COMINELLI, Leonardo
Nacque a Salò (nella provincia di Brescia) il 7 novembre del 1642 dal giurista Bernardino, in una famiglia facoltosa che aveva dato alla Repubblica molti funzionari, ambasciatori e deputati della riviera di Salò.
Fu posto alla scuola dei gesuiti, prima a Castiglione delle Stiviere poi a Parma, e vi fece studi soprattutto filosofici e matematici. Nelle notizie biografiche premesse all'edizione postuma delle poesie si dice che avrebbe desiderato di entrare nella Compagnia di Gesù, ma che ne fu dissuaso "per la delicatezza del suo temperamento" (p. IX).
Dopo un breve soggiorno padovano (dichiarato dal Bustico, 1916, p. 1493 senza indicazione di fonte), si ritirò in patria vivendo per lo più in una villa della famiglia a Cisano sul Garda, e lasciate ai fratelli le cure economiche, si dedicò completamente agli studi manifestandovi grande varietà e mobilità di interessi, sia pure nei limiti di un agiato dilettantismo: si occupò infatti, tra l'altro, di matematica e fisica, di astronomia, di architettura e praticò anche la pittura. Ebbe larga parte nelle vicende dell'Accademia degli Unanimi di Salò, vecchia di un secolo ma, a metà del Seicento, in gravissima crisi per inimicizie interne e per inerzia dell'attività. Nel 1669 l'accademia ebbe statuti riformati e il C. letteralmente la richiamò in vita: pronunciò e pubblicò un discorso inaugurale auspicante migliori fortune, che peraltro l'accademia non conobbe, e fornì sull'istituto ampie notizie storiche pubblicate in G. Malatesta Garuffi, L'Italia accademica, Rimini 1688, pp. 191-222 (Sugli Unanimi si vedano anche G. Bustico, Le Accademie di Salò, Venezia 1913, e M. Maylender, Storia delle Accademie d'Italia, V, Bologna 1930, pp. 383-89).
Fu anche in relazione con alcuni importanti scrittori contemporanei. Si segnala il carteggio con Daniello Bartoli, che forse fu di una certa consistenza. Gli originali vennero consegnati dal nipote Giuseppe Cominelli al padre Giovanni Bongiuochi, che ne mise insieme una raccolta andata poi in parte dispersa. Quattro lettere del C., più tre lettere e un frammento di lettera del gesuita ferrarese, si leggono in D. Bartoli, Lettere, Bologna 1865, pp. 65-72 e 154-60. Le quattro lettere del Bartoli, con altre sei, sono state poi pubblicate, con una certa approssimazione (soprattutto con errori di datazione, poiché la prima lettera del 3 maggio 1661 va postdatata di vent'anni) da G. Bustico, Lettere inedite di D. Bartoli a L. C., in Riv. ligure di scienze, lett. ed arti, XLIII (1916), pp. 149-72. La corrispondenza cominciò il 9 apr. 1681 con una missiva del C. che toccava problemi di fisica del suono, in margine soprattutto al bartoliano trattato Del suono uscito nel '79, ma è ingiustificato parlare del C. come di un collaboratore del Bartoli nelle esperienze matematiche e scientifiche. L'esiguo carteggio testimonia certo una corrispondenza cordiale e un interesse costante per le questioni scientifiche, ma anche una sostanziale dispersione di argomenti e un impegno di ricerca assai modesto. Semmai il C. sollecitava, presso il famoso scrittore, qualche orientamento negli studi e un giudizio letterario, che il Bartoli gli diede positivo, lodando la chiarezza, l'ordine e l'ottima lingua e senza affettazione" del suo corrispondente. Il Bustico pubblica anche due lettere di Alessandro Pico della Mirandola (1683-1684), una del giovane P. I. Martello (1688), che iperbolicamente lo ringrazia di aver accettato l'ascrizione alla bolognese Accademia dei Gelati, una di F. de Lemene (1694). Altre nove lettere del Lemene si leggono nell'Epistolario di questo scrittore, in Arch. stor. lombardo, XIX (1892), pp. 345 ss., 629 ss.
Un rilievo frequente nei giudizi dei corrispondenti è quello della rigorosa moralità degli scritti letterari del C., nei quali, in effetti, sono quasi assenti e comunque irrilevanti i temi della galanteria e dell'amore. Le poesie uscirono postume, in un'edizione approntata da G. Cominelli (Poesie, Pavia 1730), distinta in due parti e corredata in appendice da due drammi per musica e da una scelta di carmi latini.
L'impegno maggiore è rappresentato dalle numerose odi, dedicate per lo più ad alti funzionari e a governatori della riviera di Salò (Giacomo Miani, Domenico Trevigiani, Giovanni Balbi, Pietro Vitturi) o a noti personaggi della vita veneziana, come Francesco Morosini e Battista Nani. Il sentimento filopatride vi è sviluppato con ampiezza: il lungo panegirico di G. Miani intitolato Il Bucentoro (pp. 67-87) è la prova più complessa di questa volontà celebratoria che, in tempi di crisi crescente, testimonia la forza irradiante del mito veneziano (il panegirico è stato preso in esame in uno studio del Bustico, L'elogio poetico del Garda di un poeta seicentista, Villafranca 1913). L'ode a D. Trevigiani (pp. 117-20) fu accolta dal Muratori nel florilegio poetico posto in appendice al Della perfetta poesia italiana (Modena 1706, II, pp. 460-64), con giudizio di lode per il "dir conciso", i "pensieri acuti e sodi" e le "sentenze vere, ingegnosamente e succintamente esposte"; valutazione eccessivamente longanime, che tuttavia prova il contributo del C. a un gusto lirico di solenne e misurato equilibrio. Per quanto riguarda i rapporti epistolari, due lettere al Muratori, 15 agosto e 4 sett. 1698, sono alla Bibl. Estense a Modena, Arch. Murat., filza 61, fasc. 29: il C. lo ringrazia di avergli chiesto poesie sue, ma, accampando una "lunga convalescenza", dichiara di non aver nulla sottomano e di non poter dare compimento a "diverse sbozzature".
Nelle odi necrologiche (ad esempio in morte della principessa Maria Pico, già pubblicata in Fiori poetici sparsi sopra il sepolcro della principessa Maria Pico, Bologna 1684, pp. 58-71) e in quelle più manifestamente edificanti come l'ode per Gesù addormentato in braccio alla Vergine, la solennità dell'argomento e dell'intonazione è variata da ricche coloriture vezzeggianti, secondo il ben riconoscibile gusto che predomina nell'arte sacra del tempo. I temi sostenuti e dignitosi si valgono di un lessico e di una inclinazione al gesto oratorio che appaiono di scuola, ma che pur sono corretti dall'uso di una sintassi poetica franta e nervosa, che svela in questi scritti la presenza di moduli teatrali ma anche testimonia, pur nella complessiva modestia degli esiti, un sentimento accorato della vita, non sprovvisto, in alcuni casi, di una certa capacità di percezione storica. Come lirico il C. è vicino al Dottori: in lode appunto dell'Aristodemo dottoriano, pubblicato nel 1657, è l'ode La tragedia (pp. 14-27), che spicca in alcune parti, soprattutto all'inizio, per la tesa e solenne celebrazione del linguaggio tragico, sentito come la forma più alta della tradizione, protetta da sacro pavor: mito da riproporre allo scrittore moderno che voglia recuperare la forza di un passato non più ripetuto ma non morto. Meno felice dove prevale l'intento laudatorio, quando invece traccia la storia poetica del Dottori, col passaggio dalla lirica alla drammatica, rivela un sentimento acceso, e talvolta anche acuto, della drammaticità scenica. Di minore interesse sono i sonetti, gli enigmi e i madrigali raccolti nella seconda parte: rime devote, di lode e d'occasione che non escono dai moduli ripetitori.
Le due tragedie svolgono materia storica. Il Leone riprende liberamente episodi della vita di Leone VI il Saggio, imperatore d'Oriente, osteggiato dal padre Basilio il Macedone che tentò di escluderlo dalla successione al trono. Abbareno e Alcandro preparano una trama dolosa contro Leone, tornato vincitore dalla guerra, ed eccitano la gelosia di Basiglio, timoroso che il figlio voglia scalzarlo dal trono. In un attentato Basiglio è dato per morto e Abbareno semina la voce che responsabile sia Leone; e quando l'imperatore, sopravvissuto al naufragio, torna a corte, Leone è imprigionato e condannato a morire, ma il veleno, pur replicato, non fa il suo effetto, anzi miracolosamente sana il giovane, e la rivelazione, da parte di Alcandro, della trama delittuosa, ristabilisce la verità. Il Martirio di Antonina è ripreso dal Martirologio romano, che elenca s. Antonina vergine e martire alla data del 3 maggio, e narra la persecuzione, sotto l'impero di Massimiano nel III secolo, della giovane cristiana, condannata dapprima al lupanare, liberata da Alessandro tribuno delle milizie che a lei si sostituisce, e infine martirizzata col suo salvatore.
Ricchi materiali manoscritti del C. o relativi al C. (rime, rime responsive, lettere, ecc.) si conservano a Salò nella Biblioteca dell'Ateneo, tra i Mss. Butturini e Grisetti, e sono brevemente descritti da G. Lonati negli Inventari dei mss. delle Biblioteche d'Italia, XLIV, Firenze 1930, ad Indices. Si tratta per lo più, ma non sempre, di scritti raccolti nella silloge del 1730, ma vanno segnalati, come inediti, almeno alcuni discorsi accademici stesi fra il 1670 e il 1675: Che la fama non deve essere regolatrice del nostro interesse; Sopra il problema se sia tributo più alla virtù conveniente il silenzio o la lode; Il male fecondo di maggior bene; Che la donna dovrebbe essere letterata; Amor abbonda più di pene che di contenti; Il pronostico e il già menzionato discorso per il riaprimento degli Unanimi. Altri manoscritti di testi editi si conservano a Bologna, Bibl. comunale dell'Archiginnasio, ms. B. 27, cc. 40-44r (ode per Maria Pico) e Bibl. Carducci, ms. 87 (sonetto Di Licori) e ms. 89 (ode per M. Pico).Il C. morì a Cisano il 13 dic. 1703.
Bibl.: F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, Bologna 1739-1752, II, p. 338; V, p. 492; L. Allacci, Drammaturgia, Venezia 1755, coll. 480 s., 511; V. Peroni, Biblioteca bresciana, I, Brescia 1816, p. 276; G. Brunati, Dizionarietto degli uomini illustri della Riviera di Salò, Milano 1837, pp. 59 s.