 98 ss.; L. Zorzi, Il teatro e la città, Torino 1977, pp. 104, 211.