ORSINI, Leone
ORSINI, Leone. – Nacque nel 1512 da Ottavio, figlio legittimo del cardinale Franciotto Orsini di Monterotondo, e da Porzia di Gentile Orsini dei conti di Pitigliano e Nola, verosimilmente a Stimigliano, nei colli Sabini.
Mentre i fratelli Enrico e Francesco seguirono le orme del padre, capitano di ventura al servizio della Francia (una sua lettera dell’ottobre 1520 a Luisa di Savoia, madre di Francesco I, in G. Molini, Documenti di storia italiana..., Firenze 1836, p. 89), Leone intraprese la carriera ecclesiastica sotto la protezione del nonno paterno, protonotaro apostolico e cardinale del titolo di S. Giorgio al Velabro nel 1517. Secondo la testimonianza di Francesco Sansovino (1565, p. 19), suo padrino di battesimo sarebbe stato Leone X e il nome gli fu attribuito in omaggio al pontefice. Da Franciotto ricevette nel 1525 l’amministrazione del vescovato di Fréjus, in Provenza, poco dopo che questi ne era stato investito (15 dicembre 1524); ottenne la definitiva consacrazione solo nel 1539, ma ne aveva già avuta la completa disponibilità nel marzo 1534, in seguito alla morte del nonno. Nel 1531 ebbe inoltre in affidamento l’abbazia di Pomposa, nella diocesi di Comacchio.
Iniziò gli studi a Roma, benché non si abbiano in merito notizie puntuali, e proseguì la formazione presso lo Studio di Padova, dove si recò almeno a partire dalla seconda metà degli anni Trenta, secondo quanto testimonia Nicolò Franco in una lettera del 25 ottobre 1537 a lui indirizzata (1986, p. 98).
La partecipazione alla vita universitaria è documentata dal coinvolgimento nell’ambito dell’aspra contesa per l’elezione del rettore degli scolari giuristi per l’anno accademico 1538-39: Orsini fu uno dei più potenti capi della cosiddetta parte bresciana, capace di condizionare con forza le più importanti decisioni della vita universitaria.
Ben presto si fece conoscere come cultore delle lettere e munifico mecenate. Grazie al suo appoggio finanziario lo stampatore e musicista di origine francese Antonio Gardano, approdato a Venezia nei primi mesi del 1538, poté avviare la sua impresa tipografica, che presto si impose nell’editoria veneziana in virtù della specializzazione nel settore delle stampe musicali. Lo stretto rapporto che Gardano strinse con il finanziatore, a cui indirizzò le prefatorie delle Venticinque canzoni francese a quatro di Clement Iannequin (aprile 1538) e di Cantus. Il primo libro di madrigali d’Archadelt a quatro voci con nuova gionta impressi (marzo 1539), è ben documentato dalla marca tipografica, nella quale si fronteggiano un leone, sulla sinistra, e un orso, sulla destra, chiara allusione al nome e al cognome di Orsini, con al centro la rosa aradica degli Orsini e un giglio, allusivo al casato dei Valois.
Dagli ultimi mesi del 1539 sembra però che Gardano non godesse più dell’appoggio di Orsini, forse anche a causa della polemica nel frattempo insorta tra Pietro Aretino e il suo segretario Nicolò Franco, letterato che sino a quel momento aveva parimenti goduto della protezione di Orsini e che proprio grazie a lui aveva stretto un sodalizio con Gardano. Per i tipi di quest’ultimo Franco aveva dato alle stampe le Pistole vulgari (1539), con dedica a Orsini, molto presente nel volume assieme con altre figure della famiglia (il padre Ottavio e il fratello Enrico) e il suo segretario Bonifacio Pignoli (al quale Franco nello stesso 1539 indirizzò il Petrarchista, Venezia, G. Giolito), e il Dialogo... ove si ragiona delle bellezze (1542). A Orsini Franco dedicò anche i Dialogi piacevoli (1539), usciti però dai torchi di Gabriele Giolito. A seguito dell’ostilità di Aretino, nel giugno 1540 Franco abbandonò Venezia diretto in Francia (ma si fermò poi a Casale Monferrato) e dopo questa data non sembra aver più avuto rapporti diretti con Orsini: nel 1543 Giuseppe Betussi, nel suo Dialogo amoroso, ricorda come Franco avesse perduto un così munifico protettore dopo avergli fatto conoscere «la pessima natura sua» (c. 22v). Rompendo con Franco, Aretino si era naturalmente guardato bene dall’inimicarsi un personaggio del calibro di Orsini, come dimostrano le lettere che i due continuarono a scambiarsi negli anni successivi (nell’estate 1542 Aretino inviò in lettura due sue commedie a Orsini, che le giudicò di gran qualità).
Ben inserito nel mondo intellettuale veneto, il 6 giugno 1540 Orsini fondò l’Accademia degli Infiammati, un consesso con un programma culturale di promozione del volgare e di studi filosofici e umanistici molto ambizioso, nel quale si riunivano alcune fra le principali figure di intellettuali allora presenti a Padova (segnatamente Sperone Speroni, Benedetto Varchi e Alessandro Piccolomini). Ricoprì per primo la carica di principe, ma vi rinunciò anzitempo il 6 agosto 1540, quando tornò, per motivi non noti, a Roma.
Anche da lontano, però, seguì gli sviluppi dell’Accademia, come documentano gli scambi epistolari con Piccolomini, che nel febbraio 1541 gli inviò il testo della sua lettura su un sonetto di Laudomia Forteguerri. In tal senso si deve ricordare la volontà espressa da Benedetto Varchi – che nel settembre 1541 si riprometteva di tornare a Padova proprio in compagnia di Orsini – di chiamarlo in causa in qualità di arbitro nel novembre 1541, nel momento del difficile insediamento di Sperone Speroni a principe dell’Accademia, che segnò il tramonto del sodalizio. La chiusura degli Infiammati, di cui lo consolò nel gennaio 1546 Pietro Aretino, non impedì a Orsini di rimanere in contatto con alcuni dei primi associati, primo fra tutti Varchi, che per lui scrisse il trattatello in forma epistolare intitolato Libro della beltà e grazia, probabilmente composto tra il 1548 e il 1554, e che lo ricordò nel corso della lettura sul primo canto del Paradiso tenuta nell’Accademia Fiorentina nel giugno 1545, alla quale lo stesso Orsini assistette.
Dalla seconda metà degli anni Quaranta si registra un crescente impegno nella carriera ecclesiastica. Il 4 gennaio 1546 partecipò alla seconda sessione del Concilio di Trento, ma se ne allontanò quasi subito, per non farvi più ritorno; il 14 marzo scrisse a Marcello Cervini, da Padova, per giustificare la sua assenza. Si recò finalmente a Fréjus, che fino alla fine del 1547 aveva amministrato attraverso vicari (Bertand Néron, Georges Fénilis, Guillame Francolis, Claude Grenon e, infine, Bonifacio Pignoli). Nel 1548 andò a prestare giuramento al sovrano Enrico II e avviò una serie di lavori per migliorare la diocesi; celebrò la sua prima messa l’8 settembre 1551.
Il nuovo impegno coincise con il tentativo da parte della Corona francese di fargli ottenere la porpora cardinalizia. Il 16 novembre 1547 il nunzio in Francia Michele Della Torre scrisse a Roma al cardinale Alessandro Farnese per avvisarlo di essere stato pregato da Luigi Alamanni, per conto della regina Caterina de’ Medici, di sostenere la candidatura di Orsini, fortemente voluta dal sovrano, che si riprometteva di scriverne al papa. Un mese più tardi, il 15 dicembre, il cardinale Carlo di Lorena scrisse a Enrico II da Roma, dichiarandosi fiducioso. Circa un anno dopo, nel dicembre 1548, continuava la pressione della monarchia francese, ancora una volta da parte di Caterina de’ Medici, che inviò il suo coppiere Alessandro Schifanoia a perorare la causa di Orsini presso il nunzio Della Torre. Ultimo sforzo documentato in questa direzione, anch’esso senza conseguenze come i precedenti, è una lettera scritta il 13 novembre 1556 da Caterina de’ Medici al cardinale Carlo Carafa.
La permanenza di Orsini in Francia fu alternata con soggiorni a Roma: nell’agosto 1560 da Roma incaricò il suo vicario di prestare giuramento al nuovo sovrano Carlo IX, appena salito al trono, e si trovava ancora nella città capitolina il 29 novembre, quando Paolo IV annunciò l’imminente ripresa dei lavori del Concilio di Trento. Nel 1562 entrò in possesso della parte dei beni dei fratelli Enrico e Francesco, loro concessi dal padre con testamento redatto il 20 agosto 1552, ma confiscati nei primi mesi del 1562 in seguito al loro coinvolgimento in un omicidio.
Tornò a Fréjus nel 1563, anno in cui fece alcune ordinazioni nella cattedrale, e in quella città morì il 10 maggio 1564.
Quasi tutta la produzione poetica di Orsini – con l’eccezione di un sonetto edito nel primo libro delle Rime diverse di molti eccellentissimi autori (Venezia, G. Giolito, 1545, p. 353) e uno in De le rime di diversi nobili poeti toscani curate da Dionigi Atanagi (ibid., L. Avanzo, I, c. 144r) – fu raccolta da Orsini stesso a partire dal 1559 in un organico canzoniere, oggi conservato nel manoscritto Italien 1535 della Bibliothèque nationale di Parigi. Aperto da un canonico sonetto proemiale e chiuso, sempre in ossequio alla forme petrarchesche del liber, da una canzone alla Vergine, il manoscritto raccoglie 198 componimenti (166 sonetti, 9 madrigali, 8 canzoni, 6 componimenti in ottave, 5 sestine, 3 egloghe e un’ode) disposti in due ordinate sezioni, la prima in lode di Beatrice Pio, che Orsini aveva già conosciuto a Roma e alla quale avrebbe poi continuato a rivolgere versi dopo il suo matrimonio con il nobile padovano Gasparo degli Obizzi; la seconda, databile dalla seconda metà degli anni Quaranta alla morte, in cui si piange la morte di Beatrice e si affaccia un nuovo amore per una donna francese (Grossi, 2013, p. 43). Molti sono però i testi di dialogo con i sodali o di carattere encomiastico che si intrecciano con la vicenda amorosa. Diversi componimenti sono in onore della monarchia francese e altri dei principali compagni dell’Accademia degli Infiammati (Varchi, Piccolomini, Galeazzo Gonzaga) o dei letterati conosciuti in Veneto (Bembo su tutti), a Roma (Annibal Caro, Lattanzio Benucci, Bernardo Cappello, Giacomo Cenci) e in Francia (Alamanni), senza dimenticare il suo primo protetto Nicolò Franco e la poetessa senese Virginia Salvi. Nel complesso, Orsini dimostra una discreta padronanza del linguaggio lirico, affrancandosi dall’imitazione più corriva della linea bembiano-petrarchesca, per avviare un dialogo più aperto con altre auctoritates volgari, con una predilezione particolare per il registro bucolico (buona parte delle poesie amorose sono travestimenti pastorali).
Fonti e Bibl.: Il testamento del padre di Orsini (20 agosto 1552) è conservato a Los Angeles, University of California, Orsini family papers, box 240, folder 2, test. 2. F. Sansovino, L’historia di casa Orsina..., Venezia 1565, p. 19; Lettres de Catherine de Médicis, X, a cura di G. Baguenault de Puchesse, Paris 1909, p. 16 e n.; Correspondace des nonces en France. Dandino, Della Torre et Trivultio (1546-1551), a cura di J. Lestocquoy, Rome-Paris 1966, pp. 246, 461; N. Franco, Le pistule volgari (ristampa anastatica dell’ed. Gardane 1542), a cura di F.R. De’ Angelis, Bologna 1986, ad ind.; Lettres du cardinal Charles de Lorraine: 1525-1574, a cura di D. Cuisiat, Genève 1998, p. 93; Lettere di Pietro Aretino, a cura di P. Procaccioli, II, Roma 1998, pp. 146, 371; III, ibid. 1999, p. 482; Lettere scritte a Pietro Aretino, a cura di P. Procaccioli, II, Roma 2004, p. 217; N. Franco, Dialogi piacevoli, a cura di F. Pignatti, Manziana 2004, ad ind.; B. Varchi, Lettere 1535-1565, a cura di V. Bramanti, Roma 2008, pp. 120, 122, 130. Si vedano: F. Flamini, Il canzoniere inedito di L. O., in Raccolta di Studii critici dedicata ad Alessandro D’Ancon..., Firenze 1901, pp. 637-655; G. Alberigo, I vescovi italiani al Concilio di Trento (1545-1547), Firenze 1959, pp. 157, 162-165, 173 s., 187 s.; R.S. Samuels, Benedetto Varchi, the Accademia degli Infiammati, and the origins of the Italian academic movement, in Renaissance Quarterly, XXIX (1976), pp. 599-634; M.S. Lewis, Antonio Gardano. Venetian music printer 1538-1569. A descriptive bibliography and historical study, I, 1538-1549, New York-London 1988, pp. 17, 20-22, 31, 42 s.; V. Vianello, Il letterato, l’Accademia, il libro. Contributi sulla cultura veneta del Cinquecento, Padova 1988, pp. 72-74; Rime diverse di molti eccellentissimi autori (Giolito 1545), a cura di F. Tomasi - P. Zaja, San Mauro Torinese 2001, pp. 337, 440; S. Lo Re, Politica e cultura nella Firenze cosimiana. Studi su Benedetto Varchi, Manziana 2008, pp. 215 s., 231, 240, 250, 252-254; Ludi esegetici III..., a cura di F. Pignatti, Manziana 2009, pp. 29 s., 34-40; F. Piovan, Guillame Philandrier, la «Natio Burgunda» e le “pratiche” per il rettorato giurista padovano del 1538, inQuaderni per la storia dell’Università di Padova, XLII (2009), pp. 41-43, 47, 52; A. Andreoni, La via della dottrina. Le lezioni accademiche di Benedetto Varchi, Pisa 2012, pp. 54, 58, 128, 316; A.M. Grossi, L. O. e il manoscritto “Italien 1535” della Bibliothèque Nationale de France, tesi di dottorato, Department of Italian studies, University of Toronto, 2013.