PODERICO, Lorenzo
PODERICO (Pulderico), Lorenzo. – Nacque intorno al 1300 in una famiglia napoletana di «mediani», il ceto di medi possessori terrieri, mercanti, ufficiali e lavoratori specializzati, non lontano, quanto a fortuna e prestigio, dall’aristocrazia (Vitale, 2003).
Da questo punto di partenza l’ascesa sociale dei Poderico fu appariscente (anche se comparabile ad altre famiglie).
La famiglia faceva già parte della milizia urbana nel 1269, come altre di questo patriziato non ancora nobile; fu affiliata a uno dei seggi napoletani (le strutture di inquadramento topografico e amministrativo nelle quali si riuniva l’élite), quello di Montagna, che si formò nel Trecento a partire dalla fusione di «piazze» popolari, ed era all’inizio ben diverso dai seggi nobili di Capuana e di Nido. L’appartenenza a questo seggio sanciva nondimeno un rilievo sociale indiscutibile, che portò, infatti, sul lungo periodo a una piena integrazione nella nobiltà cittadina. E come per altre casate di notabili di Napoli (e di altre città del Regno), la crescita di prestigio aristocratico si accompagnava al servizio burocratico alla monarchia: i Poderico progredirono lungo quella doppia via.
S’incontra così nel 1298 un Bartolomeo Pulderico al posto ancora modesto di «giudice della città di Napoli» (Kaeppeli, 1962), ma con Poderico, che appare ai vertici della pubblica amministrazione e che gode di un riconosciuto spessore di intellettuale (Monti, 1924 e 1930), la famiglia compì un passo in avanti decisivo, sulla stessa strada del diritto e del servizio della monarchia. Ciò emerge a un tratto nel 1334 (Camera, 1841-1860). Negoziando con il marchese di Monferrato, in un momento cruciale per la dominazione angioina nell’Italia settentrionale, re Roberto d’Angiò designò infatti come suoi procuratori il suo siniscalco di Piemonte e, allo stesso livello di quel grande ufficiale, «Lorenzo Pulderico di Napoli dottore in Decreti». Denominava tutt’e due «i suoi consiglieri, familiari e fedeli».
I re Carlo II e Roberto si rivolsero spesso a giuristi di formazione accademica per gestire faccende diplomatiche, in connessione con il complessivo progetto politico che, in quanto leader del guelfismo, perseguivano. Pertanto, la posizione di Poderico è analoga a quella di parecchi altri dotti e giurisperiti attivi presso la corte angioina. Ma se la storiografia ha svelato prevalentemente per i bisogni di uno Stato in via di costruzione il ruolo dei civilisti, tra i quali taluni prestigiosi professori, e ha sottolineato la centralità della romanistica nello Studio partenopeo, il caso di Poderico richiama l’attenzione sul credito del quale godevano i canonisti, com’era opportuno in funzione delle relazioni con la Chiesa.
Poderico è definito infatti, nel 1345 o 1346, «professore»: che la funzione fosse effettiva o ormai onoraria, l’uso di questa espressione garantisce lo svolgimento di un’attività scientifica, più della sola qualifica di dottore, e nel contempo sottolinea il suo impegno per la corona, che indirizzava nella capitale l’insegnamento superiore (a eccezione della teologia). Poderico restava a quell’epoca anche consigliere regio o, per meglio dire, consigliere della regina Giovanna I (1343-1382); e pochi anni dopo, a partire dal 1351, egli compare come rettore dello Studio di Napoli, carica conservata sino alla morte.
Si trattava di un’altissima carica, che collocava Poderico nel cuore delle istituzioni monarchiche. Il rettore sostituiva il cancelliere del Regno o il suo vice, soprattutto in caso di vacanza, alla guida di un’istituzione legata tanto all’ideologia del regime quanto alla sua volontà di organizzare la società e di reclutare ufficiali. Per lo svolgimento di questa funzione, un apprezzato letterato, e giurista di spicco, come Poderico era particolarmente adatto; e la sua promozione conferma la stima di cui godevano alla corte angioina i canonisti, favoriti dal potere civile anche per le loro carriere in campo ecclesiastico, come mostra l’esempio dello stesso Poderico.
Egli fu infatti un chierico, anche se sulla sua carriera si sa poco o nulla; ma è certo che ottenne quanto meno un canonicato nella cattedrale, come attesta il suo epitaffio (pervenutoci in copia): «Qui giace il corpo del venerabile uomo il signor Lorenzo Pulderico di Napoli, dottore in Decreti, rettore dello studio napoletano e canonico della chiesa maggiore di Napoli, che morì nell’anno del Signore 1358, il penultimo giorno del mese di aprile, nell’undicesima indizione».
Affermazione familiare, servizio del Regno con un ruolo importante, prestigio personale segnano dunque l’esperienza umana di Poderico.
Ma la sua fama successiva è stata legata soprattutto all’ipotesi che gli riconobbe a lungo la paternità intellettuale del codice «Filippino».
Si tratta dell’illustre manoscritto in possesso dal Settecento della Biblioteca oratoriana dei girolamini di Napoli. Contiene la Commedia dell’Alighieri, corredata di 148 miniature e di un rilevante corpus di chiose latine, marginali e interlineari, che ne fanno il codice dantesco più ragguardevole del Meridione. Fu Errico Mandarini, bibliotecario dell’Oratoriana, a collegare al manoscritto il nome di Poderico nel 1865. Aveva riconosciuto lo stemma dei Poderico «a piè della prima carta», con in capo «una mezza luna in campo azzurro» e di sotto una «triplice fascia», e aveva letto in una chiosa la precisazione: «qui a Napoli», che stabiliva a suo parere l’origine partenopea dell’intero commento. Questi indizi gli parvero sufficienti ad assegnare tanto la proprietà iniziale del codice quanto addirittura la redazione delle glosse a Poderico, l’unico della famiglia che avesse le risorse intellettuali all’altezza della dottrina riversata in quelle che furono chiamate Chiose filippine.
Già Paolo Savj-Lopez, nel 1898, riconobbe che le glosse erano in realtà più tarde: eppure si dovette aspettare il contributo di Antonio Bellucci, nel 1921, perché fosse sconfessata definitivamente l’ipotesi infondata di Mandarini. Lo stemma dei Poderico si riferisce, infatti, soltanto a un possessore, e fu per giunta aggiunto a posteriori sul codice. Qualche falla nello studio di Bellucci e la natura composita e graficamente stratificata del codice consentì peraltro che si continuasse con accanimento a sostenere la datazione del manoscritto nella sua forma originale a una data ante 1323 (per farne l’esemplare più antico della Commedia!) e a ritenere possibile un intervento successivo di Poderico. Ma la recente edizione delle Chiose filippine (Mazzucchi, 2002) e le indagini dello stesso Andrea Mazzucchi e di Giancarlo Savino (2002) hanno chiarito definitivamente la storia assai intricata del codice. Esso fu scritto nella seconda metà degli anni Cinquanta a Napoli, e contenne in origine il solo testo della Commedia; le prime glosse apparvero intorno agli anni 1360 per opera di un toscano, ancorché residente a Napoli. L’intervento di un chiosatore probabilmente napoletano non è anteriore alla prima metà del Quattrocento, e in tutto sei mani si succedettero fino all’ultimo Quattrocento; nessuna delle chiose è originale. In breve, non si salva niente della ‘candidatura’ di Poderico come autore del Filippino, e poco rimane anche per ciò che concerne la famiglia Poderico.
Cionondimeno, non è irrilevante il fatto che – probabilmente nel Quattrocento – un Poderico abbia acquisito e forse annotato il codice. L’élite napoletana del Quattrocento manteneva vive le sue tradizioni e inclinazioni culturali, con attenzione ai modelli e ai contenuti toscani, e i Poderico seguitarono in effetti a distinguersi come letterati e burocrati di primo rango nelle cariche curiali.
Il Quattrocento e l’inizio Cinquecento, tra gli ultimi Angioini e gli Aragonesi, costituirono anzi da questo punto di vista l’apogeo della storia della famiglia. Matteo Poderico era vicino nel 1403 al re Ladislao (1386-1414) come giurisperito e consigliere (Palmieri, 2006); Giovanni Maria Poderico (m. 1524), arcivescovo di Nazareth dal 1491, passò nel 1510 all’arcidiocesi di Taranto. Inoltre ebbero rilievo le figure di Errico Poderico, maestro razionale e consigliere di Ferrante I (1458-1494), e del figlio Francesco (m. 1528), anch’egli maestro razionale (Minieri Riccio, 1880; Naldi, 2008), ambedue inseriti nella cerchia umanistica di corte del Pontano, e poi del Sannazaro quanto a Francesco. Alcuni Poderico entrarono infine a far parte della feudalità regnicola.
Fonti e Bibl.: M. Camera, Annali delle due Sicilie, I-II, Napoli 1841-1860, II, pp. 382 s.; E. Mandarini, Del Codice filippino. Cenni bibliografici, in Il codice Cassinese della Divina Commedia per la prima volta letteralmente messo a stampa, Monte Cassino 1865, pp. 583-592; C. Minieri Riccio, Biografie degli accademici alfonsini, Napoli 1880 (rist. Bologna 1969), pp. 152-161; P. Savj-Lopez, Il commento di Andrea da Napoli?, in Giornale dantesco, VI (1898), pp. 164-171; A. Bellucci, La raccolta dantesca della Biblioteca Oratoriana di Napoli, in Bollettino del bibliofilo, III (1921), pp. 1-64; G.M. Monti, L’età angioina, in Storia della Università di Napoli, Napoli 1924, pp. 41, 79, 93 s.; Id., La dominazione angioina in Piemonte, Torino 1930, p. 179; T. Kaeppeli, Dalle pergamene di S. Domenico di Napoli, in Archivum Fratrum Praedicatorum, XXXII (1962), p. 287; A. Mazzucchi, Introduzione, in Chiose filippine. Ms. CF 2 16 della Bibl. Oratoriana dei Girolamini di Napoli, a cura di A. Mazzucchi, I-II, Roma 2002, I, pp. 9-53; G. Savino, Stratigrafia del Dante Filippino, ibid., pp. 73-83; G. Vitale, Élite burocratica e famiglia. Dinamiche nobiliari e processi di costruzione statale nella Napoli angioino-aragonese, Napoli 2003, pp. 28, 38, 100, 172 nota; S. Palmieri, La cancelleria del regno di Sicilia in età angioina, Napoli 2006, pp. 187 s.; R. Naldi, Tra Pontano e Sannazaro: parola e immagine nell’iconografia funeraria del primo Cinquecento a Napoli, in Les académies dans l’Europe des humanistes. Idéaux et pratiques, a cura di M. Deramaix et al., Ginevra 2008, pp. 249-271; A. Mazzucchi, Supplementi di indagine sulla ricezione meridionale della Commedia in età angioina, in Boccaccio angioino. Materiali per la storia culturale di Napoli nel Trecento, a cura di G. Alfano - T. d’Urso - A. Perriccioli Saggese, Bruxelles 2012, pp. 203-218.