FRAPOLLI, Lodovico
Nato a Milano il 23 marzo 1815 da Cesare e da Giuseppina Busti, crebbe nell'ambiente borghese medioalto della capitale lombarda. Il padre era intimo di A. Manzoni e più volte il F. bambino trascorse le vacanze con la madre a Brusuglio, nella casa dello scrittore. Ancora molto giovane frequentò con ottimi risultati la scuola militare per cadetti di Olmütz (Olomouc), in Moravia; nel 1836 vi venne nominato ufficiale e per qualche tempo militò in una unità di stanza in Polonia. Trasferito in Lombardia per motivi di salute, nel 1841 lasciò l'esercito austriaco e si recò a Parigi per studiare geologia all'École des mines. Qualche anno dopo si laureò ingegnere minerario.
Fino al 1848 si occupò esclusivamente di ricerca scientifica. Percorse gran parte dell'Europa centrosettentrionale, in particolare Francia, Germania e Scandinavia, per studiare la natura geologica di quei luoghi. Pubblicò numerosi saggi sui risultati delle sue esplorazioni e parve avviato a una brillante carriera accademica.
I suoi scritti apparvero, fra il 1845 e il 1848, negli Annales des mines, nei Poggendorff's Annalen der Physik e soprattutto nel Bull. de la Société géologique de France. Ebbe grandi maestri, fra i quali E. de Beaumont e A. von Humboldt. Divenne segretario per l'estero della Société géologique de France.
A Parigi, luogo di soggiorno e crocevia di molti esuli, il F. conobbe numerosi emigrati: G. Ferrari, G. Sirtori e C. Porro, G. Massari, L.C. Farini e tanti altri; fu assiduo del salotto della contessa Cristina Trivulzio di Belgioioso. Nel 1843 si recò a Londra per conoscere G. Mazzini, più tardi familiarizzò con F.-R. de Lamennais.
Durante le giornate parigine del febbraio 1848 accorse con Sirtori sulle barricate. Giunte le notizie della rivolta milanese, alla fine di marzo ritornò nella capitale lombarda. Diventò subito segretario del ministro della Guerra G. Provana di Collegno, anch'egli geologo e vecchia conoscenza di famiglia. In questa posizione esplicò, per pochi giorni, un'attività febbrile. Elaborò in particolare la Legge sull'organizzazione della difesa della patria, pubblicata in manifesto l'11 apr. 1848. Ma già il 6 precedente gli era stato affidato il compito di rappresentare il governo provvisorio a Parigi, che raggiunse rapidamente.
Nella nuova posizione il F. si preoccupò soprattutto dell'acquisto di equipaggiamenti militari. A lui si rivolsero italiani, francesi, ungheresi e polacchi che desideravano arruolarsi nelle file lombarde. Probabilmente obbedì a malincuore alle istruzioni del governo di frenare l'accorrere dei volontari. Insistette invece perché fosse reclutato come generale in capo il polacco M. Rybinski, con cui aveva avviato trattative, e poi raccomandò con molto calore A. Chrzanowski, che nel marzo dell'anno successivo sarebbe stato sconfitto a Novara. Proclamata in maggio l'annessione della Lombardia al Piemonte, il suo spirito repubblicano si ribellò ed egli diede le dimissioni. Le ritirò su sollecitazione dello stesso G. Casati, ma subito dopo venne dimesso, accusato di aver espresso idee non conformi con quelle del suo governo. Rimase in carica fino all'agosto per portare a compimento le iniziative già avviate.
Caduta la Lombardia, riallacciò i rapporti con Mazzini. Insieme con C. Cattaneo fu chiamato a rappresentare l'emigrazione alla mai realizzata conferenza di pace di Bruxelles fra Piemonte e Austria. Nel novembre G. Montanelli gli chiese di organizzare una legione polacca di 2.000 uomini. Candidato ad assumere il comando era ancora Rybinski. Si stipulò una convenzione che avrebbe potuto assumere concretezza nel marzo successivo, quando il F. ebbe la nomina di ambasciatore a Parigi dal governo toscano, ma gli avvenimenti dell'ex Granducato ne impedirono la ratifica. Il 31 marzo 1849 l'amico Mazzini gli conferì l'incarico di ministro plenipotenziario della Repubblica Romana a Parigi. Come nei casi precedenti, la sua missione non venne riconosciuta ufficialmente dal governo francese. Trovò il modo di fare sentire lo stesso la sua voce, soprattutto quando i transalpini sbarcarono a Civitavecchia, sia tramite il ministro degli Esteri J. Bastide, che gli divenne amico, sia attraverso i deputati della "Montagna".
Caduta la Repubblica Romana, venne accusato di aver partecipato ai moti del giugno 1849, imprigionato e poi espulso dalla Francia di Luigi Bonaparte, conosciuto quando era ancora "représentant du peuple". Attraverso il Belgio raggiunse il Canton Ticino, dove soggiornò tre anni. Per essere la sua famiglia originaria del luogo poté avere la cittadinanza svizzera, ciò che gli consentì di superare tranquillamente le burrascose dispute fra Confederazione e Austria, quando il feldmaresciallo J.W. Radetzky pretese che fossero allontanati dai confini i compromessi politici rifugiatisi nel Cantone. Aiutò molti esuli a espatriare, coadiuvato dai nuovi amici G.B. Pioda, M.N. Allemandi e, in special modo, C. Battaglini. Collaborò in varie forme alla Tipografia elvetica di Capolago, da cui si ritirò dopo il dissidio scoppiato fra mazziniani-unitari e cattanei-federalisti.
Nel 1853, per intercessione di Gerolamo Bonaparte, da lui conosciuto nel '48 e con cui continuerà a mantenersi in rapporto, poté rientrare in Francia, sua patria adottiva, e proseguirvi l'attività imprenditoriale e finanziaria che aveva iniziato a Lugano. Si occupò di ferrovie, come rappresentante di banchieri francesi e inglesi. Stimolò il processo di industrializzazione della Sardegna, dove impiantò una fabbrica di distillazione dell'alcol etilico ricavato dalla fermentazione dei bulbi dell'asfodelo ramoso. Si interessò dell'utilizzo del guano depositato dai pipistrelli nelle caverne dell'isola ed ebbe una partecipazione importante nella Società mineraria di Gennamari.
Nel 1859 la seconda guerra di indipendenza lo colse fermo nelle sue posizioni ideologiche, ma deluso dai risultati ottenuti con i metodi insurrezionali. In aprile accorse in Piemonte e con G. Klapka organizzò la prima legione ungherese in Italia, che raggiunse un organico di 3.200 uomini. Dopo Villafranca C. Cavour lo mandò a Modena dal dittatore delle Provincie dell'Emilia, L.C. Farini, da cui ebbe la nomina a ministro della Guerra. Chiamò molti ufficiali e sottufficiali ungheresi appena conosciuti durante il lavoro organizzativo della legione. Conobbe G. Garibaldi e con lui fu protagonista del dissidio con M. Fanti e a novembre diede le dimissioni. Il Farini continuò ad affidargli incarichi di fiducia, fra cui l'acquisizione di un prestito di 10 milioni e una missione diplomatica in Svezia, interrotta dall'esito dei plebisciti. Nei primi giorni dell'agosto 1860 raggiunse Garibaldi in Sicilia. Non riuscì a inserirsi a pieno agio nella spedizione, forse perché aveva votato a favore della cessione di Nizza e Savoia e Garibaldi mal tollerava coloro che avevano contribuito a sottrarre all'Italia la sua città natale. Prima dello sbarco in Calabria assunse comunque un incarico logistico ed entrò a Napoli con i primi volontari, insieme con il dittatore. Aveva già in mano il brevetto di nomina a generale quando si ammalò gravemente e dovette forzatamente uscire di scena.
Agli inizi del 1860 era stato eletto deputato per il collegio di Casalpusterlengo. Nella IX legislatura il mandato parlamentare gli venne rinnovato dal collegio di Gavirate, nella X e XI da Altamura. Partecipò scarsamente ai lavori della Camera. Militò sempre nella Sinistra. Nell'azione politica tuttavia i suoi atteggiamenti ebbero carattere prevalentemente autonomo. Nel 1866 fu inviato a Berlino in missione segreta da B. Ricasoli, a cui fece poi da tramite l'amico E. Visconti Venosta. Aveva il compito di concordare con il Klapka una spedizione di fuorusciti per sollevare l'Ungheria. L'iniziativa, caldeggiata anche da O. von Bismarck, fu sospesa dopo la firma dell'armistizio.
Raggiunta l'Unità, il F. svolse un ruolo di primo piano nella ricostituzione della massoneria italiana, sopravvissuta in modo frammentario dopo la caduta dell'Impero napoleonico.
Ricevuto in loggia il 10 dic. 1862, a fine mese, con procedura inconsueta, aveva già percorso tutta la gerarchia dell'Ordine fino a raggiungere il 33º grado, vertice della piramide iniziatica. Diventò di lì a poco venerabile della loggia "Dante Alighieri" e da quel momento il suo nome è associato agli eventi fondamentali del primo decennio postunitario dell'istituzione. Fu tra i più convinti interpreti del rito scozzese antico e accettato; protagonista dell'assemblea costituente fiorentina del 1864, nella quale funse da "oratore", riuscì a far eleggere Garibaldi gran maestro. Svolse una funzione coesionante essenziale per la costituzione del Grande Oriente d'Italia (GOd'I) decisamente più progressista del Grande Oriente italiano (GOI), fondato a Torino nel 1859 dopo l'annessione della Lombardia, e a cui succedeva. Sempre nel 1864 pubblicò in italiano e francese Una voce…; nell'introduzione il saggio assumeva a riferimento gli elementi filosofici caratterizzanti del Système social…, dato alla luce nel 1850; nella seconda parte enunciava i principî cui si sarebbe dovuta ispirare la massoneria e gettava le basi dei primi statuti postunitari dell'Ordine di una qualche rilevanza, dati alle stampe nel 1867.
Fino a quell'anno F. si era impegnato nella diffusione del pensiero massonico in modo discontinuo. Eletto gran maestro aggiunto nell'assemblea di Napoli del giugno 1867, diventò gran maestro quasi subito per le dimissioni di F. Cordova, molto malato, che sarebbe scomparso di lì a poco. Assurto al vertice dell'associazione, ne tenne le redini assai energicamente per più di tre anni, dandole dignità e consensi. Demolì logge irregolari e ne costruì molte nuove; stabilì fitte relazioni con le comunioni estere, intraprendendo i primi contatti con la Gran Loggia d'Inghilterra. Promosse il movimento di unificazione del variegato mosaico massonico peninsulare, concordando la confluenza nel GOd'I del rito simbolico di Milano, guidato da A. Franchi, e di un gruppo consistente delle sempre ribelli logge palermitane. Durante la sua presenza nell'Ordine aderirono al gruppo che in lui si riconosceva personaggi autorevolissimi. Fra deputati, senatori, ministri e presidenti del Consiglio spiccano M. Macchi, G. Tamajo, L. Pianciani, G. Asproni, F. De Luca, A. Depretis, A. Bertani, A. Mordini, D. Farini, F. Pescetto, A. Fortis, N. Fabrizi. Non mancarono i rappresentanti del mondo della cultura, come il musicista G. Bottesini, G. Bovio, O. Antinori.
A cavallo fra l'agosto e il settembre del 1870 il F. mobilitò l'Ordine perché stimolasse l'opinione pubblica e quindi il governo a occupare Roma. Dopo la presa della città da parte delle truppe italiane abbandonò per l'ultima volta gli affari personali e diede le dimissioni dalle cariche massoniche per accorrere in aiuto alla Repubblica francese sorta dalle rovine di Sedan. Ricevette Garibaldi a Marsiglia e ne divenne capo di stato maggiore. Organizzò per lui i primi volontari giunti da ogni parte d'Europa. All'inizio di novembre se ne separò per gli intrighi di una discussa figura di avventuriero, il francese J.P.T. Bordone, che mal sopportava la posizione in subordine alla quale era stato relegato in un primo tempo. L. Gambetta nominò il F. generale e lo incaricò di costituire un corpo di volontari autonomo, l'"Étoile", che alla fine della campagna comprendeva intorno a 5.000 uomini.
Ritornato in Italia e scaduto il suo mandato parlamentare, nel 1874 non riuscì a farsi eleggere ed ebbe contrasti con i nuovi dirigenti della massoneria. Ricoverato in una clinica psichiatrica torinese per tre anni, vi morì suicida il 25 apr. 1878.
Dal 1848 al 1870 il F. aveva svolto un'intensa attività pubblicistica, collaborando a La Concordia, la Gazzetta di Milano, Il Progresso di Torino, Il Diritto, il Gazzettino rosa e ai giornali francesi Tribune des peuples, l'Estafette de la République, Le Peuple e La Réforme. Di quest'ultima, negli ultimi tre mesi di vita diretta dal Lamennais, fu uno dei principali azionisti. In Svizzera fu tra i fondatori de La Democrazia. In essa, oltre che nell'Eco delle provincie, nella Tribune suisse e nel Journal de Genève di James Fazy, intervenne spesso per dibattere sugli avvenimenti politici della Confederazione. Nel 1864 aveva fondato il Bollettino del Grande Oriente della massoneria in Italia, di cui diversi numeri furono da lui completamente redatti. Quando questo periodico cessò le pubblicazioni nel 1869, lo sostituì con la Rivista della massoneria italiana, il cui primo numero è del 30 luglio 1870.
Suoi saggi politici sono: État de la question italienne. La Lombardie, l'Autriche et Charles-Albert, Paris 1848; La mediazione e la diplomazia piemontese, Capolago 1848; Système social et système national, Paris 1850; L.C. Farini, Quadri storici degli ultimi anni, dettati dall'autore di Una Voce, Torino 1864; Ai suoi compaesani ed antichi lettori del collegio di Gavirate, Luino, Angera, Torino 1867.
Scritti massonici sono: Una voce, Torino 1864, di cui esiste un'edizione clandestina pubblicata a Trieste con il titolo La vera massoneria, Rivelazioni e voti di un figlio della vedova, Trieste 1864; Statuti generali dell'Ordine massonico, Firenze 1867; Maçonnerie italienne, in Bull. du Grand Orient de France, XXV (1869), p. 29; Lettera a Goodall, Firenze 1871.
Fonti e Bibl.: Eccetto quello in Lennings Encyklopädie der Freimaurerei, Allgemeines Handbuch der Freimaurerei, I, Liepzig 1900, sintetico ma preciso, i profili tracciati nei dizionari biografici sul F. sono approssimativi. Tra i riferimenti bibliografici utili si ricordano: [C. Di Leo], Il nuovo gran maestro dei liberi muratori…, in L'Emporio pittoresco, VI (1869), p. 262; M. Rosi, Il Risorgimento italiano e l'azione d'un patriota cospiratore e soldato, Roma-Torino 1906, pp. 78 s.; U. Bacci, Il libro del massone italiano, II, Roma 1911, pp. 126 s.; A. Luzio, La massoneria e il Risorgimento italiano, II, Bologna 1925, pp. 73 s.; M. Menghini, L. F. e le sue missioni diplomatiche a Parigi (1848-1849), Firenze 1930; 1848, Il carteggio diplomatico del governo provvisorio della Lombardia, a cura di L. Marchetti - F. Curato, Milano 1955, ad Indicem; M. Jàszay, L. F. e gli emigrati ungheresi nel Risorgimento, in Rass. stor. del Risorgimento, XLVII (1960), p. 531; C. Brezzi, Orientamenti della massoneria intorno al 1870, in Chiesa e religiosità in Italia dopo l'Unità…, Atti del IV Convegno di storia della Chiesa - La Mendola… 1971, II, Milano 1973, p. 307; L. Polo Friz, L. F. e G. Mazzini, in Boll. della Domus mazziniana, XXV (1979), p. 143; Id., L'ingresso in loggia di L. F., in Hiram, 1980, p. 84; Id., La massoneria e Roma dall'Unità a porta Pia, in Storia della massoneria - Testi e studi, a cura di A.A. Mola, I, Torino 1981, p. 63; A.A. Mola - L. Polo Friz, I primi vent'anni di G. Garibaldi in massoneria 1844-1864, in Nuova Antologia, luglio-settembre 1982, pp. 347-374; L. Polo Friz, Garibaldi e Mazzini nel 1848, in Garibaldi sul lago Maggiore - Atti del Convegno, a cura di L. Polo Friz, Novara 1983; C. Montalbetti - L. Polo Friz, A. Franchi e la massoneria: il rito simbolico di Milano, in Il Risorgimento, XXXVI (1984), p. 160; L. Polo Friz, L. F.: un gran maestro nei rapporti con esuli ungheresi e polacchi, in La liberaz. d'Italia nell'opera della massoneria - Atti del Convegno, a cura di A.A. Mola, Foggia 1990; Id., L. Kossuth - L. F., La crisi austro-svizzera del 1853, in Boll. stor. della Svizzera ital., CII (1990), p. 175; Id., Giuseppe Ferrari e L. F.: un rapporto di amore e odio tra due interpreti del Risorgimento italiano, in Giuseppe Ferrari e il nuovo Stato italiano - Atti del Convegno, a cura di S. Rota Ghibaudi - R. Ghiringhelli, Milano 1992; Id., L. F. e l'emigrazione ungherese nel Risorgimento italiano, in Rass. stor. toscana, XXXIX (1993), pp. 265-286.