LINDOS (Λίνδος)
Città quasi al centro della costa meridionale dell'isola di Rodi a 56 km dal capoluogo. L'abitato antico occupava la valle ad emiciclo nella quale sorge anche la cittadina moderna e che si stende fra l'acropoli, costituita da uno sperone roccioso alto sino a 116 m sul mare, ad E, ed il Monte Grana, ad O (Strabo, xiv, 2, 11).
Insieme a Camiro e a Ialiso, L. costituì uno dei centri più importanti dell'isola che fu in effetti soprannominata Tripolis (Pind., Olymp., vii, A΄. 15, v. 34). La sua data di fondazione è senza dubbio altissima, anche se difficilimente precisabile. Secondo Pindaro (op. cit., Δ΄ 70) e Diodoro (v, 57, 7) sarebbe stata fondata da Kerkaphos, uno dei figli del Sole, e sarebbe stata così chiamata appunto dal nome di uno dei figli di Kerkaphos. Sarebbe quindi arrivato, circa il XIII sec., Tlepolemo alla testa di coloni argivi e ateniesi ed avrebbero rinsanguato e fortificato tutte e tre le città dell'isola (Hom., Iliad., ii, 653 ss.; Pind., Olymp., vii, E΄ 75, v. 142; Diod., v, 595). Il famoso culto di Atena, sull'acropoli della città, sarebbe stato poi iniziato da Danao che, venendo dall'Egitto, avrebbe con le sue figlie svernato appunto a L. ed insieme ad esse avrebbe consacrato ad Atena un simulacro della dea in legno, in testimonianza della loro pietà (Diod., v, 58,1; Strabo, xiv, 2, ii).
In realtà il nome stesso di L. appare preellenico, appartenendo ad un tipo miceneo ben noto (Hermes, 1913, 236) e l'acropoli, anche se non abitata, fu già dall'età micenea sede di un culto che ricorda quello delle dee protettrici della natura del mondo miceneo ed asiatico; ancora in età storica si usava offrire alla dea dolci, bevande e frutti senza bruciarli (cfr. Pind., Olymp., vii, Γ΄ 45).
Grazie ai suoi due porti, a N ed a S dell'acropoli, L. fu ben presto importante e partecipò al vasto movimento di colonizzazione delle consorelle doriche. Lindî erano senza dubbio una parte dei coloni dori che circa il 688 a. C. fondarono sulla costa meridionale della Sicilia, Gela, ed anzi lindio appare, in più fonti, uno degli ecisti, Antifemo (Herod., vii, p. 153; Steph. Byz., s. v. Gela). Segno evidente dell'importanza assunta da L. nel VII sec. appaiono le sue emissioni di elettro e argento in piede fenicio, con testa di leone nel dritto e sul rovescio un quadrato incuso, databili a circa il 650 a. C. (Head, Historia numorum2, 637); nel V sec., notevoli le emissioni in argento con parte anteriore di cavallo e sul rovescio testa di leone in quadrato incuso.
In età arcaica L. fu retta a tirannia e numerose fonti ci danno notizia dell'illuminato governo di Cleobulo, uno dei sette saggi, che tenne il potere per circa quarant'anni, nel secondo e terzo venticinquennio del VI sec. (Plut., Mor., De E apud Delphos, 385; Diog. Laert., i, 89, 98; Anth. Pal., Epp. sep., 618).
In età classica i Lindi appaiono divisi in tre phylài e 12 dèmoi ed il loro territorio era più vasto di quello dei Camiresi e degli Ialissi, comprendendo gran parte del centro e tutto il S-O dell'isola.
Nel V sec. con Ialiso, Camiro, Coo, Cnido ed Alicarnasso, L. fece parte della esapoli dorica e nel 408-7 contribuì con Camiro e Ialiso alla fondazione della città di Rodi che da allora ebbe la funzione di capitale dell'isola (Diod., XIII, 751; Strab., XIV, 2, ii).
Dopo il sinecismo del 408-7 a. C. L., così come Camiro e Ialiso, rimase indipendente e con magistrature proprie, ma la sua importanza fu da allora legata soltanto al vecchissimo culto di Atena Lindia sull'acropoli, che durò fino alla più tarda età romana.
Anche l'abitato continuò a vivere in età tardo-romana e bizantina ed anzi nel XV e XVI sec. vi fiorirono una caratteristica architettura civile ed una rinomata fabbrica di piatti decorati di notevolissimo pregio. Dal XIV sec. l'acropoli, provvista di un potente castello, divenne roccaforte dei cavalieri giovanniti e rimase poi, dal 1522 al 1840 una delle principali piazzeforti turche dell'isola.
I monumenti più importanti della antica L. restano sull'acropoli ove una missione danese, guidata da K. F. Kinch e Chr. Blinkenberg, condusse fruttuosi saggi di scavo fra il 1902 ed il 1914. Gli oggetti più antichi recuperati sull'acropoli risalgono ad età neolitica e micenea, ma gli avanzi di edifici rintracciati sono molto più tardi. Originariamente il santuario della dea sembra sia stato costituito da un boschetto sacro in cui si venerava quale idolo un semplice palo o tavola di legno. Dai Greci la primitiva divinità ("Lindia") fu assimilata ad Atena ed una immagine della dea pare introdotta prima del 688, poiché i coloni di Gela portarono con sé, oltre al culto, anche il tipo artistico della dea. È probabile che già allora esistesse un piccolo tempio sulla punta sud-orientale dell'acropoli, laddove sorsero, uno sull'altro, sia il tempio di Cleobulo, che "rinnovò" il culto della dea (Diog. Laert., i, 6), sia quello del IV sec. a. C., i cui avanzi sono a noi pervenuti. Il tempio di Cleobulo - con tutta probabilità - aveva già la rara forma di un anfiprostilo tetrastilo dorico che osserviamo nel tempio più tardo, ed all'opera dello stesso tiranno vanno attribuiti sia una scala arcaica a gradini costruiti, rinvenuta quasi al centro del pianoro dell'acropoli, sia la terrazza alla quale tale scala portava e che si stendeva avanti al tempio. La statua di culto, in legno e di modeste dimensioni, non sarebbe stata rinnovata da Cleobulo e, secondo il Blinkenberg (Image, p. 21 ss.), che la ricostruisce sulla base di terrecotte gebe, la dea sarebbe stata rappresentata seduta, con pòlos e senza armi.
Verso la fine del V sec. a. C. il santuario fu certamente rimaneggiato e si costruì una nuova grande scala al di sopra del livello di quella arcaica. Dall'alto della nuova scala si accedeva al tempio passando attraverso grandiosi propilei (ritenuti però di età ellenistica dal Dinsmoor, Architecture3, p. 285) riecheggianti, nella pianta, quelli di Atene e dei quali un'ala si continuava verso S-O in una serie di tre sale, destinate, almeno in parte, ai banchetti cerimoniali. A proposito di questi ultimi va notato come, mentre i pasti cerimoniali avevano luogo nel santuario, nello ἱεροϑυτεῖος, i sacrifici di buoi o vacche offerti da confraternite o da privati avvenivano, sin dall'età geometrica, in un posto detto "Boukopia" che è stato identificato (e sono state anche rinvenute iscrizioni concernenti l'organizzazione di questi sacrifici) fra l'acropoli ed il grande porto.
Intorno al 340 a. C. un disastroso incendio distrusse il tempio di Cleobulo, la statua di culto e la maggior parte degli ex voto, ma i Lindi riuscirono, grazie anche all'intervento dello Stato rodio, ad impedire il declino del santuario. Il nuovo tempio, in pòros, lungo m 22,40 × 7,80, rimase dorico tetrastilo ed amfiprostilo e nella prima metà del III sec. a. C. fra pronao e cella fu installata una porta di bronzo offerta da Cleandrida e Timoteo figli di Aleximachos. La nuova immagine, in legno e con le estremità forse in avorio, raffigurava la dea in piedi, con pòlos in testa, nella mano destra abbassata una phiàle, mentre appoggiava la sinistra sull'orlo dello scudo posto a terra.
Dai primi decenni del III sec. a. C., poi, sull'acropoli di L. fu introdotto il culto di Zeus Pohèus il quale fu onorato ufficialmente insieme ad Atena, benché a quest'ultima soltanto continuassero a rivolgere le proprie attenzioni i privati cittadini.
Il santuario continuò a prosperare anche in età ellenistica e raggiunse l'acmè agli inizî del Il sec. a. C., in concomitanza con il massimo fiorire di tutto lo Stato rodio. Di tale epoca è la splendida stoà che traversa il pianoro dell'acropoli in senso SE-NO. Lunga m 88,o6, larga m 8,90 ed alta m 6,20, era situata ai piedi della scalinata che portava ai propilei e si articolava in due ali desinenti con due forti salienti rettangolari. Era tutta in pòros ed ognuna delle ali presentava 17 colonne di fronte, riunite da una fila di 8 colonne che fronteggiavano la scalinata e che erano sormontate da fregio e cornice da tutte e due le parti, sì da formare, avanti alla grande scala, un colonnato a giorno. Questa stoà, utilizzata anche come deambulatorio o soggiorno, servi per esporre le numerose statue dedicate alla dea che non entravano più nello stretto tèmenos superiore, limitato dai colonnati (propilei) e dalle tre sale ad essi legate.
Nel bosco sacro, ormai ristretto alla parte settentrionale ed a quella più bassa dell'acropoli, la stessa sulla quale si apriva la stoà, furono costruite in età ellenistica e romana delle esedre.
Dopo la stoà, nulla di considerevole fu costruito sull'acropoli: nella seconda metà del Il sec. d. C. il prete Aglochartos figlio di Moionis, rinnovò gli ulivi dell'acropoli (I. G., xii, i, 779-783) e P. Aelius Agetor, prete di Atena, restaurò il muro di cinta sul lato orientale (I. G., xii, i, 832).
Il tempio del 340 a. C. restò intatto sino al tardo Impero e fu distrutto da un incendio sotto il regno di Arcadio e Onorio.
L'importanza del santuario di ᾿Αϑὰνα Δινδία sin dalla più remota antichità, nella vita cultuale ellenica (sino al sinecismo del 408-7 il santuario sembra sia stato considerato comune a tutti i Rodî: Riv. Fil., 1936, pp. 49-51) ci è testimoniata dalle numerose fonti che ricordano ex voro dedicati alla dea: dal braciere di rame con iscrizione in lettere "fenicie" dedicato da Cadmo (Diod., v, 58, 3) e dal calice in elettro consacrato da Elena dopo la presa di Troia (Plin., Nat. hist., xxxiii, 23), alle grandi consacrazioni di armi ed ai donativi di Alessandro, nel 330 a. C., di Tolomeo I, di Pirro, di Gerone Il, di Filippo III (Cron., capp. xxxviii-xlii). Inoltre un numero estremamente cospicuo di iscrizioni rinvenute sull'acropoli e nelle vicinanze, contenenti quasi sempre dediche alla dea, ci informano delle centinaia e centinaia di ex voto andati perduti e costituiscono, soprattutto per l'età ellenistica, una documentazione di primissimo ordine per la cronologia e la conoscenza dell'attività di artisti operanti a Rodi e altrimenti poco noti o addirittura ignoti.
Fra queste iscrizioni due gruppi meritano una menzione particolare. Si tratta della lista con i nomi dei sacerdoti eponimi di Atena Lindia e delle lastre con la "Cronaca" del tempio opera di Timachida, figlio di Agesidamo.
Col sinecismo del 408-7, mentre una o più leggi costituzionali regolavano tutti gli affari inerenti il nuovo Stato rodiota, alle tre città fondatrici rimase piena autonomia per ciò che concerneva gli antichi culti. A L. il sacerdozio di Atena Lindia divenne eponimo ed i nomi dei sacerdoti annuali, incisi su lastre di marmo di Lartos, formarono, a partire dal 406 a. C., una lista continua che venne esposta nel santuario stesso. Di questa lista furono recuperati dalla missione archeologica danese 9 frammenti di cui 4 adoperati in una pavimentazione bizantina contigua alla chiesa di S. Stefano, esistente nei pressi dell'acropoli stessa.
Si tratta di un documento cronologico di eccezionale importanza, almeno per il periodo intercorrente fra il 375 a. C. ed il 27 d. C., rispettivamente anno del più antico e del più tardo dei nominativi conservatici. Il Blinkenberg ha potuto ricostruire, sulla base dei frammenti recuperati, anche la originaria forma delle stele (alte al massimo m 2,27 e larghe m 1,50) sulle quali era incisa la lista degli eponimi e ne ha fissato anche la posizione originaria nella parete di fondo del pronao del tempio di Atena, a destra e a sinistra della porta d'ingresso. Si usò erigere nel santuario statue onorarie dei sacerdoti in carica e spesso anche delle loro mogli, benché queste solo dal 47 a. C. appaiano menzionate in dediche ufficiali. Due anni dopo aver rivestito il sacerdozio di Atena si poteva essere nominati sacerdoti di Artemide Kekòia, altra divinità onorata a L., ma che rimase sempre di rango inferiore.
Nello stesso marmo di Lartos della lista degli eponimi fu scolpita, all'inizio del I sec. a. C., la Cronaca del tempio di Atena. Si tratta di una grande stele alta m 2,37, larga m 0,85, già adoperata anch'essa in età bizantina come pavimento presso la chiesetta di S. Stefano ed oggi a Copenaghen, sulla quale, a spese dei Lindi e su proposta del padre stesso dell'autore, fu incisa la Cronaca del tempio, opera del giovane filologo Timachida da L., allievo, sembra, di Apollonio di Alabanda, ed anche ufficiale della marina rodia nella prima guerra mitridatica e προϕάτας a Rodi nel 76 a. C. Benché non scevra di gravi errori ed assolutamente priva di critica, la Cronaca di Timachida appare di notevole interesse archeologico ed etnografico. La lunga iscrizione contiene uno psèphisma iniziale e quindi, nelle prime due colonne, notizie su antiche dediche (gli ex voto esistenti nel santuario al tempo di Timachida non rimontavano oltre il 330 a. C.) e nella terza colonna la serie delle apparizioni della dea, il tutto diviso in brevi capitoli.
Monumenti fuori dall'acropoli. - L'accesso all'acropoli era costituito, anche in antico, da una scala di cui resta qualche avanzo e presso l'inizio della quale la roccia appare tagliata ad esedra. Quest'ultima era ornata da un grande rilievo, scolpito nella roccia stessa, lungo m 4,76 ed alto m 5,50, raffigurante la poppa di una nave da guerra rodia (τριημιλία), il cui ponte, alto un metro, serviva da base per la statua di bronzo di Agesandro, figlio di Mikion, opera di Pythokritos, figlio di Timocharis rodio, databile intorno al 18o a. C.
Sulla pendice occidentale dell'acropoli restano avanzi del teatro che aveva 27 gradini ed in basso, presso l'accesso all'acropoli, larghi avanzi di un peribolo (m 31 × 37,45) a grossi blocchi bugnati, nel cui interno è la chiesetta di S. Stefano. Il Ross aveva supposto, data la vicinanza al teatro, che si trattasse degli avanzi di un tempio di Dioniso; ma gli scavi danesi hanno messo in luce tracce di un quadriportico dorico di età ellenistica che fa attribuire il complesso ad un edificio profano di carattere pubblico ("ginnasio"?), anche se più recenti saggi di scavo italiani (G. Jacopi, in Cl. Rhodos, i, p. 88) fanno ritenere verisimile l'ipotesi di un tempio arcaico anteriore ai resti ellenistici scoperti dalla missione danese.
Sempre sul versante occidentale dell'acropoli, sotto la falesa dell'acropoli stessa, in località Kopria, scavi danesi (1904) hanno riportato alla luce avanzi di un vano con 5 grosse giare di età protogeometrica o geometrica ed un piccolo heròon di età ellenistica.
Delle necropoli lindie merita menzione quella sul Monte Krana, con belle tombe tagliate nella roccia, una delle quali presenta un prospetto ricco di 12 colonne.
Sul capo di Haghios Aimilianos, poco a N di L. è notevole un grande sepolcro a tumulo (m 28,43 di circonferenza) detto Tomba di Cleobulo.
Fra i numerosi figli illustri di L., politici quale Cleobulo, scrittori o filosofi come Peissindos, Evagoras, Antheas, Cleobulina, atleti quale Diagoras, merita un ricordo particolare Chares (v.), l'allievo di Lisippo, fortunato autore del famoso Colosso (Strab., xiv, 2, 5; Plin., Nat. hist., xxxiv, 41) rovinato coi terremoti del 224-3 a. C.
Bibl.: La bibliografia principale è tutta raccolta in: Lindos, Fouilles de l'Acropole, 1902-1914, I, Berlino 1931 (Les petits objects); II, Berlino-Copenaghen 1941 (Les inscriptions) a cura di Chi. Blinkenberg, il primo, e di K. F. Kinch ed ancora del Blinkenberg il secondo; III, Berlino-Copenaghen 1960 (Le Sanctuaire d'Athena Lindia et l'architecture lindienne) a cura di E. Dyggve con appendice sulle sculture di V. Poulsen; L. Ross, Reisen auf den griechischen Inseln, IV, 1952, p. 69 s.; F. Hiller v. Gaertringen, in Pauly-Wissowa, Suppl. V, 1931, c. 731 ss., s. v. Rhodos; Sk. G. Zervos, Rhodes, Capitale du Dodécanèse, Parigi 1920, specie p. 106 ss.; L. Laurenzi, in Mem. Fert., II, 1938, p. 9 ss.; III, 1938, p. 27 ss. (per i restauri italiani dei monumenti dell'acropoli); M. Rostovzev, The Social and Economic History of the Hellenistic World, Oxford 1941 (rist. 1953), pp. 678-682, tavv. LXXVI, 2, LXXVII; Les Guides Bleus, Grèce, ed. 1956, p. 677.