EBUZIA, LEGGE (lex Aebutia)
A detta degli antichi (specialmente Gaio, Inst., IV, 30), sostituì alla forma antichissima di processo privato (legis actio), in cui le parti esprimevano davanti al magistrato le loro pretese e difese con parole e gesti solenni ed erano quindi rimesse al iudex privatus, una forma consistente nel preparare, di concerto fra parti e magistrato, uno schema (iudicium) dei compiti del giudice, conforme a modelli (formulae) esposti nell'Editto. Forse l'innovazione fu meno importante: sia perché il processo per formulas era già praticato fra Romani e stranieri e dovunque dominasse la discrezione del magistrato, sicché la riforma si limitava al campo del ius civile in senso stretto (iudicia legitima); sia perché le legis actiones rimasero facoltative (poco praticate), fino a quando Augusto le abolì quasi del tutto. La legge è, quasi unanimemente, riferita alla seconda metà del sec. II a. C.
Bibl.: G. Rotondi, Leges publicae populi Romani, Milano 1912, p. 304 seg.; id., Scritti giuridici, I, Milano 1922, p. 422; P. F. Girard, La date de la loi Aebutia, in Zeitschr. der Sav. - Stift., 1893, n. 14, p. 11 seg.; id., Nouvelles observations sur la date ecc., ibid., XXIX (1908), p. 138 seg.; M. Wlassak, Römische Process-gesetze, Lipsia 1889, I, p. 171 seg.