DE MONACIS, Lorenzo
Nacque a Venezia in contrada S.Martino, forse nell'estate 1351, dal notaio Monaco e da Magdalucia Rota.
Il padre morì intorno al 1372 dopo aver fatto testamento in data 20 luglio 1371. Alla sua scuola il D. dovette apprendere l'arte notarile, come attestano indirettamente le scritture di Monaco fra il 1365 e il 1368, in cui il D. compare più volte come testimone. La prima di queste, del 4 sett. 1365, ci consente di individuare il termine adquem della data di nascita del D., tenendo conto che l'età minima per poter essere testimoni era, per gli uomini, di quattordici anni.
Verso il 1371 fu accolto fra i notarii auditorum sententiarum con un salario di 3 lire di grossi all'anno. Dopo la morte del padre si prese cura della famiglia, ma dovette trovarsi in disagiate condizioni economiche per cui chiese un aumento di stipendio, che gli fu concesso dal Maggior Consiglio il 29 sett. 1374.
A questa data il D. era gia sposato: non si conosce il nome della moglie, ma potrebbe essere una de Trentis, sorella del notaio Simone, che fu con lui in Ungheria nel 1388. Da lei ebbe un figlio di nome Monaco, che divenne poi canonico della chiesa cretese di Hyronoi.
In seguito il D. ottenne il titolo di notarius Venetiarum:non conosciamo la data esatta ma si può supporre intorno al 1376, al compimento cioè del venticinquesimo anno, che era l'età minima per poter essere notarius veneta auctoritate. Come tale, tuttavia, il D. è attestato per la prima volta da un testamento del 21 luglio 1383 che è, tra l'altro, il primo suo documento che ci è pervenuto. Non si sa alcunché di lui durante gli anni della guerra di Chioggia (1378-1381), ma è probabile che sia stato direttamente coinvolto nella generale mobilitazione cittadina. Dopo la conclusione della pace è ricordato a Venezia sia dal testamento citato del luglio 1383, sia da un altro del 14 marzo 1384.
Il 26 apr. 1386 entrò a far parte dei notai della curia maggiore, che era formata dagli impiegati del doge e dai suoi consiglieri. Ancora a Venezia il 16 dicembre dello stesso anno, si recò poi in Ungheria al seguito di Pantaleone Barbo il Giovane in missione presso il re Sigismondo. Di quil il Barbo lo rimandò a Venezia per ottenere l'aiuto navale della Repubblica, sollecitato da Sigismondo. Il D. condusse a termine con esito positivo la missione affidatagli verso l'aprile 1387 e raggiunse nuovamente il Barbo con il quale, il 4 luglio 1387, incontrò a Zagabria la regina Maria d'Angiò fino a poco tempo prima prigioniera del bano di Croazia, Giovanni di Horvath.
Possediamo il testo della relazione che il D. fece alla Signoria su quanto il Barbo gli aveva ordinato, in cui si trovano ricordati anche avvenimenti e colloqui di cui era stato testimone. Il D. si trovava ancora in Ungheria il 14 giugno 1388, quando, insieme col notaio Simone de Trentis, presentò al re i doni offerti dal Barbo, ma poco più tardi rientrò a Venezia. Qui si fece iscrivere fra i candidati alla carica di cancelliere di Creta in successione a Domenico Grimani e riuscì eletto nel novembre 1388 fra sette concorrenti, suscitando il forte risentimento di Pietro Conte, cancelarius camere Crete, che in seguito cercò di diffamarlo. Il 12 dic. 1388 il D. rogò a Venezia l'atto di cessione di Argo e Nauplia di Romania alla Repubblica da parte di Maria di Enghien e fu poi presente come testimone alla successiva promessa di Maria di non sposarsi se non con un nobile veneziano.
È ricordato a Venezia il 22 genn. 1389 da una postilla aggiunta a un precedente testamento, ma di lì a poco (il 10 febbraio) venne inviato in Ungheria per una missione diplomatica presso i regnanti, sull'esito della quale gli fu prescritto di presentare una minuta relazione al ritorno. Il 18 giugno dello stesso anno fu solennemente investito del cancellierato cretese. Il 3 febbr. 1390 gli venne tuttavia ordinato di recarsi nuovamente in Ungheria presso il re Sigismondo e la regina Maria, evidentemente come esperto dei problemi politici della regione.
Il D. doveva inoltre godere della particolare confidenza di Maria d'Angiò, a giudicare dal fatto che gli fu raccomandato di garantire la serietà dell'impegno veneziano se, come già era accaduto, la regina gli avesse fatto confidenze senza autorizzarlo a riferirle. Nel marzo dello stesso anno, dando corso alla richiesta fatta dopo la seconda legazione ungherese, il Maggior Consiglio gli concesse la somma di 60 ducati d'oro come indennizzo per le spese e i danni subiti nei viaggi fatti per conto della Signoria. Si legge nella relativa "grazia" che il D. si era recato saepius in Ungheria, Slavonia e Germania per ardue missioni e ciò vale come testimonianza di un'attività diplomatica più intensa di quanto non risulti dalle fonti finora esaminate.
Il D. mantenne il cancellierato di Creta fino alla morte e si allontanò dall'isola soltanto per altre missioni di cui fu incaricato o per occasionali permessi di soggiorno a Venezia. Il 4 marzo 1395, quando forse si trovava a Venezia per motivi di famiglia, fu inviato in Francia per ottenere la liberazione di Fantino Michiel, imprigionato e spogliato di ogni avere da Guillaume de Vienne, per rappresaglia dei danni inflitti al fratello da alcune galere veneziane.
In Francia fu poi raggiunto dall'ambasciatore Giovanni Alberti, ufficialmente inviato dalla Signoria presso il re Carlo VI dopo che Guillaume de Vienne aveva arrestato altri tre veneziani. La legazione ebbe buon esito e il 14 marzo 1396 il re scrisse a Guillaume de Vienne ordinandogli di lasciare liberi i veneziani, restituendo loro i beni e annullando le obbligazioni eventualmente contratte in prigionia.
Il D. tornò quindi a Creta, dove è attestato in data 1º maggio 1398 e dove si era stabilito anche il figlio Monaco. Lo perdiamo di vista per qualche anno per ritrovarlo il 22 marzo 1406, quando gli venne concesso di tornare a Venezia per sei mesi, senza però percepire stipendio, a motivo della morte del fratello Stefano che lo aveva nominato fidecommissario, e per il disbrigo di altri affari. Il D. partì probabilmente da Creta all'inizio del 1407 e, a Venezia, partecipò come testimone alla firma del trattato di alleanza fra la Repubblica e Pandolfo Malatesta (1º luglio 1407). Il 17 ottobre era ancora in città e non si sa esattamente quando sia tornato nell'isola, dove la sua presenza è attestata nel 1408 e nel 1409. Qui continuò a trattare gli affari di cancelleria e a esercitare la professione di notaio. In data 11 genn. 1411 il Maggior Consiglio gli concesse di recarsi nuovamente a Venezia per sei mesi, per il matrimonio di una nipote.
Non è chiaro quando abbia usufruito del permesso poiché, in base ai documenti rimasti, non si allontanò da Creta se non dopo il 14 apr. 1412, per tornarvi prima del 7 marzo 1413. Il 21 dic. 1414 era comunque a Venezia dove il Maggior Consiglio, dopo il parere favorevole espresso dal Consiglio dei quaranta, gli permise di rimanere per altri sei mesi. Da ciò si deduce che, almeno apparentemente, si trovò a Venezia nel 1412, per poi tornarvi due anni più tardi, fermandosi fino al giugno 1415. In seguito non sembra essersi più allontanato da Creta, dove proseguì l'attività di notaio, come attestano gli atti dal 1419 al 1428 che ci sono conservati, a eccezione di quelli del 1425. Ci sono giunti, inoltre, numerosi documenti che ne attestano gli interessi nell'isola, relativi a prestiti di denaro, alla compravendita di schiavi e, particolarmente, alle rendite percepite dall'affitto di beni immobili. In due occasioni, inoltre, il D. delegò altre persone a rappresentarlo a Venezia (nel 1422 e nel 1425), non intendendo evidentemente allontanarsi più da Creta. Dopo la morte della prima moglie si era risposato con la sorella di Giorgio Paradiso, notaio della curia di Candia, da cui probabilmente ebbe il secondo figlio di nome Giacomo, che nel 1411 faceva pratica notarile nello studio di Giorgio Candachiti.
Il D. morì a Creta nella primavera del 1428.
La fama del D. è legata soprattutto alla sua attività letteraria come storico, oratore e poeta. Poco si conosce tuttavia d ella sua formazione culturale. L'attività professionale gli impedì verosimilmente di seguire corsi superiori, ma sicuramente frequentò l'ambiente dei notai-umanisti e quello dei letterati. Fra questi ultimi ebbe rapporti con Francesco Barbaro, Leonardo Bruni, il medico Guglielmo da Ravenna, l'an-imiraglio e umanista Carlo Zeno e, forse, conobbe anche il Petrarca. Dall'opera del D. si desume una vasta conoscenza di opere classiche e medievali; sappiamo, inoltre, che possedeva libri, tra cui un codice di Terenzio ora alla Bodleiana di Oxford, e che altri ne ottenne in prestito nel 1388 da Giovanni Conversini. Fu il D., infine, a inviare al Barbaro un'Iliade ora alla Marciana di Venezia e, forse, anche un'Odissea della stessa biblioteca. Egli ebbe probabilmente contatti anche con l'ambiente culturale di Creta, ma non si hanno testimonianze in proposito. Conosceva forse anche il greco sebbene, intorno al 1416, affermasse di non averlo mai studiato.
Negli anni intorno al 1380 il D. era noto sia a Venezia sia fuori per le sue composizioni poetiche: il primo verso dell'epistola metrica inviatagli da Antonio Loschi verso il 1390 lo ricorda, infatti, come poeta in volgare e la stessa considerazione si coglie nella Leandreide, un poemetto composto fra 1381 e 1383 e attribuito a Gian Girolamo Natali. Nulla ci resta però di questi versi né di un componimento sulla guerra di Chioggia, ricordato dal Loschi, né di un altro più ampio sull'argomento che il D. preannunciò al Loschi stesso e che forse non fu mai composto. Verso il 1388 il D. scrisse un carme in esametri sulle vicende di Ungheria (dal 1382 al 1386) al fine di allontanare dalle regine Maria ed Elisabetta il sospetto di aver fatto assassinare Carlo di Angiò Durazzo, re di Napoli. Il carme, dedicato a Pietro Emo duca di Creta e preceduto da una lettera introduttiva del D. a Maria d'Angiò, è noto sotto tre diversi titoli: Carmen metricum de Caroli Parvi lugubri exitio; Historia de Carolo II cognomento Parvolo rege Hungariae e Pia descriptio miserabilis casus illustrium reginarum Hungariae. Il17 ott. 1407, a Venezia, il D. pronunciò nella chiesa di S. Zaccaria l'orazione funebre in onore di Vitale Lando alla presenza del doge Michele Steno (Sermo ... in celebritate exequiarum q. nobilissimi viri d. Vitalis Lando). Ildiscorso fu poi dedicato dal D. a Pietro Lando ed è giunto fino a noi. Si tratta di uno dei molti sermones che, come attesta Francesco Barbaro in una lettera scritta intorno al 1416, il D. aveva composto ed erano noti nell'ambiente veneziano. Del 1421 è un'orazione per il millenario di Venezia, una laus civitatis inviata al doge Tommaso Mocenigo e generalmente nota come Oratio de edificatione et incremento urbis Venetae. Nel 1425 il D. dirigeva un'altra orazionelettera al doge Francesco Foscari per incitarlo a perseverare nella guerra contro Filippo Maria Visconti. Tra il 1421 e il 1428 cade la composizione dell'opera maggiore del D.: la cronaca, in sedici libri, dalle origini di Venezia al 1354, cui l'autore attese fino alla morte. La cronaca è stata pubblicata nel 1758 con il titolo surrettizio di Chronicon de rebus Venetis, ma in seguito è stato proposto di intitolarla De gestis, moribus et nobilitate civitatis Venetiarum come scrive il D. nel proemio e, più recentemente, dall'orazione per il millenario di Venezia è stato desunto il titolo esatto De origine Venetiarum. De vita, moribus et nobilitate Venetorum. Di particolare interesse, nell'opera storica del D., sono il metodo di composizione che si stacca dalla tradizione annalistica e l'ampia utilizzazione di fonti bizantine.
Alcune opere del D. sono ancora inedite. Nel cod. Vat. lat. 5223 della Bibl. apost. Vaticana, ff. 58v-59r si leggono due sue lettere a Carlo Zeno scrittegli in occasione di un infortunio. Nello stesso codice, a ff. 66r-67v, è contenuta Ilorazione funebre del Lando, mentre nel ms. Marc. latino XIV, 263 (= 4613) della Bibl. naz. Marciana di Venezia, ff. 1-5, è contenuta in originale l'epistola ad excellentissimum et illustrissimum principem dominum Franciscum Foschari. La cronaca è pubblicata da F. Corner (Laurentii de Monacis Veneti Cretae cancellarii Chronicon de rebus Venetis ab urbe condita ad annum MCCCLIV..., Venetiis 1758, pp. 1-320). Al seguito del Chronicon si legge nella stessa opera dei Corner l'Historia de Carolo II con l'epistola introduttiva del D. (pp. 323-338) pubblicata in base al cod. Vat. lat. 11507, ff. 1-9. La relazione fatta al ritorno dall'Ungheria (Relatio facta ... pro parte nobilis viri ser Pantaleonis Barbo ambaxiatoris ad partes Hungariae in quantum tangit et spectat ad facta unionis et subsidii postulati) è riportata in latino in Magyar diplomacziai emlékék, III, a cura di G. Wenzel, in Mon. Hung. Hist., Acta externa, III, Budapest 1876, pp. 623 ss. e in Listine ..., in Monumenta spectantia historiam Slavorum meridionalium, IV, a cura di S. Ljubić, Zagabriae 1874, n. 340, pp. 237 s. È inoltre tradotta in italiano da S. Romanin, Storia documentata di Venezia, III, Venezia 1913, pp.312 ss. Infine, l'orazione per il millenario di Venezia è stata edita da M. Poppi, Un'orazione del cronista Lorenzo de Monacis per il millenario di Venezia (1421), in Atti dell'Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, CXXXI (1972-73), pp. 483-97, dal cod. Marc. lat. XIV, 255 (= 4576) in cui è erroneamente attribuita a Leonardo Aretino e reca il titolo Oratio elegantissima ad serenissimum principem et ducem Venetorum in laude et edificatione alme civitatis Venetiarum. Lo stesso editore (a p. 482) riporta la breve notizia sull'orazione contenuta nel ms. A. 201 della Biblioteca comunale dell'Archiginnasio di Bologna, dove lo scritto è indicato come Oratio de edificatione et incremento urbis Venetae.
Fonti e Bibl.: L'indicazione completa delle fonti e della bibliografia sul D. si ha in M. Poppi, Ricerche sulla vita e cultura del notaio e cronista veneziano L. D., cancelliere cretese (circa 1351-1428), in Studi venez., IX (1967), pp. 153-86. Si possono inoltre consultare A. Pertusi, Laurent D. chancelier de Crète (1388-1428) et les sources byzantines de son ouvrage historique, in Κρητικὰ Χρονικ XVIII (1968), pp. 207-11;A. Carile, La cronachistica venez. (secoli XII-XVI) difronte alla spartizione della Romania nel 1204, Firenze 1969, pp. 85, 86n., 107, 141, 181, 182 n., 193-96, 199, 202, 205; Id., Aspetti della cronachistica veneziana nei secoli XIII e XIV, in La storiografia venez. fino al sec. XVI. Aspetti e problemi, acura di A. Pertusi, Firenze 1970, p.80 n.; G. Arnaldi, Andrea Dandolodoge-cronista, ibid., pp. 147 n., 218; A. Pertusi, Gli inizi della storiografia umanistica nel Quattrocento, ibid., pp. 277-86, 289, 295, 304 n., 309, 310 n., 319 n., 324, 326 s.; M. Poppi, Un'orazione..., cit., pp. 463-81;L. Gargan, Il preumanesimo a Vicenza, Treviso e Venezia, in Storia della cultura veneta, II, Vicenza 1976, p. 162;A. Carile-G. Fedalto, Le origini di Venezia, Bologna 1978, pp. 109, 116, 119-22, 204; F. Gaeta, Storiografia, coscienza nazionale e politica culturale nella Venezia del Rinascimento, in Storia della cultura veneta, III, 1, Vicenza 1980, pp. 16-25, 35-39, 44, 46, 62 n., 63, 68 s., 71, 91; A. Pertusi, L'umanesimo greco dalla fine del secolo XIV agli inizi del secolo XVI, ibid., pp. 180, 197, 200 n., 209 s., 212 s.; A. Ventura, Scrittori politici e strutture di governo, ibid., III, 3, ibid. 1981, pp. 524, 537; F. Gaeta, L'idea di Venezia, ibid., pp. 568, 575-78, 601; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, IV, pp. 159 s.