MARCHESE, Leonardo
Nacque intorno al 1445 ad Albenga, nel Savonese, da Giovanni, che risiedeva anche a Genova, dove svolgeva non meglio precisate attività; è ignoto il nome della madre.
Ad Albenga la famiglia del M. era tra le più importanti, e aveva assunto dal XIII secolo un ruolo economico e politico di rilievo nella vita pubblica; i suoi membri furono chiamati con continuità a coprire le maggiori cariche nelle magistrature del Comune medievale, tra le quali, oltre a quella di notaio, la funzione di console. Sulla base delle liste di tassazione, all'inizio del XV secolo figurava ai primi posti per ricchezza.
Il M. frequentò le locali scuole municipali e quindi passò alla scuola episcopale del capitolo della cattedrale. Avviatosi alla vita religiosa, secondo una prassi che coniugava prestigio sociale e oculato investimento nella carriera ecclesiastica, studiò diritto canonico e civile presso l'Università di Bologna, dove si laureò in utroque iure. Indicazioni non suffragate da documentazione certa vorrebbero il M. già canonico presso la cattedrale prima del soggiorno bolognese; avrebbe inoltre, in absentia, beneficiato per un settennio delle rendite derivanti dalla prebenda canonicale, come espressamente previsto dagli statuti capitolari in caso di frequenza dello Studio felsineo. Nel 1468 risultava ormai stabilmente ad Albenga, dove il 1° giugno compariva quale decretorum doctor in veste di rappresentante del capitolo albenganese in un contratto concernente le gabelle del vino, miele e panno a favore della cappella della Trinità della cattedrale. I freschi studi del M. e la sua acquisita competenza legale furono utilizzati in altre occasioni dal capitolo albenganese, che gli attribuì l'incarico di rappresentarlo nella stipula di vari contratti.
Nel 1466 a capo della diocesi di Albenga era stato posto il vescovo Valerio Calderini. Occupato nell'insegnamento e in incarichi diplomatici per conto del papa, non risiedette mai in città e guidò la cattedra tramite vicari: a fianco del nipote Pietro, nel 1467 nominò anche il M., che ricoprì quell'incarico fino al 1472, quando a Calderini succedette Girolamo Basso Della Rovere (nipote ex sorore di Sisto IV e cugino del cardinale Giuliano Della Rovere), che governò anch'egli la diocesi dall'esterno per il tramite di Pietro Paolo de Buioni, arcidiacono del capitolo. L'anno successivo il M. ottenne la nomina a procuratore dell'abate commendatario del monastero benedettino dell'isola Gallinaria, chiamato ad amministrarne gli interessi dal cardinale genovese Giovanni Battista Cibo (poi papa Innocenzo VIII), che aveva ottenuto da Sisto IV quel beneficio ecclesiastico. I legami politici e i rapporti di clientela intessuti in quegli anni con esponenti di spicco delle famiglie Della Rovere e Cibo si sarebbero dimostrati fondamentali per la futura carriera del M., perché il 14 ott. 1476 Sisto IV lo chiamò a subentrare a G.B. Della Rovere sulla cattedra vescovile di Albenga.
Il M. si dedicò alla nuova attività con grande impegno, grazie al fatto che era, al contrario dei predecessori, vescovo stanziale e profondo conoscitore della realtà locale. Attento amministratore dei beni ecclesiastici e pervicace difensore dei diritti patrimoniali vantati dalla mensa episcopale, si premurò di recuperare crediti e tributi non pagati e di negoziare nuovi contratti. In diversi casi arrivò a subinfeudare i feudi vescovili, concedendo ai più importanti nobili locali la riscossione delle decime in cambio, oltre che di un canone annuo, del sostegno politico e della difesa militare. Su alcuni territori della diocesi si riservò la piena e diretta signoria e l'amministrazione della giustizia, utilizzando tutti gli strumenti in suo possesso per far rispettare i propri diritti: così non esitò nel 1479 a fulminare la scomunica sull'intera Comunità di Toirano a causa dei contrasti insorti intorno al pagamento dei canoni annui per l'utilizzo di frantoi, forni e mulini da grano di proprietà della mensa vescovile. Nel febbraio 1481 inflisse un'altra scomunica a una decina di contadini di Torria, che non avevano versato le decime spettanti al rettore di Cesio. In ambedue i casi gli scomunicati si piegarono subito alla volontà del vescovo e furono solleciti a corrispondere quanto dovuto per affrettare il ritiro dell'interdizione. Non meno saldo fu l'operato del M. nel combattere l'usura e gli usurai, contro i quali comminò scomuniche.
Sebbene risulti difficile ricostruire compiutamente il suo operato più strettamente ecclesiastico, risulta del M. un'attenzione particolare alla diffusione del culto. Per favorire la partecipazione popolare ai riti sacri, resa non facile dall'isolamento di alcuni centri abitati, distanti dagli edifici religiosi, procedette al restauro o alla costruzione di numerose chiese, conferendo a molte di esse lo status di nuove parrocchie o rettorie. In quest'opera pastorale si distinse per le numerose visite ai centri della diocesi (Ceriale, Toriano, Diano), dove inaugurò e consacrò altari e chiese, restaurate o impreziosite da lavori artistici, da lui espressamente commissionati.
Nella seconda metà del 1484 si recò a Roma, probabilmente per seguire il cardinale G.B. Cibo nel conclave che lo elesse papa. Assistette all'intronizzazione del pontefice (29 agosto) e il 20 dicembre presenziò nel palazzo apostolico al primo concistoro convocato dal nuovo papa. A conferma di un saldo rapporto politico e personale, appena salito sul soglio pontificio, Innocenzo VIII nominò il M. vicario papale per la città di Roma, carica che resse almeno sino all'agosto del 1485.
Rientrato ad Albenga, proseguì nella sua attività, continuando le visite pastorali: nel settembre 1488 si recò a San Remo, dove consacrò la chiesa di S. Margherita del Poggio. Tra la fine del 1494 e gli inizi dell'anno seguente si trovava a Genova e nei suoi dintorni; chiamato dai benedettini Olivetani, il 18 genn. 1495 consacrò la chiesa del convento di S. Gerolamo di Quarto, a seguito dei lavori di ampliamento e ristrutturazione di quel complesso religioso.
Nella sua veste pastorale di vescovo pacificatore, cercò di ridurre i contrasti che opponevano le differenti fazioni e le famiglie nobiliari albenganesi, sollecitando ripetutamente, anche se spesso con scarso successo, la loro pubblica riconciliazione; diede lui stesso l'esempio, facendosi promotore della pacificazione tra la sua famiglia e quella dei Ricci: il 17 febbr. 1495 presiedette la cerimonia con la quale i due "alberghi" mettevano da parte ogni rivalità e si promettevano amicizia e concordia.
Dal 24 genn. 1502 il M. guidò la diocesi di Vercelli come vicario generale in sostituzione del cardinale Giuliano Della Rovere, che l'aveva ottenuta in commenda, riconsegnando l'incarico nelle mani dell'antico protettore non appena questi fu eletto papa Giulio II (31 ott. 1503).
Negli orientamenti politici, fin verso il 1499 il M. sembrerebbe essere stato filo-sforzesco (gli Sforza erano anche signori di Genova). Nella fase in cui il Ducato di Milano e la stessa Repubblica di Genova si trovarono sotto il dominio francese, egli si schierò con i Della Rovere, forse appoggiando le sollevazioni antifrancesi: nel 1504 si abboccò con Ferdinando d'Aragona per negoziare la presa di possesso di Albenga da parte degli Spagnoli. Cacciati i Francesi e tornata Genova all'indipendenza, nel 1512 il M. intervenne nei contrasti insorti tra Alassio e la sua città chiedendo, in base a una secolare convenzione, l'intervento del doge di Genova, che portò al riconoscimento delle ragioni di Albenga.
Uomo di cultura e sensibile all'arte, il M. si dimostrò acuto e non episodico mecenate. Alle sue committenze è possibile far risalire la grande fortuna incontrata nella Liguria occidentale dal pittore Giovanni Canavesio (tra l'altro, autore degli affreschi araldici per la facciata del palazzo vescovile, primo lavoro commissionato dal M. nel 1477, appena salito sulla cattedra). Alcuni indizi sembrano testimoniare che anche grazie al M. si ebbe nel Ponente ligure una inedita apertura agli influssi della pittura ligure-lombardo-provenzale (Gagliano Candela, pp. 460 s.). Attentissimo al decoro liturgico, commissionò diversi oggetti preziosi destinati al culto: nel 1498 fece lavorare per sé dagli abili e rinomati orafi della famiglia De Ferrari un importante pastorale (andato perduto), e nel 1501 ordinò a un orafo-argentiere locale un reliquiario per la cattedrale di S. Michele Arcangelo di Albenga destinato a contenere le reliquie del braccio di s. Verano: un pezzo di gran rilievo artistico (oggi nel Museo diocesano di Albenga), seppure di gusto arcaicizzante rispetto ai già affermati canoni rinascimentali. La stessa lastra tombale del M., che lo raffigura in abito pontificale con mitra e pastorale, costituisce uno dei pochi esempi di scultura rinascimentale di buon livello nella città. Assecondando la sua attenzione per libri e dotazioni liturgiche, nel corso del soggiorno romano provvide a rifornirsi presso gli artigiani locali di una mitra "preziosa" e di un pregevole corale. Il M. rivolse particolare attenzione alla cura del patrimonio librario della Biblioteca capitolare albenganese, arricchendone la dotazione di codici e costituendo una cospicua "libreria da coro" quattrocentesca (oggi si conservano almeno dieci codici miniati che risalgono al M., recanti l'arma della sua famiglia: due messali, due lezionari, sei corali, tra cui un antifonario commissionato al monaco Lorenzo Muzio del convento di S. Siro a Genova). Anche il duomo e il battistero albenganesi furono al centro dell'interessamento del M. e da lui arricchiti di paramenti e arredi. Nel 1489 il M. dotò il duomo di nuove sacrestie, commissionando nel 1509 tre vetrate per la facciata e per il coro. A favore del battistero patrocinò nel 1491 i lavori di abbellimento esterno e interno, insieme con il restauro e gli affreschi che andarono ad arricchire l'intradosso della cupola. A sancire ulteriormente un legame già profondo con la diocesi, il 15 dic. 1482 provvide a fondare un canonicato presbiterale presso la cattedrale a suffragio della propria famiglia.
Il M. morì ad Albenga il 31 luglio 1513 e fu sepolto nella cattedrale. La lastra funeraria di marmo fu ritrovata nel 1967 durante il restauro.
La devozione popolare prese da subito a venerarlo come santo, attribuendogli miracoli e guarigioni. Durante i primi mesi della Repubblica democratica, nel 1797 la sua tomba fu profanata. Dalla dispersione si salvò solo il cranio, che nel 1806 fu ricoverato in una cappella del duomo e segnalato da una croce marmorea. Nel 1868 era ancora viva l'eco di quella violazione sacrilega: gli ultimi testimoni dei fatti confermavano le virtù miracolose del M., affermando, inoltre, che il muratore responsabile della profanazione fosse morto subito dopo aver compiuto quel gesto.
Fonti e Bibl.: Albenga, Archivio stor. Ingauno, L. Raimondi, Albenga, San Michele, appunti mss., pp. n.n.; Ibid., Cattedrale di S. Michele, Archivio parrocchiale, Liber defunctorum ad annum 1806; Ibid., Arch. capitolare vescovile, G.A. Paneri, Sacro, e vago giardinello, e succinto riepilogo delle raggioni delle chiese, e diocesi d'Albenga…, passim; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, IV, Venezia 1719, col. 921; G.B. Semeria, Storia ecclesiastica di Genova e della Liguria dai tempi apostolici sino all'anno 1838, Torino 1838, pp. 162 s.; G. Rossi, Storia della città e diocesi di Albenga, Albenga 1870, pp. 27, 205, 207-209; L'abbazia di S. Girolamo Genova-Quarto. Arte, pietà, storia, s.l. né d., p. 15; L. Raimondi, I codici del duomo di Albenga, in Arte cristiana, II (1914), 5, pp. 145-148; Id., La serie dei vescovi di Albenga, in Riv. ingauna e intemelia, n.s., III (1948), 2, p. 23; R. Amiet, Manoscritti liturgici conservati a Genova, Savona, Albenga e Ventimiglia, ibid., n.s., XXXIV-XXXV (1979-80), pp. 26-29; Il Museo diocesano di Albenga, Bordighera 1982, pp. 38 s., 56; J. Costa Restagno, Albenga, Genova 1985, ad ind.; L.L. Calzamiglia, Un vescovo albenganese: L. M. (1476-1513), in Riv. ingauna e intemelia, n.s., XLI (1986), pp. 1-24; A. De Floriani, La miniatura in Liguria: un bilancio provvisorio, in Nicolò Corso, un pittore per gli olivetani… (catal., La Spezia), a cura di G. Rotondi Terminiello, Genova 1986, pp. 151 s.; A. Gagliano Candela, Il vescovo L. M. mecenate ad Albenga nel secondo Quattrocento, in La storia dei Genovesi. Atti del Convegno di studi sui ceti dirigenti… 1987, VIII, Genova 1988, pp. 453-484; M. Marcenaro, Il battistero paleocristiano di Albenga. Le origini del cristianesimo nella Liguria marittima, Genova 1993, ad ind.; A. Granero, Albenga sacra, Albenga 1997, pp. 152 s.; Hierarchia catholica, II, pp. 48, 84; III, p. 101.