lingue artificiali
Il sogno di una lingua unica per tutti gli uomini
Ideate nel 16° secolo per favorire la comprensione e la pace tra i popoli, le lingue artificiali non hanno mai avuto grande successo: attualmente l’unica lingua artificiale esistente è l’esperanto. Tuttavia queste lingue nascono da nobili intenti morali e sono molto interessanti dal punto di vista intellettuale
Nel mondo si contano più di 6.000 lingue e, fino a poco tempo fa, la varietà linguistica veniva ritenuta un elemento negativo, una sorta di ‘maledizione’ cui porre in qualche modo rimedio. Non racconta infatti il mito biblico della Torre di Babele che l’umanità fu punita per aver tentato di raggiungere il cielo proprio con la perdita della lingua orginaria?
A partire dal 16° secolo si cominciò a pensare seriamente alla possibilità di inventare un’unica lingua artificiale per tutti gli uomini, in modo da eliminare almeno uno dei motivi di incomprensione tra le nazioni. Tra i primi ne parlò il filosofo Francesco Bacone (16°-17° secolo) e fino all’inizio del 19° secolo la sua idea fu ripresa da pensatori di rilievo come Giovanni Comenio (17° secolo) o Gottfried W. Leibniz (17°-18° secolo). Tuttavia, semplici e logici all’inizio, i sistemi escogitati diventavano complicati e faticosi da imparare man mano che venivano sviluppati. Dalla metà del 19° secolo si tentò un’altra strada. Le lingue artificiali cominciarono a essere costruite modificando una o più lingue esistenti. Fu così che nacquero lingue come il volapük, l’idiom neutral, l’ido e diverse altre lingue tra cui l’importante basic english inventato nel 1930 dallo studioso Charles Kay Ogden (19°-20° secolo) che presto però furono abbandonate a favore dell’esperanto.
A inventare l’esperanto fu un ragazzo polacco di quindici anni. Si chiamava Ludwig Lazarus Zamenhof, era nato nel 1859 e da grande sarebbe diventato medico oculista (morì poi nel 1917). L’idea di una lingua artificiale parlata da tutti venne a Ludwig perché l’ambiente in cui viveva era molto ricco linguisticamente. In casa parlava il russo, fuori casa incontrava l’yiddish (la lingua parlata dagli ebrei dell’Europa centrale e orientale), il polacco e l’ebraico. A scuola studiava il francese e il tedesco come lingue moderne, il greco e il latino come lingue antiche. Coltivando con costanza la sua passione, Zamenhof arrivò a pubblicare la prima grammatica della sua lingua nel 1887. Firmò col nome Doktoro Esperanto («Dottore speranzoso») e da allora la sua invenzione circolò col nome di esperanto.
L’esperanto di Zamenhof ha una pronuncia molto semplice, una grammatica snella e chiara e un vocabolario limitato a circa 8.000 parole che si possono combinare tra loro. Per esempio: l’articolo è uno solo, la, e vale per tutti i generi e numeri. Tutti i sostantivi escono in o, tutti i femminili si formano col suffisso in, tutti i plurali si formano aggiungendo j. Succede così, per esempio, che per dire «il fratello» si dica la frato. Per dire «i fratelli» si dica la fratoj. E lo stesso vale per «le sorelle»: «la sorella» si dice la fratino, «le sorelle» si dice la fratinoj. Insomma, un gioco linguistico ricco di mille sorprese.
La sua iniziativa ebbe subito un certo successo e oggi è l’unica proposta di lingua artificiale sopravvissuta. È infatti tuttora coltivata in varie nazioni, conta molti appassionati e praticanti in grado di scrivere in esperanto anche opere letterarie ed è stata addirittura promossa come materia di studio universitario.
Ma allora il desiderio di quell’intelligente ragazzo polacco d’inventare una lingua per tutti si sta avverando? È finita la ‘maledizione’ della Torre di Babele? Dire che quel desiderio si stia avverando forse è dire un po’ troppo. Sappiamo infatti che una lingua è parlata da tutti solo se nasce e vive in stretta unione con l’intera vita sociale e intellettuale di una comunità e perché questo accada occorre molto tempo e non poca fatica. Per questo motivo una lingua artificiale ha scarsa probabilità di affermarsi. Certo è però che l’esperanto è una lingua curiosa e interessante ed è importante soprattutto perché, come già ai tempi di Bacone o di Leibniz, nasce da una nobilissima idea: quella di unire i tanti popoli della Terra in un solo popolo in cui tutti possano sentirsi veramente fratinoj e fratoj.