SANTI, Leone
SANTI, Leone. – Nacque a Siena nel 1584 dal cavalier Gismondo e da Laura Zati, ricca fiorentina che gli aveva portato in dote 7318 fiorini e mezzo.
La famiglia Santi, originaria di Carpi, fu ammessa alla nobiltà di Siena il 12 giugno 1579 con il padre di Gismondo, il capitano Leone; apparteneva al Monte del Riformatore, e Gismondo, capitano di milizia, ebbe accesso a cariche pubbliche e fu molto attivo nella vita cittadina: il 23 gennaio 1593 gli furono dedicate le Stanze cantate da un fanciullo in forma di Nemesi dea del giusto [...] nella giostra fatta in Siena dal molto illustre signor capitano Gismondo Santi, mentre l’11 luglio 1605 propose al Comune, insieme all’altro deputato della festa per il Palio d’agosto Fortunio Martini, l’innovazione di far correre il palio ‘alla Tonda’, cioè entro la piazza del Campo. Morì nel 1618/1619.
Apprezzato poeta, fu accademico Filomato nominato lo Spaparato; oltre che nell’edizione delle sue Rime (Siena 1604), suoi versi sono compresi nella raccolta, da lui stesso curata, di Sonetti di diversi accademici sanesi (Siena 1608) e nella silloge poetica di vari autori promossa da Simone Parlasca, Il fiore della granadiglia, overo Della passione di Nostro Signore Giesù Christo..., Bologna 1609. Nelle Lettere miscellanee (Venezia 1606), il protonotario apostolico Bonifatio Vannozzi scrisse a Celso Cittadini a Siena: «Ho divorato, non letto le spiritosissime Poesie del signor Gismondo Santi [...] Onde io ringrazio V.S. del dono veramente Apollineo, & rallegromi con l’Autore, di questo parto, che lo farà vivere molti secoli» (p. 606).
Il figlio Leone, convittore del seminario romano nel 1598, entrò nell’ordine dei gesuiti a 17 anni (17 dicembre 1601), prendendo i quattro voti il 21 novembre 1619. Studiò retorica (due anni), filosofia (tre), teologia (quattro); nei cinquant’anni in cui insegnò nel Collegio romano fu professore di logica, fisica, metafisica, matematica, teologia, filosofia e infine divenne prefetto degli studi (1644-52).
Stimatissimo professore di teologia del Collegio romano, poeta in latino e in italiano, autore di testi per feste e per cantate latine, di orazioni, di opere didattiche e d’importanti lavori teatrali, fu per le vicende poetico-musicali d’ambito gesuitico una personalità di spicco.
Una vera sperimentazione ritmica in rapporto con il testo poetico latino fu un’ode latina per laurea, Burghesia, sive Chorea Musarum inter nubes Apolline ductore saltantium, eseguita nel 1612 al Collegio romano per la laurea di Giovanni Paolo Castellini di Faenza che lo dedicò al cardinal Scipione Borghese suo patrono.
«In Burghesia, come si deduce dal prosieguo del titolo, i versi latini presentano specifiche scelte metriche adatte alla danza, tanto che l’intero componimento è una sorta di suite in cinque movimenti: Calathiscus, Parthenia, Labirintus, Epodos, Nicatismus» (Franchi, 2007, pp. 293 s.). Il calathiscus (propriamente un cestino da lavoro, d’uso femminile) è designato come «saltatio hilaris et festiva», il labirintus come «ad pyrricham saltatio turbinata», il nicatismus come «ad paeana saltatio ludibunda» (p. 330). Questo lavoro del giovane Santi, che già nell’incipit ha una reminiscenza oraziana, fu una vera sperimentazione metrica; è un peccato non sapere quale compositore la tradusse in ritmi musicali.
Un’altra ode latina per musica, Gratiae viatrices, chori, fu eseguita al Collegio romano nel 1613 in occasione della laurea in filosofia di Fabrizio Fontana di Bologna, convittore del seminario romano alla presenza del cardinal Benedetto Giustiniani suo patrono; l’ode è suddivisa in quattro «modulationes». Nei componimenti per il seminario romano Santi collaborò con i maestri di cappella di quell’istituto: Virgilio Mazzocchi, Nicolò Borboni, Giovanni Battista Riva e Stefano Fabri. Circa i suoi interessi musicali giova sapere che ebbe in dono da Giovanni Battista Doni una copia delle Annotazioni sopra il Compendio de’ generi e de’ modi della musica (Roma 1640).
Santi portò molto avanti la ricerca di una poesia latina adatta alla ritmica della musica moderna, scrivendo per decenni componimenti lirici e lirico-drammatici per il seminario romano; in essi Santi adottò una «metrice confusanea». L’aggettivo «confusaneus» appare nell’età imperiale (Aulo Gellio), ma fu d’uso assai più frequente nell’Umanesimo e anche in seguito fino a Gottfried Wilhelm von Leibniz; al tempo di Santi si incontra in Justus Hermann Lipsius. Una «metrice confusanea» mescolava diverse strutture di versi e di strofe allo scopo, come scrisse lo stesso Santi nel Floridorum liber secundus (1636, p. 197). di rimuovere la noia del pubblico con grande varietà metrica. In questa direzione vanno segnalate negli anni 1629-33 le odi latine cantate nelle feste mariane celebrate in quell’istituto: l’Immacolata Concezione, la Natività, la Visitazione (ripubblicate nelle raccolte Eroparthenica sive Laudes B. Virginis conceptae, natae, Elisabethem invisentis celebratae del 1634, in cui scrisse anche alcune actiunculae scolastiche in musica, e nel citato Floridorum liber secundus), mentre la sua esperienza di poeta per musica avvicinò molto i testi per musica in latino a quelli in italiano, nei quali pure diede ottima prova, costituendo probabilmente il presupposto per gli oratori latini della seconda metà del secolo che, abbandonando i testi in prosa di tipo mottettistico e le parafrasi bibliche delle historiae sacrae di Giacomo Carissimi, spesso presero la definizione di «melodrama rythmo-metrum», alludendo forse a una conciliazione tra le ragioni del metro poetico e del ritmo musicale.
Nel 1632 scrisse per i convittori del seminario romano l’azione in versi italiani (perché inizialmente pensata come melodramma) Il Gigante, rompendo la tradizione che voleva in quell’istituto, come in genere nei collegi gesuitici, solo spettacoli in latino (di tradurlo in latino si occupò nel 1677 un altro drammaturgo gesuita, Nicolò Avancino). Il Gigante, rappresentato il 14 febbraio 1632, era concepito per essere posto integralmente in musica, ma poi la musica intervenne solo in alcune parti.
Il testo drammatico (prologo e cinque atti in versi) è preceduto da una lunga e importante prefazione: in essa si può vedere un manifesto della poetica che fonda e che giustifica in sede sia critica sia morale l’indirizzo «barberino» del melodramma agiografico. Inizia spiegando come, date le «calamità publiche dell’Europa», i convittori avessero scelto in fretta «un’Attione (ancor che fatta per altro fine) piana e giovevole, la quale con la pietà del fatto rappresentato e con la facilità della lingua compensasse in parte la grandezza e vaghezza delle cose altre volte ivi fatte [...] e che servisse più tosto per saggio di quello, che si potrebbe fare anche in questo genere fin dagli antichi tempi tralasciato» (Il gigante, Roma 1632, pp. 3-4) e prosegue in quindici paragrafi con erudite argomentazioni sulle unità aristoteliche, i generi letterari, i versi, i caratteri drammatici, la lingua e la poesia usate.
Riedito nel 1637 con il discorso critico modificato e arricchito, con in più anche i cori in fine d’atto e con il titolo Il David, fu come tale rappresentato nel 1647 in una nuova versione con musica «ch’entra in tutta l’attione» di Bonifazio Graziani. Nello stesso Carnevale i convittori misero in scena la tragedia latina Somniator sive Joseph, sempre di Santi, in cui erano per musica il prologo (Le stelle in sogno), di altro autore, un ballo e altre parti dello spettacolo. Durante le recite, iniziate il 26 febbraio, le scene del David furono fatte a pezzi dai convittori, in lite con i chierici; furono cacciati dal seminario il rettore Luigi Spinola e gli altri superiori e fu saccheggiata la cucina. Per riportare la calma dovettero avvicendarsi tre nuovi rettori nel giro di pochi mesi (Gigli, 1958).
Le edizioni del Gigante, del David e del Somniator furono curate da Santi per i tipi di Francesco Corbelletti e degli eredi, spesso impegnati per il seminario romano, nei pressi del quale avevano la ditta.
Meno noti lavori di Santi in italiano sono la favola boscareccia Aristeo, rimasta inedita (manoscritto datato 1635 nella Biblioteca comunale Augusta di Perugia) e i «drammi piacevoli» (entrambi manoscritti nella Biblioteca Corsiniana di Roma) L’osteria del Gallo nonché Il moro della Bianca Fé, attribuito a Santi da Leone Allacci (Drammaturgia, Roma 1666, p. 816) e forse rappresentato più volte nel seminario (si conservano edizioni dello scenario datate 1680 e 1694). Altri suoi testi lirici e drammatici in volgare destinati alla musica furono pubblicati nel 1637 insieme al David: il breve dramma sacro La Notte armonica del Santo Natale, in cinque atti, l’azione sacra La Gloria negli Eccelsi, prologo e un atto in versi italiani, il dialogo natalizio per musica La Vittoria.
Nel 1656, nell’ambito dei festeggiamenti per Cristina di Svezia, fu rappresentata la tragedia latina Philippus, sull’imperatore romano Filippo l’Arabo e suo figlio Severo Filippo fattosi cristiano; fu un omaggio postumo del cardinal Giulio Rospigliosi a Santi, maggior rappresentante del teatro gesuitico nell’età di Urbano VIII, forse ispiratore del tema teatrale dell’eroe cristiano fin dall’epoca del Sant’Alessio (Franchi, 2005).
Morì il 4 febbraio 1652 e fu sepolto nella chiesa di S. Ignazio «nella sepoltura de sacerdoti, che è al lato dell’epistola dell’altar maggiore» (Archivium Romanum Societatis Iesu, Rom 186, f. 41). Il padre gesuita Maciej Kazimierz Sarbiewski gli dedicò un epigramma nei suoi Lyricorum libri IV (1632).
Per l’elenco delle opere a stampa e dei manoscritti di Santi si rinvia a Sommervogel (1896).
Fonti e Bibl.: Archivum Romanum Societatis Iesu, Rom 59, c. 200v.; Rom 186, f. 41; Ital. 7, ff. 11-12; APUG 2082, c. 374v; Archivio di Stato di Siena, ms. C 26, c. 197; ms. A 57, f.172, 30 lug. 1581; ms. A 39, cc. 30v-31r.
Stanze cantate da un fanciullo..., s.n.t. [1593]; B. Vannozzi, Delle lettere miscellanee, Venezia 1606, p. 606; M.C. Sarbiewski, Lyricorum Libri IV, Antuerpiae 1632, pp. 270 s.; L. Allacci, Apes Urbanae, Roma 1633, p. 181; F.S. Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, Bologna-Milano 1739-1752, II, p. 287, III, p. 90; G.M. Crescimbeni, Comentarj [...] intorno alla [...] Istoria della volgar poesia, IV, Roma 1711, pp. 166, 193; C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, VII, Bruxelles 1896, coll. 590-595; R. Casimiri, «Disciplina musicae» e «mastri di cappella» dopo il Concilio di Trento nei maggiori istituti ecclesiastici di Roma: Seminario Romano, Collegio Germanico, Collegio Inglese, in Note d’archivio per la storia musicale, XV (1938), pp. 1-14, 49-64, 97-101; R. García Villoslada, Storia del Collegio Romano dal suo inizio (1551) alla soppressione della Compagnia di Gesù (1773), Roma 1954, pp. 234, 323 s., 327, 329, 332; G. Gigli, Diario romano (1608-1670), a cura di G. Ricciotti, Roma 1958, p. 296; M. Murata, Classical tragedy in the history of early Opera in Rome, in Early music history, IV (1984), pp. 101-134 (in partic. pp. 116-118); S. Franchi, Drammaturgia romana. Repertorio bibliografico cronologico dei testi drammatici pubblicati a Roma e nel Lazio. Secolo XVII, Roma 1988, ad ind.; A. Cairola, Siena. Le contrade: storia, feste, territorio, aggregazioni, Siena 1989, pp. 79 s.; S. Franchi, Osservazioni sulla scenografia dei melodrammi romani nella prima metà del Seicento, in Musica e immagine. Tra iconografia e mondo dell’opera, a cura di B. Brumana - G. Ciliberti, Firenze 1993, pp. 165-168; Id., Le impressioni sceniche. Dizionario bio-bibliografico degli editori e stampatori romani e laziali di testi drammatici e libretti per musica dal 1579 al 1800, Roma 1994, ad ind., II, Integrazioni, aggiunte, tavole, indici, 2002, ad ind.; M. Saulini, Il teatro gesuitico: “Il Gigante” del p. L. S. a Roma, in Roma moderna e contemporanea, III (1995), 1, pp. 157-172; S. Franchi, Drammaturgia romana, II, 1701-1750. Annali dei testi drammatici e libretti per musica pubblicati a Roma e nel Lazio dal 1701 al 1750, Roma 1997, pp. CIX s.; Id., Il melodramma agiografico del Seicento e la “S. Agnese” di Mario Savioni, in La musica e il sacro, a cura di B. Brumana - G. Ciliberti, Firenze 1997, pp. 79, 104; B. Filippi, Il teatro degli argomenti: gli scenari seicenteschi del teatro gesuitico romano, Roma 2001, pp. 131-140; S. Franchi, Un’opera per Cristina di Svezia: “La Vita humana” di Giulio Rospigliosi e Marco Marazzoli. Simboli morali e allegoria cattolica nel dramma e nell’allestimento scenico, in “Vanitatis fuga, aeternitatis amor”. W. Witzenmann zum 65. Geburstag, a cura di S. Ehrmann-Herfort - M. Engelhardt, Laaber 2005, p. 267; Id., Allegorie musicali gesuitiche: le odi latine per laurea al Collegio Romano, in Ars magna musices: Athanasius Kircher und die Universalität der Musik, a cura di M. Engelhardt - M. Heinemann, Laaber 2007, pp. 293-296, 330 s.; Id., Fortuna editoriale di un compositore del Seicento romano: Bonifacio Graziani, in La musica tra storia e filologia, a cura di F. Nardacci, Roma 2011, p. 194; S. Santacroce, Dal Libro al libretto. Tre drammi musicali biblici del primo Seicento, tesi di dottorato, Università di Torino, a.a. 2012-13 (con bibl. precedente); E. Pietrobon, Un’amabile tragedia di eroici pastori: intersezione di modelli e linguaggi nel “Gigante” e nel “David” di L. S., in La letteratura degli italiani 4. I letterati e la scena, a cura di G. Baldassarri et al., Roma 2014, http://www.italianisti.it/Atti-diCongresso? pg=cms&ext=p&cms_ codsec=14& cms_codcms =397 (4 settembre 2017); S. Santacroce, “Il Gigante” di L. S. tra Rospigliosi, il Corago e Tarquinio Galluzzi, in Studi secenteschi, LVI (2015), pp. 411-417.