Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel pensiero di Saussure la lingua è un sistema di segni che hanno il fine di comunicare idee e la linguistica trova il suo posto all’interno di una scienza generale egli chiama semiotica. La Scuola di Praga sposterà l’attenzione sul concetto di “funzione” e sulla considerazione che una lingua è un sistema di mezzi d’espressione appropriati a un fine: perciò si costituiscono tante “lingue” quante sono le funzioni a cui il linguaggio deve fare fronte. Lo strutturalismo di Lévi-Strauss, infine, deve molto alla rivoluzione linguistica. In Antropologia strutturale afferma che i fatti culturali e sociali, così come i fonemi, assumono un senso solo all’interno di un sistema di regole e relazioni sincroniche che li mettono in relazione.
La linguistica sausurriana
Roman Jakobson
Codifica e decodifica
Grosso modo, il processo di codificazione si sviluppa dal significato al suono, dal livello lessico-grammaticale al livello fonematico, mentre il processo di decodificazione presenta lo sviluppo inverso: dal suono al significato, dai tratti ai simboli. [...] Senza dubbio, fra il parlante e l’ascoltatore si instaura “feedback”, ma la gerarchia dei due processi è opposta per il codificatore e decodificatore. Questi due aspetti distinti del linguaggio sono irriducibili l’uno all’altro.
R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli, 1966
Louis Hjelmslev
La struttura del linguaggio
Mio primo e fondamentale compito sarà presentare la struttura fondamentale del linguaggio. [...] Spesso si è affermato che un linguaggio è un sistema, e ciò mi trova sostanzialmente d’accordo, benché parecchio dipenda da cosa si intende per sistema. Ma pur ammettendo che nel linguaggio vi sia un sistema, non dovremmo mancare di accorgerci che ciò che immediatamente notiamo non è un sistema, ma un processo, o, come possiamo convenientemente dire parlando di linguaggi, un testo. La successione e, nel caso dei linguaggi, il testo, è l’oggetto che dobbiamo analizzare. [...] Abbiamo già visto che la prima suddivisione del testo dovrà essere quella nei suoi due piani: la catena del contenuto e quella dell’espressione.
L. Hjelmslev, Saggi linguistici, Milano, Edizioni Unicopli, 1988
Nei primi anni del secolo la linguistica è protagonista di una vera e propria rivoluzione paradigmatica che ha come protagonisti prima Ferdinand de Saussure poi la scuola di Praga, e in particolare Roman Jakobson.
Saussure, dopo aver studiato a Lipsia e a Berlino, insegna prima a Parigi e poi a Ginevra dove negli anni tra il 1906 e il 1910 mette a punto le sue concezioni fondamentali sulla linguistica, che saranno esposte nel Corso di linguistica generale , pubblicato tra il 1916 e il 1922 a cura di Charles Bailly e Albert Séchehaye, suoi allievi ginevrini. Il Corso di linguistica generale raccoglie le lezioni dei corsi accademici dal 1906 al 1911 ed è il testo fondamentale per il Novecento non solo per la linguistica e la semiotica, ma anche per tutta la variegata corrente dello strutturalismo.
Nel pensiero di Saussure la lingua è un sistema di segni che comunicano idee, la linguistica fa parte di una scienza più generale che egli chiama “semiologia” e ha il compito di occuparsi di un tipo particolare di segni che sono quelli verbali.
La prima e più importante distinzione che introduce Saussure è quella tra langue e parole , cioè tra l’insieme di regole strutturali del linguaggio e la loro applicazione storico-sociale, applicazione sia dell’individuo che della collettività; in altre parole da una parte c’è una struttura astratta, arbitraria e convenzionale e dall’altra un atto linguistico, concreto, materiale e contingente. Secondo Saussure la langue , intesa come sistema grammaticale e lessicale, esiste nella sua interezza solo nella collettività, mentre la parole è la concretizzazione del sistema in atti linguistici da parte dei singoli individui. Lo scopo della linguistica strutturale è quello di prendere in esame la lingua come un sistema di regole implicite nella lingua stessa che determina l’ambito delle possibilità espressive degli individui.
In controcorrente rispetto alla tradizione prevalente negli studi di linguistica fino a quel momento Saussure afferma che il segno linguistico non unisce una “cosa” a un “nome” ma lega un concetto a un’immagine acustica. Allo stesso modo rimprovera agli studi linguistici precedenti la scelta di privilegiare le ricerche sulla dimensione evolutiva della lingua, scegliendo nell’analisi l’approccio diacronico. Saussure, al contrario, sceglie di privilegiare l’approccio sincronico, e spesso usa la metafora degli scacchi per esemplificare lo studio della lingua: così come nel gioco degli scacchi, la variazione di posizione di un singolo pezzo determina un cambiamento nell’intero sistema e diviene assolutamente inutile, per comprenderlo, conoscere come si sia arrivati a quel determinato punto del gioco, così nella lingua sincronia ed etimologia sono realtà assolutamente distinte e indipendenti e non giocano alcun ruolo nella comprensione reciproca.
Il linguaggio diviene quindi un insieme di regole, con una prospettiva dichiaratamente antisoggettivistica e antiumanistica.
Accanto alle contrapposizioni lingua/parola e sincronia/diacronia troviamo altre importanti tesi di fondo della linguistica, come quella dell’accoppiata di significante (il mezzo impiegato per l’espressione, la forma acustica) e significato (ciò che è espresso dal segno, il concetto), e l’uno non può esistere senza l’altro – questa definizione di Saussure (significante/significato) è rimasta uno standard per la semiotica. L’altra tesi è quella dell’arbitrarietà del segno: i segni sono arbitrari perché la loro relazione è immotivata e si fonda su una convenzione; l’arbitrarietà è provata dal fatto che per esprimere uno stesso significato le diverse lingue usano significanti (forme acustiche) differenti; l’arbitrarietà consiste quindi nel fatto che il segno non è determinato da relazioni di causa ed effetto.
Una delle conseguenze più importanti della variazione di approccio alla linguistica postulata da Saussure è la possibilità che apre di formalizzazione e modellizzazione del linguaggio, attraverso analisi matematico-quantitative; questo aspetto assume importanza fondativa nello strutturalismo ed è alla base della riflessione antropologica di Lévi-Strauss.
Con Saussure ha avuto origine una felice tradizione di linguistica “strutturale”, ancora vitale e alternativa alla linea chomskyana. L’interpretazione più rigorosa e formalizzata della sua riflessione è forse quella di Louis Hjelmslev (1899-1965) e della Scuola di Copenhagen che a lui si richiama. Hjelmslev sviluppa una teoria del linguaggio, la “glossematica”, che viene compiutamente formulata nell’opera intitolata I fondamenti della teoria del linguaggio (1943) e che ha il compito di studiare i “glossemi”, individuati come i componenti primari e più elementari della lingua.
La Scuola di Praga
Negli anni immediatamente successivi alla riflessione dello studioso ginevrino e sotto la sua influenza si collocano anche le ricerche della Scuola di Praga e del suo esponente più prestigioso e geniale: Roman Jakobson. La Scuola di Praga nasce nel 1926 per iniziativa di due linguisti cechi, Mathesius e Trnka, e ben presto si allarga ad altri studiosi illustri come Trubeckoj (1890-1938) e Karcevskij, che non nascondono il debito nei confronti delle Ricerche logiche (1900-1901) di Husserl. Nel primo congresso mondiale di linguistica che si tiene all’Aja nel 1928 gli aderenti alla Scuola presentano alcune tesi e l’anno successivo viene dato alle stampe il primo volume dei Travaux du Cercle linguistique de Prague . L’intera opera è pubblicata nell’arco degli anni che vanno dal 1929 al 1938, ma immediatamente dopo l’apparizione del primo volume le tesi suscitano grandissimo interesse in campo accademico.
Accanto al concetto di “sistema” viene messo l’accento sul concetto di “funzione” e sulla considerazione che una lingua non è solo un sistema di mezzi d’espressione ma specificamente un sistema di mezzi d’espressione appropriati a uno scopo: vengono quindi a costituirsi tante “lingue” quante sono le funzioni a cui il linguaggio deve fare fronte. L’originalità della Scuola di Praga non si limita a questo: in contrapposizione con il dettato saussuriano gli studiosi praghesi affermano che non è possibile stabilire netti confini e demarcazioni tra l’approccio sincronico e quello diacronico, poiché ritengono che, se da un lato anche i mutamenti hanno un carattere strutturale, è innegabile, dall’altro, che i sistemi siano connotati anche dalla dinamicità.
L’altro punto originale della loro riflessione riguarda gli studi di fonologia, sviluppati in primo luogo da Trubeckoj, il cui testo più importante, Fondamenti della fonologia , esce postumo nel 1939. Lo studio dei fonemi (le unità minime della lingua) operato dalla Scuola di Praga mette in luce alcune loro caratteristiche, tre in particolare, che sono denominate funzione “distintiva”, funzione “contrastiva” e funzione “espressiva”.
Nel campo della linguistica strutturale l’innovazione forse più originale di Jakobson nei confronti della semiologia di Saussure è l’estrema attenzione che viene dedicata al modello della teoria della comunicazione che, a parere dello studioso ceco, è parte integrante della struttura del segno linguistico: il linguaggio per Jakobson non ha solo lo scopo di descrivere oggetti ma è caratterizzato anche da altre funzioni – referenziale, emotiva, conativa, fatica, metalinguistica, poetica –, in relazione all’attenzione che si pone sull’uno o sull’altro degli elementi della comunicazione.
Autore, fra gli altri, di un testo dal titolo Saggi di linguistica generale (1962-1982), per Jakobson tutti i processi linguistici sono il frutto della composizione di più fattori. Ne ricordiamo qui alcuni: il “mittente”, il “destinatario”, il “messaggio”, il “codice”. È sulla base di questi elementi che ci è possibile, sostiene lo studioso, mettere in luce la molteplicità di funzioni del linguaggio, e la diversità dei messaggi dipende dal diverso ordine gerarchico fra di loro. Di conseguenza, la struttura verbale di un messaggio è definibile in primo luogo dalla funzione predominante.
In sintesi, la Scuola di Praga – che attraverso Jakobson avrà una influenza decisiva sulla riflessione strutturalista – mette a punto la nozione di struttura e ritiene del tutto nullo il ruolo della coscienza nell’analisi dei fenomeni linguistici, in virtù del fatto che l’attività linguistica è costruita a partire da regole inconsce che sono ignorate dai singoli parlanti. È da sottolineare che la ricerca si estende in seguito anche all’analisi della morfologia di campi linguistici molto più complessi e complicati come la letteratura, la poesia, i racconti, le fiabe.
Claude Lévi-Strauss
Claude Lévi-Strauss incontra la linguistica strutturale nei primissimi anni Quaranta, negli Stati Uniti, dove si era rifugiato per sfuggire alle persecuzioni contro gli ebrei; insegna alla New School for Social Research di New York e qui conosce Roman Jakobson che dirige l’attenzione dell’antropologo sugli studi di Saussure e della scuola di Praga, in particolare sulle riflessioni di Trubeckoj inerenti la fonologia. Per Lévi-Strauss si tratta di un incontro decisivo, poiché resta colpito dal fatto che la linguistica abbia espresso e formalizzato alcune intuizioni che nel suo campo erano ancora confuse e poco chiare, ed essa diventa per lui una sorta di ideale epistemologico. Per Lévi-Strauss la scienza, per essere tale, deve essere “scienza delle strutture” e, conducendo una critica feroce alle correnti “umanistiche”, quali l’esistenzialismo o lo storicismo, egli perviene all’elaborazione dell’antropologia strutturale per la quale è possibile ricondurre ogni realtà a relazioni e leggi funzionali che ne stabiliscono i rapporti; a questo scopo la nozione di struttura elaborata dalla linguistica assume un’importanza fondativa perché consente di enunciare, anche nel campo dei fenomeni umani, relazioni in termini logico-matematici.
Nel 1958 Lévi-Strauss pubblica l’ Antropologia strutturale , testo che lo rivela come uno dei capifila del pensiero strutturalista, dove vi si afferma che i fatti culturali e sociali, così come accade per i fonemi, assumono un senso solo all’interno di un sistema di regole e relazioni sincroniche che li mettono in relazione, e, in questa accezione, perde di importanza un’analisi in termini evolutivi e storici. Negli studi di antropologia che lo contraddistinguono Lévi-Strauss indica nelle regole di relazione una sorta di matrice inconscia, un a priori che può essere formalizzato con un linguaggio algoritmico: si tratta di una sorta di inconscio collettivo formato da una serie di algoritmi e regole combinatorie dei simboli che strutturano la forma con cui gli uomini e le società costruiscono la propria cultura. Questa struttura è identica sia nelle culture “primitive” che in quelle “moderne” e viene definita da Lévi-Strauss come “struttura dello spirito”, laddove il primo termine ha nell’antropologo francese una valenza ontologica mentre il secondo definisce l’insieme delle strutture invarianti e delle regole formali che determinano l’azione della collettività e dei singoli.
Nello studio dei miti esposto sia nell’ Antropologia strutturale che nei quattro volumi delle Mythologiques (1964-1971) Lévi-Strauss analizza i mitemi – le grandi unità costitutive del mito – alla stregua dei fonemi, portando l’attenzione sui rapporti di correlazione tra di loro: l’analisi di questi rapporti permette di comprendere come il loro significato possa essere concepito solo in virtù di questi ultimi. In questo modo diviene possibile una lettura “formale”, che permette al ricercatore di stabilire la variabilità dei mitemi stessi nelle differenti versioni del racconto mitico. E se la creazione dei diversi racconti mitici può apparire, a una lettura superficiale, come un frutto del caso, in realtà l’analisi strutturale consente di mostrare le ragioni profonde degli sviluppi narrativi diversificati, mostrando un processo di aggregazione e riaggregazione che segue regole coerenti.