SALIMBENI, Lorenzo
– Nacque nel 1374 o, al più, nel 1373 come si ricava dal trittico della Pinacoteca comunale di San Severino Marche, firmato e datato gennaio 1400, in cui il pittore afferma essere «nel li mei anni XXVI». L’opera costituisce altresì la prima attestazione documentaria di Lorenzo, figlio di Salimbene di Vigiluccio (della madre invece non si hanno notizie), la cui famiglia, profondamente radicata nella cittadina marchigiana (il pittore si firmò costantemente come «de Sancto Severino»), era attivamente impegnata nel commercio dei panni di lana (Paciaroni, 1983; Id., La famiglia di Lorenzo e Jacopo Salimbeni nella documentazione archivistica, in Lorenzo..., 1999, pp. 80 s.). Il trittico a sportelli mobili, il solo dipinto su tavola del catalogo di Lorenzo (per il resto formato da affreschi), raffigura il Matrimonio mistico di s. Caterina tra due santi; a tergo delle ante Cristo in pietà sorretto dalla Vergine e S. Luca allo scrittoio. Esso proviene dalla cappella dei Ss. Simone e Taddeo, effigiati negli sportelli laterali, nella chiesa benedettina di S. Lorenzo in Doliolo, e fu commissionato, come recita l’iscrizione al colmo dello scomparto centrale, dal monaco Antonio di Petrone e da Perna di Nicolò, sarta dedita alla lavorazione dei panni di lana (ibid., pp. 74 s.).
La tavola stupisce per la mirabolante eleganza lineare, la brillantezza cromatica, la collocazione della scena principale in un giardino fiorito, a date così precoci nel panorama figurativo umbro-marchigiano; elementi che fanno del dipinto una testimonianza tra le più intriganti e à la page della pittura tardogotica italiana.
Agli esordi del Quattrocento si può riferire, per ragioni stilistiche, la decorazione della cripta della stessa chiesa di S. Lorenzo in Doliolo (ancora in loco, con l’eccezione di alcuni affreschi staccati ed esposti nella Pinacoteca comunale), sede di una confraternita intitolata a S. Andrea, alla quale si deve la probabile committenza di alcune storie del santo eseguite a monocromo (Minardi, 2008, p. 19). A esse si affiancano diverse pitture votive con figure di santi e una grande lunetta con S. Giacomo tra santi, pellegrini e battuti bianchi, nella quale si individua anche l’arma degli Smeducci, signori di San Severino. Caratterizzati dalla scioltezza dell’esecuzione pittorica e dalla guizzante verve narrativa, gli affreschi si leggono come un’importante spia della formazione del loro autore su alcuni fenomeni della pittura emiliana dell’ultimo quarto del Trecento e denotano la conoscenza, diretta o mediata, del seguito di Iacopo Avanzi e delle tendenze dell’illustrazione libraria che fanno capo al Maestro delle Iniziali di Bruxelles (ibid., pp. 13-18), di recente identificato in Giovanni di fra Silvestro.
L’arte di Lorenzo appare nondimeno radicata nel tessuto culturale marchigiano e umbro, nella ‘passione’ di alcuni grandi trecentisti locali, alla quale rinviano diverse soluzioni. Se ne reperiscono infatti le tracce, nei primi anni del Quattrocento, nella chiesa della Madonna della Villa presso Perugia, ove il sanseverinate eseguì alcuni affreschi (Madonna della misericordia e due santi; un Angelo; Todini, 1989). È firmata e datata 1404 la decorazione, oggi in stato frammentario, di una loggia pubblica incorporata nei secoli successivi nella chiesa di S. Maria della Misericordia a San Severino, di cui restano alcune scarmigliate figure di profeti entro nicchie, a lato del Cristo benedicente, tra elaborati e bizzarri ornati vegetali. Due anni più tardi Lorenzo firmò un altro ciclo di rilievo nell’oratorio di S. Biagio annesso alla collegiata di San Ginesio, che consta di storie del santo titolare, a fianco della Madonna col Bambino tra s. Stefano e s. Ginesio e altri soggetti (Marchini, 1966). Si tratta di un’altra prova del linguaggio sospeso tra raffinatezza pittoricistica e irruenza psicologica di questo singolare artista, capace di proporre schemi narrativi sempre sui generis e ricchi di originalissime invenzioni, nell’orchestrazione globale così come nel dettaglio, con un gusto spiritoso ma mai popolaresco. Qui, come negli affreschi realizzati l’anno seguente nell’attuale sagrestia della chiesa di S. Lorenzo in Doliolo, che manifestano un’analoga temperatura formale, si rinnova l’esigenza di legare tale timbro stilistico a orientamenti estranei a quelli dell’area appenninica in cui operò l’artista, in direzione, cioè, eminentemente padana (Minardi, 2008, pp. 31-45). I dipinti per lo più a monocromo, che raffigurano le Storie di s. Lorenzo e la Crocifissione e santi, dimostrano caratteri affini ad altri affreschi contemporanei: la Crocifissione in S. Domenico a Cingoli (Zampetti, 1953) e le Storie di s. Giovanni evangelista, in origine in una cappella del duomo vecchio a San Severino (oggi custodite nella Pinacoteca comunale). In queste ultime, commissionate da don Oliviero di Viviano, «operoiho» della cattedrale (Paciaroni, 1987), e firmati da Lorenzo accanto, per la prima volta, al fratello Jacopo, il racconto si dipana coloratissimo al di qua di un fondo quadrettato da pagina miniata; nella stessa chiesa il pittore realizzò alcuni affreschi nella tribuna, di cui restano lacerti di figure di santi entro nicchie. L’operosità con il fratello, che si ripeté nel ciclo di Urbino e verosimilmente in altre circostanze, non sembra tuttavia avere avuto lo statuto di una collaborazione alla pari, a giudicare dalla preminenza delle firme del solo Lorenzo nelle opere a noi note e soprattutto dalla sostanziale omogeneità formale del catalogo salimbeniano, in cui emerge un linguaggio unitario che fa capo, appunto, a Lorenzo. Ostico, pertanto, appare proporre precise distinzioni di paternità.
L’attività dell’artista oltre il valico appenninico è testimoniata da altre prove da scalarsi negli anni intorno al 1410: è probabile che egli abbia partecipato all’esecuzione del Giudizio universale, iniziato da Ottaviano Nelli, nell’arcone della chiesa di S. Agostino a Gubbio, città in cui gli dovrebbe spettare anche il S. Michele affrescato in S. Maria Nuova (Sannipoli, 2003, con riferimento di entrambe le opere a Jacopo, post 1420; Minardi, 2007). A essi fa seguito la stupenda Crocifissione della Galleria nazionale dell’Umbria a Perugia, proveniente dal convento di S. Benedetto dei Condotti, il vertice raggiunto dal pittore nel campo della tecnica a grisaille.
Nel secondo decennio del XV secolo si avverte un progressivo allentamento della concitata tensione narrativa ed espressiva, che connota la fase antecedente, a favore di ritmi più pacati, figure più slanciate e asciutte e un tono sempre più sofisticato. Ne danno prova una serie di affreschi, di carattere prevalentemente votivo, licenziati nella città natale: in S. Francesco al Castello, in S. Maria della Pieve (i dipinti di queste due chiese sono per la maggior parte conservati nella Pinacoteca comunale), ove Lorenzo aveva lavorato anche nel decennio precedente, e in S. Domenico. Un atto del 1413 segnala che il pittore aveva casa nel quartiere di S. Maria e nel 1415 egli riceveva un pagamento di due ducati dal cancelliere di Antonio Smeducci «pro pingendo tegimina certorum equorum», ossia per la decorazione di bardature di cavalli (Paciaroni, 1983, pp. 61 s.).
Forse sul finire dello stesso anno ebbe inizio la frescatura dell’oratorio di S. Giovanni a Urbino, sede dell’omonima confraternita, che commissionò a Lorenzo e Jacopo quella che rimane la loro impresa maggiore. La decorazione comprende lungo la parete destra alcuni episodi della vita di s. Giovanni Battista (dall’Annuncio a Zaccaria all’Incontro con Erode), due sontuose immagini mariane in quella frontale e una popolosa Crocifissione nella parete di fondo, sotto la quale spiccano la firma dei due fratelli e la data di compimento nel luglio 1416. Si tratta di uno dei cicli più rilevanti della pittura tardogotica e del Quattrocento italiano per la ricchezza decorativa e cromatica (in cui concorre l’inserzione di vetri rilucenti e applicazioni metalliche), l’atmosfera squisitamente cosmopolita in cui sfumano anche i toni del dramma, l’arguzia di tante trovate aneddotiche mescolate al racconto sacro.
I personaggi che assistono alle storie del Precursore, tra cui spiccano alcuni ritratti dei membri della confraternita omonima, si stagliano al di qua di luminosi sfondi blu cupo, in mezzo a giardini di verzura che hanno colori di smalto, e vestono abiti all’ultima moda: nel complesso, questa variopinta cronaca mondana sembra veramente tradurre in pittura il testo della trecentesca Vita di s. Giovambatista che pare essere tra le fonti ispiratrici del ciclo (Dunford, 1973).
Il linguaggio di Lorenzo mostra qui di reggere il confronto con i fenomeni più aggiornati dell’arte tardogotica transalpina, come le miniature dei fratelli Limbourg. Al ciclo si associa, per stile, il disegno raffigurante la Strage degli innocenti (Oxford, Ashmolean Museum), prova esclusiva ma preminente delle alte doti grafiche di Lorenzo.
Nella Urbino di Guidantonio da Montefeltro, che è possibile sia stato coinvolto nella commissione del ciclo dell’oratorio di S. Giovanni, Lorenzo si ritrovò a collaborare nuovamente con Nelli, se sono di sua mano le colonne istoriate con episodi di battaglia negli affreschi dell’oratorio della Madonna dell’Homo (Minardi, 2008, pp. 82-84).
Nella seconda metà del secondo decennio del secolo Lorenzo attese ad altre commissioni: l’Albero della vita nell’oratorio dei beati Becchetti a Fabriano (Rossi, 1978), che si integrava al gruppo ligneo della Crocifissione a esso addossato (oggi esposto nella locale Pinacoteca civica), e la lunetta con la Madonna con il Bambino e santi nella chiesa di S. Scolastica a Norcia (Rossi, 1981), probabilmente commissionata dal vescovo Benedetto di Vanni Stasi degli Attoni nel 1417.
La morte colse il pittore prima dell’ottobre del 1420, quando la moglie Vanna si dichiarava vedova (Aleandri, 1901).
L’operosità di Lorenzo nelle Marche appenniniche, nel Montefeltro e in vari centri dell’intera Umbria produsse un seguito di diversificata estensione (Minardi, 2008, pp. 101-129). Il singolare linguaggio del pittore venne assimilato, spesso cogliendone gli aspetti puramente decorativi, da vari artisti marchigiani (Maestro di San Verecondo, Pietro di Domenico da Montepulciano, Giacomo di Nicola da Recanati, Paolo da Visso, Lorenzo d’Alessandro), umbri (Bartolomeo di Tommaso, Nicola di Ulisse da Siena), laziali (Maestro di Riofreddo), abruzzesi (Amico dell’Aquila, Maestro della cappella Caldora), o emiliani attivi fuori patria (Antonio di Guido Alberti da Ferrara).
Erroneamente posta da Luigi Lanzi (1795-1796) nel secondo Quattrocento, riscoperta dall’erudizione sanseverinate tra tardo XVIII e XIX secolo, la vicenda di Lorenzo Salimbeni è stata messa a punto dagli studi novecenteschi, ma ha effettivamente trovato il posto che le spetta nei fatti preminenti dell’arte del gotico internazionale soprattutto grazie agli ultimi cinquant’anni di ricerche.
Il nome di Jacopo Salimbeni, che risulta fratello di Lorenzo sulla base della firma apposta nel ciclo dell’oratorio di S. Giovanni a Urbino (1416), ricorre con sicurezza nei documenti solo nel 1421, quando è citato a Recanati in rapporto a una lite (atto reperito da Matteo Mazzalupi, trascritto in Minardi, 2008, p. 228). È probabile che sia lui quello «Iacobus pinctor de Sancto Severino» che nel 1427 figurava tra i consiglieri del Comune di San Severino (Paciaroni, 1983, p. 66). Oltre alla firma, a fianco del fratello, nel ciclo già nel duomo vecchio di questa città, non risultano altre attestazioni della sua attività, che dovette svolgersi all’ombra di Lorenzo nei vari cantieri da lui presieduti. Nel corso del secolo scorso gli studi hanno tentato di enucleare parti di queste opere attribuibili al solo Jacopo, in particolare negli affreschi urbinati (Rotondi, 1936; Zampetti, 1956; Ciardi Duprè Dal Poggetto, 1998), ma le varie proposte non hanno trovato riscontri univoci. Tra queste, merita di essere segnalata quella relativa al messale della Biblioteca Malatestiana di Cesena (Marchi, 2008), le cui vivaci illustrazioni sono fedelmente ricalcate sui modelli di Lorenzo senza tuttavia evidenziare la responsabilità diretta del maestro.
Fonti e Bibl.: L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, I, Bassano 1795-1796, p. 356; A. Ricci, Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona, I, Macerata 1834, pp. 186-188; S. Servanzi Collio, Relazione della chiesa sotterranea di S. Lorenzo nella città di Sanseverino, Macerata 1838; Id., Avanzi di antiche dipinture scoperte nella chiesa di S. Domenico nella città di Sanseverino, Macerata 1850, pp. 6 s., 10; Id., Pitture a fresco scoperte nell’antica cattedrale di Sanseverino passata in proprietà all’Ordine minoritico riformato, in L’Album, XXVI (1860), pp. 410-415; J.A. Crowe - G.B. Cavalcaselle, A new history of painting in Italy from the Second to the Sixteenth century, III, London 1866, pp. 109-112; S. Servanzi Collio, Pitture nella chiesa di S. Giovanni di Urbino eseguite dai fratelli Lorenzo e Giacomo di Sanseverino, San Severino Marche 1888; V.E. 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