GALEOTTI, Leopoldo
Nacque a Pescia, in Val di Nievole, il 13 ag. 1813 da Anton Giuliano, in una famiglia di piccola nobiltà. Nel 1835 si laureò in giurisprudenza a Pisa, ma la sua formazione intellettuale si compì fuori dell'Università, prima per opera del concittadino Francesco Forti, che lo avviò allo studio della cultura illuministica e di autori come M. Gioia, G.D. Romagnosi e J.-Ch. Simonde de Sismondi, poi grazie a Gino Capponi - incontrato dal G. quando, dopo la laurea, s'era trasferito a Firenze per esercitarvi la professione legale - il quale lo fece accogliere nei ranghi dell'intellettualità fiorentina (sino all'ammissione, il 1° giugno 1845, nell'Accademia dei Georgofili), e lo mise via via in contatto con gli uomini più in vista del futuro partito moderato italiano.
A Firenze il G., oltre a emergere come avvocato, cercò di mettersi in luce come pubblicista, ma si scontrò con la censura granducale che nel 1844 impedì l'uscita di un giornale cui aveva tentato di dar vita dietro suggerimento di C. Balbo. Nel settembre del 1845, quando i moti di Rimini ravvivarono il dibattito sullo Stato pontificio, aveva pronto un volume in materia e attendeva il momento propizio per pubblicarlo. In quei giorni strinse amicizia con M. d'Azeglio e nel gennaio 1846 lo aiutò a "dare un po' di sapore legale" al manoscritto degli Ultimi casi di Romagna (M. De Rubris, Carteggio, p. XII): primo passo di una collaborazione editoriale che avrebbe condotto il G. a rivedere per Le Monnier i pamphlets scritti successivamente dall'uomo politico piemontese.
Nel giugno 1846 gli entusiasmi seguiti all'elezione di Pio IX tolsero le ultime perplessità al G. il quale, con il viatico del Capponi e l'aiuto di Cristina Trivulzio principessa di Belgioioso, fece pubblicare a Parigi il saggio Della sovranità e del governo temporale dei papi, dove, analizzati i fondamenti della sovranità pontificia, ne riconosceva la legittimità ma ne segnalava anche le degenerazioni, prima fra tutte il monopolio ecclesiastico delle cariche pubbliche, cui occorreva porre rimedio secolarizzando l'amministrazione, senza ledere però l'autorità del pontefice e del S. Collegio. Non chiedeva perciò il G. un regime rappresentativo, ma solo la creazione di nuove istituzioni comunali e provinciali, cui si sarebbe poi aggiunto un organo consultivo centrale. Erano proposte simili a quelle di altri scritti apparsi tra il 1831 e il '46, ma possedevano un inconsueto spessore storico e giuridico, tanto che il libro poté esser definito "l'opera più solida della nostra letteratura politica della prima metà dell'Ottocento sulla sovranità temporale dei papi" (Anzilotti, p. 233). Difatti fu apprezzato dallo stesso Pio IX e valutato positivamente dagli uomini più influenti del moderatismo italiano, i quali vi scorsero una sorta di applicazione pratica del Primato di V. Gioberti. La difesa del potere temporale, tuttavia, era più che altro un espediente tattico e il G. non tardò a dichiarare, nel '49, che il libro del '46 era "un documento istorico", valido nella parte teorico-critica, ma superato come proposta politica.
Forte del prestigio acquisito, nel 1847 il G. prese a collaborare al Contemporaneo, il primo giornale politico italiano del biennio, nato a Roma nel gennaio di quell'anno. Esitava invece a impegnarsi in patria e solo nell'estate del 1847, quando già il governo toscano aveva disposto alcune innovazioni e altre ne annunciava, si decise a pubblicare a Firenze due discorsi (Delle leggi e dell'amministrazione della Toscana insieme con Della Consulta di Stato) in cui criticava il governo granducale e proponeva l'istituzione di un organo consultivo. La richiesta fu accolta da Leopoldo II il 28 agosto, ma apparve a molti una concessione fin troppo timida. Nel frattempo, però, il G. aveva dato alle stampe un nuovo opuscolo - Della riforma municipale (Firenze 1847) - nel quale proponeva di restituire piena autonomia ai municipi, ampliarne l'elettorato e farli fungere da organismi rappresentativi, prevedendo altresì, in prospettiva, un'assemblea nazionale da nominare mediante elezioni indirette. Con qualche correzione, era lo schema della riforma comunitativa di Pietro Leopoldo, innovativo settant'anni prima ma ormai obsoleto rispetto ai moderni regimi costituzionali.
Nel settembre 1847 con le sue Osservazioni sullo stato della Toscana (ibid.) il G., alla maniera del Balbo nelle Speranze d'Italia (1844), metteva in secondo piano le riforme e poneva l'accento sul problema nazionale invitando i principi italiani a stringere legami tra loro. Scoppiata poi negli ultimi mesi del '47 la crisi di Lunigiana in seguito all'annessione del Ducato di Lucca alla Toscana, propugnò un accordo tra gli Stati italiani che, unendo i governi di Roma, Torino e Firenze in una lega doganale, escludesse l'Austria.
Il 25 genn. 1848 fu chiamato da C. Ridolfi, che dirigeva il gabinetto toscano, a far parte di una "conferenza" sulla legislazione municipale; pochi giorni dopo entrò nella commissione incaricata di compilare una legge sulla stampa e di ampliare la Consulta di Stato. In essa il Capponi tentò di riprendere lo schema della costituzione progettata da Pietro Leopoldo, legando la rappresentanza nazionale ai municipi secondo la prospettiva già delineata dal G.; ma l'11 febbraio il granduca ordinò alla commissione di preparare una costituzione analoga a quella francese del 1830. Il G. protestò, sostenendo che così si tradivano le istituzioni del Granducato, ma infine accettò realisticamente la novità. Altri problemi incalzavano, in primo luogo l'alleanza politico-militare tra gli Stati italiani, per la quale egli si adoperò manifestando, unitamente al Ridolfi e al Capponi, una certa ostilità nei confronti di Carlo Alberto, ritenuto un alleato ingombrante. Ben presto anche costoro cominciarono ad apprezzare la matrice moderata che il Piemonte pareva assicurare alla rivoluzione italiana; ma la diffidenza verso il Regno sabaudo rimase.
A metà giugno fondò con M. Tabarrini Il Conciliatore, che appoggiò con successo (lo stesso G. fu eletto) i candidati moderati alle elezioni. Ma il ministero Ridolfi aveva i giorni contati e sotto i colpi della sconfitta di Custoza e delle manifestazioni di piazza si dimise il 31 luglio, sostituito da un gabinetto Capponi che tentò invano di arginare il fermento popolare. Il Conciliatore lo sostenne, insistendo sulla necessità di formare per via diplomatica una lega italiana, e polemizzando con la stampa "esaltata" e con F. Guerrazzi. Il 27 ott. 1848 la formazione del ministero Montanelli-Guerrazzi mise fuori gioco i moderati toscani, ma il G. sul Conciliatore fece un'opposizione pacata, persuaso che i nuovi governanti avrebbero dovuto adottare una politica poco rivoluzionaria. Secca fu però la polemica contro la costituente nazionale, che riteneva strumento ideato per abbattere i regimi monarchico-costituzionali e aprire la via a soluzioni repubblicane e unitarie.
Nel '49, dopo la fuga del granduca e la sconfitta di Novara, il G. con il suo giornale indicò ai moderati il programma di "restaurazione costituzionale" realizzato col colpo di Stato municipale del 12 aprile, che abbatté il ministero democratico e richiamò Leopoldo II. Il G., che in quei giorni aveva partecipato alla fondazione del giornale Lo Statuto in sostituzione del soppresso Conciliatore, s'illuse che il ritorno del sovrano potesse accomodare le cose, ma presto si rese conto che l'unica speranza per i moderati rimaneva il Piemonte. Perciò il 14 luglio, nell'imminenza delle elezioni subalpine, scrisse al d'Azeglio mettendogli a disposizione il proprio giornale. Era la fine delle diffidenze verso il Regno sardo e l'abbandono delle illusioni sul riformismo papale, come bene risulta dai numerosi articoli apparsi su Lo Statuto negli ultimi mesi del '49. Sul fronte interno il G. e il suo giornale avevano tentato di persuadere il granduca a non rinnegare la costituzione, o meglio a riprendere quel timido programma municipale già delineato nel '47. Intanto Lo Statuto - che ormai il G. mandava avanti quasi da solo - subiva frequenti sospensioni, ed egli passava pertanto a scrivere su un altro periodico, Il Costituzionale. Sul finire del 1850, auspice sempre il Capponi, pubblicò un opuscolo di Considerazioni politiche sulla Toscana molto lodato dagli amici moderati; ma era una rimasticatura di temi già trattati su Lo Statuto, e di nuovo c'era solo un duro attacco alle idee unitarie.
Lo Statuto venne soppresso il 31 maggio 1851, e il 7 maggio 1852 - il giorno dopo che il granduca aveva formalmente abolito la costituzione - stessa sorte toccò al Costituzionale. Con la fine dell'attività giornalistica il G. entrò in una sorta di letargo politico, appena interrotto da un certo entusiasmo per la spedizione di Crimea. Restavano le riviste scientifiche: collaboratore dell'Archivio storico italiano, nel '55 vi pubblicò un articolo su Traiano Boccalini e il suo tempo in cui, con trasparenti metafore, attaccava la dominazione spagnola e gli utopisti e lodava il giusto governo di Venezia e Carlo Emanuele "primo guerriero d'Italia"; nel '57, recensendovi opere di L. Cibrario e D. Carutti, trovava modo di esaltare le virtù patriottiche di casa Savoia. Più larga di soddisfazioni gli era invece l'attività forense che, oltre a impegnarlo nella difesa dell'editore G. Barbera processato per aver pubblicato L'istoria del concilio tridentino di P. Sarpi senza il consenso della curia fiorentina (v. Mem. a favore del sig. G. Barbèra accusato di trasgressione all'art. 83 della legge sulla stampa del 7 maggio 1848, in Arch. stor. ital., n.s., VIII [1858], 2, pp. 146-148), lo teneva in contatto con finanzieri quali C. e L. Ridolfi e soprattutto P. Bastogi, ponendolo "al centro di quella tela di ragno fatta di comuni affari e legami familiari che si andarono intensificando nella società toscana dagli anni cinquanta fino al periodo di Firenze capitale" (R.P. Coppini, L. G. e il moderatismo toscano, in Atti della Giornata di studio "L. G. e il suo tempo", p. 195).
Dedito anche ad attività filantropiche, nell'aprile del '49 il G. aveva fondato col marchese P. Graziosi Venturi la Società anonima edificatrice per la costruzione di case popolari, anche coll'intento di mitigare quel disagio sociale che aveva favorito l'avanzata democratica. Ma anche questo ente benefico - di cui il G. tenne a lungo la presidenza - si sarebbe presto trasformato in una occasione di speculazioni.
Nel gennaio 1859 fu tra i primi in Toscana a intuire l'avvio della seconda rivoluzione italiana e a comprendere la necessità di garantirne, sotto la guida del Piemonte, l'egemonia moderata: però, pur appoggiando la politica del Cavour, il G. cercò di convincere il granduca a salvare la dinastia varando un ministero liberale e alleandosi col Regno sardo. Dopo il rifiuto e la partenza di Leopoldo fu segretario della Consulta nominata dal governo provvisorio; ma soprattutto fu, dopo Villafranca, portavoce e consigliere di B. Ricasoli, e nei suoi contatti con il governo di Torino rivendicò sempre il diritto della Toscana a non essere trattata come terra di conquista, prospettando per il futuro Stato unitario soluzioni di tipo federalista.
Nell'agosto del '59, dopo essersi opposto con successo alla dittatura del Ricasoli, entrò nell'Assemblea toscana di cui divenne segretario, e fu membro della commissione che decise la caduta dei Lorena. Fedele al suo ruolo di portavoce del moderatismo fiorentino, ai primi di settembre pubblicò a Firenze un opuscolo su L'Assemblea toscana per difendere al cospetto delle diplomazie europee la rappresentatività di quel parlamento e la legittimità dei suoi atti, primo fra tutti la richiesta di unione al Piemonte. Nei mesi successivi, ripresa l'attività giornalistica su La Nazione, si adoperò per scongiurare la creazione di un regno dell'Italia centrale sotto Gerolamo Bonaparte e per giungere alla reggenza del principe Eugenio di Savoia Carignano, ritenuta la via più concreta verso l'unità. A novembre fece parte della deputazione inviata a Torino per chiedere ufficialmente tale reggenza, che però aveva ormai incontrato l'opposizione di Napoleone III. Cosicché toccò al G. il compito di far accettare al Ricasoli un'altra soluzione, cioè l'invio del conte C. Bon Compagni come governatore generale dell'Italia centrale.
Nel marzo 1860 il plebiscito decretò l'unione della Toscana al Piemonte, e il G., che negli ultimi tempi l'aveva fortemente voluta e preparata, si sforzò di indirizzarla in senso federativo: bisognava evitare - scriveva il 23 maggio al Ricasoli - che l'annessione avvenisse "per modo di alluvione, estendendo le leggi del regno alle nuove province". E il 18 luglio, discutendo con G. Massari il destino dell'Italia meridionale, ribadiva che i programmi di decentramento già formulati per la Toscana andavano estesi a tutta la penisola, in ciò scorgendo la miglior soluzione del problema italiano.
Dall'aprile 1860 il G. fu a Torino, deputato in Parlamento per il collegio di Pescia e segretario dell'ufficio di presidenza; a giugno entrò nella commissione per l'esame del nuovo codice civile; a novembre ricevette dal Cavour la delicata incombenza di convincere il Ricasoli a lasciare al più presto la carica di governatore della Toscana. Rieletto nel gennaio 1861 alla Camera, dove ebbe nuovamente il posto di segretario, fu tra i firmatari dell'ordine del giorno Bon Compagni in cui si auspicava che Roma fosse ricongiunta all'Italia e ne divenisse la capitale; ma difese poi nel 1864 la convenzione di settembre, considerandola un primo passo verso quella conciliazione col Papato che secondo lui doveva "costituire d'ora innanzi uno dei fini più importanti della politica italiana" (L. Galeotti, La prima legislatura…, p. 208). Il cattolicesimo rappresentava ai suoi occhi una garanzia di stabilità politico-sociale: perciò, se era favorevole alla soppressione degli ordini religiosi e all'estensione a tutto il Regno delle leggi sarde del 1855, era estremamente cauto sull'incameramento dei beni degli ordini soppressi, e in genere si preoccupava di evitare i punti di contrasto col potere ecclesiastico in materie quali le opere pie, la scuola, il matrimonio civile. Atteggiamenti, questi, che gli sarebbero valsi una certa fama di clericalismo e, alle elezioni del 1865, l'accusa di essere sostenuto dal clero nonché una clamorosa bocciatura (fu rieletto solo nel 1867).
Notevole fu l'attività del G. nel corso della prima legislatura del Regno: relatore nel 1864 del bilancio della Pubblica Istruzione e membro delle commissioni generali per i bilanci del 1864 e del 1865, in aula intervenne a più riprese sui temi della scuola e della finanza pubblica, e nel 1863 fu particolarmente apprezzato un suo discorso a favore del progetto di legge sulla perequazione dell'imposta fondiaria. Ma più importante risultò il lavoro dietro le quinte, specie durante il primo gabinetto Ricasoli, di cui fu ancora l'uomo di fiducia e il consulente, benché non lo seguisse nelle sue pretese di riforma religiosa e nelle sue scelte di accentramento. Manifestò invece un'avversione viscerale per il Rattazzi osteggiandone il governo nel 1862 e adoperandosi poi per far nascere e per sostenere il gabinetto "antipiemontese" Farini-Minghetti. Nel contempo consolidò la propria presenza in quella rete di attività finanziarie sorta a Firenze intorno alle società ferroviarie e alle banche (in particolare la Banca toscana di credito, presso cui il G. fu nominato commissario regio), e che ruotava soprattutto intorno a P. Bastogi.
Riconfermato dagli elettori alla Camera per le tre legislature successive (sia pure con la temporanea bocciatura del 1865), rimase un personaggio di spicco della "consorteria toscana", ancora vicino al Ricasoli durante il suo secondo ministero (1866-67), sempre attivo nel lavoro di corridoio a favore delle leggi proposte dagli amici, come quelle relative alla tassa sul macinato e alla Regia dei tabacchi. Ma via via diradò la propria attività in aula: tra i pochissimi interventi di quegli anni, non certo casualmente, c'è la presentazione di alcuni emendamenti alla legge delle guarentigie, dove il suo nome è associato a quelli degli antichi compagni di fede politica: Ricasoli, Minghetti, Peruzzi. E proprio con U. Peruzzi, uno fra gli uomini cui si sentiva più vicino, collaborò a lungo nell'amministrazione comunale di Firenze quando questi tra il 1868 e il '78 ne fu sindaco, dopo che già era stato cooperatore e consigliere del suo predecessore, L.G. Cambray Digny.
Il 15 nov. 1874 fu nominato senatore: prestò giuramento l'11 febbraio dell'anno seguente, ma prese parte assai di rado ai lavori, specie dopo l'avvento della Sinistra al potere, che segnò in certo modo la fine del suo impegno politico. Continuò invece a occupare un posto di rilievo nel mondo finanziario toscano, come dimostra anche il suo ingresso (1879) nel consiglio di amministrazione della compagnia assicuratrice Fondiaria, l'ultima delle creature del Bastogi.
Il G. morì a Firenze il 28 ag. 1884.
Fra gli altri scritti del G. si segnalano alcuni titoli con cui integrare le indicazioni offerte dalla Bibliografia dell'età del Risorg. in on. di A.M. Ghisalberti, Firenze 1971, I, p. 198: recensione a Libri due delle istituz. civili accomodate all'uso del foro. Opera postuma di F. Forti, in Annali di giurisprudenza, Firenze 1841, 4-5, pp. 253-285; Pocheparole sulla circolare pubblicata in Roma il 24 agosto 1846, Bastia [1846]; [F. Tartini - L. Galeotti], Rapporto della commissione incaricata col decreto del dì 20 apr. 1849 di formare il rendimento di conti dell'amministr. della finanza toscana dal dì 26 ott. al dì 11 apr. 1849, Firenze 1850; proemio a F.A. Gualterio, Gli ultimi rivolgimenti italiani. Memorie storiche…, 3ª ed., Napoli 1861, I, pp. IX-XVI (il proemio reca la data 15 febbraio 1852); Discorso intorno agli scritti ed. e ined. di F. Forti, Firenze 1853; Necr. della marchesa Teresa Rinuccini, [Firenze] 1854; Trajano Boccalini e il suo tempo. Mem. storica, in Arch. stor. ital., n.s., I (1855), 2, pp. 117-162; L'Arch. centr. di Stato nuovamente istituito in Toscana nelle sue relazioni con gli studi storici, ibid., II (1855), 2, pp. 61-115; Necr. del cavalier Vincenzo Sannini di Pescia, Firenze 1856; All'autore dell'Ettore Fieramosca, in Il Cronista, 31 ag. 1856, pp. 3-20; Apologia di una prefazione, ibid., 28 sett. 1856, pp. 3-22; La monarchia di Casa Savoia (Memoria a proposito di due opere di L. Cibrario e di una di D. Carutti), in Arch. stor. ital., n.s., VI (1857), 1, pp. 44-102; Rass. delle opere ined. di F. Guicciardini illustrate da G. Canestrini e pubbl. per cura dei conti P. e L. Guicciardini, ibid., 2, pp. 131-142; La storia del concilio di Trento di fra' Paolo Sarpi non era soggetta alla preventiva censura episcopale. Memoria, Firenze 1858; Rass. del libro di Eugène Rendu: L'Empire d'Allemagne et d'Italie au Moyen-Âge, in Arch. stor. ital., n.s., IX (1859), 1, pp. 175-178; Rapporto del deputato cav. avv. L. G. relatore della commissione incaricata di esaminare e riferire sulla proposta diretta a nominare S.A.R. il principe Eugenio di Savoia Carignano a reggente della Toscana, Firenze [1859]; Saggio intorno alla vita ed agli scritti di Marsilio Ficino, in Arch. stor. ital., n.s., IX (1859), 2, pp. 25-91; X (1860), 1, pp. 3-55; Relazione su la istruz. pubbl. municipale di Firenze, Firenze 1870; A. Mari - L. Galeotti - L. Sanminiatelli, Parere o consultazione sul Comune di Stia, s.l. 1873; La facciata di S. Maria del Fiore. Relazione della deputazione promotrice a' suoi concittadini, Firenze 1875; Osservazioni intorno alla prelevazione della tassa di ricchezza mobile, s.l. 1879; Parere per la verità sulle questioni attinenti alla costruzione della ferrovia Tuoro-Chiusi, Perugia 1879.
Fonti e Bibl.: Le lettere del G. sono sparse nelle principali raccolte epistolari dell'epoca, a parte la corrispondenza familiare conservata nella Bibl. comunale di Pescia. Quelle da lui ricevute, in numero imponente, sono nel fondo Carteggi Galeotti della Bibl. Riccardiana di Firenze. Fra le pubblicazioni più rilevanti di corrispondenza del G., o a lui indirizzata: Lettere di Marco Minghetti a L. G., a cura di D. Zanichelli, Bologna 1903; M. De Rubris, Carteggio politico tra M. d'Azeglio e L. G. dal 1849 al 1860, Torino 1928; R. Ciampini, I Toscani del '59. Carteggi inediti di C. Ridolfi, U. Peruzzi, L. G., V. Salvagnoli, G. Massari, C. Cavour, Roma 1959; P. Paolini, Fatti e figure del Risorgimento nazionale in un carteggio inedito fra L. G. e la contessa Eugenia Caselli dal maggio 1848 al luglio 1856, in Bullettino stor. pistoiese, n.s., III (1961), pp. 166-213. Gran numero di lettere del, e al, G. si trovano inoltre negli epistolari editi di L.G. Cambray Digny, G. Capponi, C. Cavour, L.C. Farini, V. Gioberti, B. Ricasoli. Tra gli epistolari inediti va segnalato il Fondo Peruzzi in cui vi sono ben 228 lettere del G. (P. Panedigrano - C. Pinzauti, Le carte di Ubaldino Peruzzi alla Bibl. nazionale centr. di Firenze, in Rass. stor. toscana, XXXIV [1988], p. 354); il Fondo Massari, con 78 lettere del G. (E. Morelli, I fondi archivistici del Museo centr. del Risorgimento, Roma 1993, pp. 93, 97), in parte pubblicate nel citato volume del Ciampini, e il Fondo Cambray Digny, dove ci sono lettere del G. non ancora pubblicate (G. Lazzi - I. Truci, Carte e docum. della famiglia Cambray Digny nella Bibl. nazionale di Firenze, in Rass. stor. toscana, XXXI [1985], pp. 144, 149, 164, 166, 289; ma cfr. anche R.P. Coppini, L'opera politica di Cambray Digny sindaco di Firenze capitale e ministro delle Finanze, Roma 1975, ad ind.). Per il ruolo del G. all'interno dell'Archivio storico italiano, qualche utile accenno in I. Porciani, L'"Arch. stor. italiano". Organizz. della ricerca ed egemonia moderata nel Risorgimento, Firenze 1979, ad indicem. Quanto all'attività politica ufficiale si veda soprattutto: Atti e docc. editi e ined. del governo della Toscana dal 27 apr. 1859 in poi, I-VI, Firenze 1860-61; Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1860-74, ad indices; Senato, Discussioni, 1874-84, ad indices; Le Assemblee del Risorgimento, Toscana, I-III, Roma 1911, ad ind. Fra i numerosissimi scritti sull'Ottocento italiano che danno notizie del G. si vedano almeno: G. Calamari, L. G. e il moderatismo toscano, Modena 1935; P. Millefiorini, Due cattolici liberali toscani negli anni dell'unificazione (1859-1870): L. G., Giovan Battista Giorgini, in Boll. stor. pisano, XXX (1961), pp. 333-406; A. Anzilotti, La cultura politica della Toscana del Risorg. e L. G., in Id., Movimenti e contrasti per l'Unità ital., Milano 1964, pp. 227-254; A. Berselli, La Destra storica dopo l'Unità, Bologna 1963-65, ad ind.; A. Salvestrini, I moderati toscani e la classe dirigente ital. (1859-1876), Firenze 1965, ad ind.; G. Assereto, L. G. Biogr. politica d'un moderato toscano nel periodo preunitario, in Annali della Fondaz. L. Einaudi, V (1971), pp. 77-189; Atti della Giornata di studio "L. G. nella Toscana dell'Ottocento" (Firenze, 20 ott. 1990), in Rass. stor. toscana, XXXVII (1991), pp. 177-253.