Le vie, i luoghi, i mezzi di scambio e di contatto. Europa tra preistoria e protostoria
Nella preistoria e nella protostoria europea la ricostruzione dei percorsi e delle modalità di circolazione dei beni e delle persone è affidata esclusivamente alla valutazione delle fonti archeologiche, salvo casi eccezionali nei quali gli autori antichi hanno fornito notizie dai contorni mitici che comunque si possono riallacciare a realtà archeologiche di età protostorica. È questo il caso, ad esempio, dell'ambra, materiale molto prezioso sia nella preistoria che nella protostoria, la cui origine, dibattuta da numerosi autori, secondo la versione di Ovidio (Met., II, 1-400) sarebbe dovuta alle lacrime delle ninfe Eliadi per la morte del fratello Fetonte, precipitato dal carro del Sole nel fiume Eridano, nome mitico del Po. Tale racconto è stato messo in relazione con la grande quantità di ambra presente nell'area padana a partire dalla tarda protostoria. Indicazioni sui mezzi di trasporto sono fornite da resti archeologici, da fonti iconografiche e da riproduzioni plastiche miniaturizzate, mentre l'esistenza di tracciati viari è riscontrabile solo in situazioni particolari (zone umide, aree ricoperte da eruzioni vulcaniche). L'esistenza di luoghi di scambio è stata ipotizzata in alcuni casi sulla base della concomitanza di una serie di elementi: la varietà, la qualità e la quantità dei materiali rinvenuti, la presenza di aree di lavorazione, di oggetti a vari stadi di lavorazione e finiti, ecc., all'interno degli insediamenti. La quantità maggiore di informazioni è fornita dall'analisi delle modalità di distribuzione di materiali dei quali sia accertata la provenienza su aree più o meno vaste, che costituiscono la traccia di spostamenti di persone e di direttrici di collegamento. La ricostruzione dei modelli che sottostanno alla circolazione dei materiali e dei prodotti risulta vincolata alle ipotesi riguardanti l'organizzazione sociale delle comunità coinvolte e i modelli di relazione che per esse si ricostruiscono. Le ipotesi che si sono succedute sono dunque state condizionate dalle diverse prospettive di ricerca sviluppatesi nel corso del Novecento. Limitandosi al dibattito scientifico più recente, si ricordano le posizioni che proponevano meccanismi di commercio mutuati da realtà socioeconomiche più complesse, alle quali si è contrapposto un indirizzo di ricerca secondo il quale gli unici riferimenti adeguati nell'elaborazione dei modelli di scambio tra le comunità preistoriche potevano essere ricercati nelle società d'interesse etnografico. Gli studi dell'ultimo decennio del XX secolo, superata la fase di contrapposizione tra queste due impostazioni e facendo sempre maggior uso di sofisticate tecniche di analisi, sembrano più interessati alla ricostruzione di situazioni specifiche, ponendo attenzione all'analisi dei contesti, facendo uso di modelli etnografici ma non dimenticando la specificità della pre- protostoria europea. I modelli di relazione più comunemente utilizzati per interpretare la distribuzione delle evidenze archeologiche sono i seguenti: scambi lineari (down to line) tra gruppi limitrofi, evidenziati nella documentazione archeologica da una diminuzione dei materiali proporzionale all'aumento della distanza dalla fonte di approvvigionamento; scambi direzionali tra centri principali che fungono da polo di ridistribuzione rispetto a centri minori e/o territori sottordinati, riconoscibili per la diminuzione multimodale delle presenze archeologiche; scambi basati sulla reciprocità, che possono assumere forme cerimoniali e connotare lo status sociale degli individui coinvolti interessando anche amplissime distanze; commercio indipendente ( freelance trade) condotto da agenti intermediari; scambi organizzati all'interno di una comunità in forma più complessa del semplice meccanismo redistributivo; scambi diffusi, intesi nel senso di una presenza di numerose direttrici di traffico che fanno riferimento a punti di scambio diversi.
Nelle società precedenti la sedentarizzazione, nelle quali la mobilità dei cacciatori era legata agli spostamenti della selvaggina entro territori delimitati, tracce archeologiche di spostamenti sono costituite dalla presenza di oggetti realizzati con materiali dei quali sia nota la provenienza, che può variare da poche decine a diverse centinaia di chilometri. Mentre le distanze minori dovevano ricadere nell'ambito dei territori di caccia dei singoli gruppi, ricostruire le modalità di spostamento su scala più ampia risulta problematico, specie per i periodi più antichi, poiché le testimonianze risultano frammentarie e più difficilmente riconducibili entro un unico quadro interpretativo. Le ipotesi generalmente accettate per le fasi più antiche indicano come la presenza di materiali provenienti da zone molto lontane non possa essere ancora considerata una traccia di contatti organizzati tra gruppi limitrofi o di spedizioni, ma piuttosto il risultato di migrazioni su lunghe distanze o di contatti occasionali. In questa prima categoria rientra la presenza, attribuibile al periodo più antico del Paleolitico superiore, l'Aurignaziano antico, di ossidiana e di radiolarite sui due versanti dei Carpazi, in luoghi distanti fino a 500-600 km dalle fonti di estrazione. Nonostante non sia possibile ricostruire le direttrici di collegamento, questi dati indicano che gli uomini del Paleolitico superiore erano in grado di organizzare spostamenti lunghi e di superare percorsi disagevoli. Gli oggetti che per primi furono trasportati su grandi distanze furono le conchiglie, fossili e contemporanee, usate come ornamenti. Alla fase antica del Paleolitico superiore è ascrivibile la collezione di conchiglie originarie delle spiagge del Mediterraneo, contemporanee alla frequentazione antropica, presenti nella Grotta di Fumane sui Monti Lessini nel Veneto, nei livelli databili tra 37.000 e 32.000 anni fa, e nel sito di Krems- Hundssteig nell'Austria Inferiore, a oltre 500 km di distanza dal mare. Nell'Europa settentrionale, nella Grotta di Spy in Belgio, sono presenti conchiglie fossili (Nassarius reticulatus, Tivia coccineloides) provenienti dall'Inghilterra orientale. Casi eccezionali di ritrovamenti di selce a distanze molto ampie dalle aree di estrazione si hanno già nel Paleolitico medio, come la presenza di selce estratta a Swieciechòw sul medio corso della Vistola, nel giacimento ungherese di Solyomkuti, lontano circa 400 km. Con la fase medio-recente del Paleolitico superiore, durante il Gravettiano e il Maddaleniano, si ha un quadro diverso dei rinvenimenti e delle ipotesi interpretative. Mentre l'interesse per le conchiglie sembra diminuire nei siti lontani dal mare, la presenza sistematica di selce di provenienza alloctona diffusa su vaste aree, ad esempio la selce della valle del Dnestr e del Pruth e la selce erratica della Slesia, fa pensare a una modalità organizzata di approvvigionamento. Sono stati ipotizzati contatti tra gruppi stanziati in territori limitrofi o spedizioni ai luoghi di estrazione. Schegge di ossidiana dell'isola di Milo, rinvenute negli strati del Paleolitico superiore della Grotta di Franchthi in Argolide, costituiscono una delle più antiche tracce di movimenti marittimi. La possibilità che i cacciatori paleolitici fossero in grado di effettuare spostamenti per vie d'acqua è indiziata dalla presenza di siti dell'Aurignaziano recente in Sicilia. I cambiamenti socioeconomici sopravvenuti con il Neolitico portarono a nuove forme di organizzazione del lavoro all'interno delle comunità e a nuove esigenze di procacciamento di materie prime. Uno dei principali indicatori di contatti su lunga distanza è l'ossidiana (detta anche "vetro vulcanico") usata per fabbricare strumenti e reperibile solo in alcune isole del Mediterraneo, di cui è possibile stabilire la provenienza, poiché i giacimenti presentano caratteristiche chimiche diverse. La circolazione di questo materiale costituisce anche un indizio del forte progresso delle conoscenze marinare durante il Neolitico. Le imbarcazioni conosciute per questo periodo sono, tuttavia, principalmente piroghe monossile, originariamente destinate alla navigazione in acque calme. I resti provengono infatti da aree lacustri, paludose, e da fiumi dell'Europa centro-settentrionale, dai laghi circumalpini e anche dall'Italia centrale (Lago di Bracciano). L'isola di Milo nelle Cicladi costituì la fonte di approvvigionamento di ossidiana per la terraferma greca fino alla Tessaglia e per l'isola di Creta. L'isola, abitata stabilmente solo a partire dal Neolitico tardo (seconda metà del VI millennio a.C.), per i periodi precedenti era frequentata da gruppi provenienti dall'esterno che procedevano all'estrazione della materia prima. Durante il Neolitico antico e il Neolitico medio singoli gruppi specializzati avrebbero controllato la catena di operazioni che andava dall'estrazione alla circolazione e alla distribuzione dell'ossidiana nell'Egeo. Potrebbe essersi trattato di un singolo gruppo che avrebbe svolto tutte le operazioni, ovvero di naviganti esperti che procedevano anche all'estrazione e che poi passavano il materiale grezzo ad artigiani che svolgevano la lavorazione. Secondo alcuni autori lo scambio dell'ossidiana sarebbe collegato allo svolgimento di spedizioni di pesca. Le indagini condotte da C. Perlès hanno anche dimostrato che la percentuale di ossidiana trovata nei siti della terraferma non sembra rispondere a un meccanismo di scambio lineare (down to line). Nel Neolitico tardo con l'occupazione delle Cicladi il traffico di ossidiana sembra essere stato condotto da intermediari ( freelance trade). Nel Mediterraneo occidentale, a partire dal VI millennio a.C. circa, furono attivi quattro principali centri di estrazione dell'ossidiana: Monte Arci in Sardegna, Lipari nelle Isole Eolie, Pantelleria tra la Sicilia e la costa africana settentrionale e Palmarola al largo della costa campana settentrionale. Il commercio dell'ossidiana raggiunse la massima diffusione tra la fine del V e il IV millennio a.C. Sulla base delle analisi effettuate sulle aree di provenienza è stato possibile stabilire che l'ossidiana sarda raggiunse nel Neolitico antico l'Italia centrale e settentrionale, l'Isola d'Elba e la Corsica e, nel V e nel IV millennio a.C., la Francia meridionale (Provenza). La rotta doveva partire dal Golfo di Oristano, oltrepassare la Corsica settentrionale e raggiungere l'Isola d'Elba e il litorale toscano, dove partivano percorsi verso il territorio laziale e verso settentrione. L'ossidiana di Lipari, quella più densamente diffusa, comunissima in Sicilia e in Italia meridionale, attraverso i passi della Calabria meridionale fu trasportata sul versante ionico fino ai villaggi del Tavoliere. Lungo il versante tirrenico secondo tragitti ancora non ben definibili giunse fino all'Italia settentrionale e alla Francia meridionale. L'ossidiana di Palmarola, rinvenuta sul versante tirrenico dell'Italia centrale, attraverso i valichi appenninici fu trasportata nell'Italia settentrionale e nord-orientale da dove raggiunse la Dalmazia, mentre raramente è documentata in Italia meridionale. L'ossidiana di Pantelleria è stata rinvenuta in Sicilia, a Malta e sulla costa settentrionale dell'Africa. Analogamente a quanto prospettato per Milo, lo sfruttamento dei giacimenti sarebbe iniziato secondo alcuni studiosi in un momento precedente agli stanziamenti stabili sulle varie isole, ad opera di esperti nella marineria che estraevano il materiale grezzo. L'ossidiana non sarebbe stato l'unico oggetto degli scambi, ma si sarebbe accompagnata ad altri materiali, asce di giadeite, selce pregiata, corallo. Indicazioni in questo senso sono numerose e fanno supporre che i resti pervenuti fino a noi siano solo un'esile traccia di quello che dovette essere un volume di scambi molto più importante, che doveva coinvolgere non solo materiali e manufatti, ma anche il bagaglio delle conoscenze tecnologiche e delle ideologie. Un limitato esempio dell'esistenza di circuiti che distribuivano più materiali è dato dalla circolazione di ornamenti di corallo di probabile origine sarda nel territorio francese tra la fine del V e gli inizi del IV millennio, che è stata messa in relazione con la presenza di ossidiana sarda, che diventa esclusiva nel IV millennio a.C. Vaghi di collana e pezzi non lavorati di questo prezioso materiale sono stati rinvenuti nella necropoli di Chamblandes nel Vaud, negli insediamenti della cultura di Cortaillod (Neuchâtel), in Savoia e nel Württemberg. La grande quantità di ossidiana in alcuni siti dell'Italia settentrionale (Faenza, Pescale) e il numero di siti nei quali è presente suggeriscono d'altra parte che lo scambio di questo materiale possa aver assunto un valore sociale. Altri percorsi sono indiziati, nell'Europa orientale e balcanica, dalla circolazione di ossidiana proveniente dai giacimenti dei Carpazi Occidentali, a partire dall'inizio del VI millennio a.C. Nella fase più antica del Neolitico la presenza di ossidiana nei siti delle Gole del Danubio è stata interpretata alternativamente come indizio di flussi di popolazioni o di traffici di materiali non lavorati. La presenza di ossidiana è legata anche in quest'area alla circolazione di altre materie prime litiche e di conchiglie. Negli insediamenti della cultura di Tisza del Neolitico recente, nella parte meridionale della pianura ungherese, l'ossidiana si accompagna alla presenza di conchiglie Spondylus e alle prime attestazioni di rame. Verso settentrione la sua diffusione sembra aver toccato la Polonia meridionale, dove è documentata nell'insediamento di Olszanica. Percorsi su lunghissima distanza, che hanno coinvolto il territorio europeo dalla penisola italiana alle Isole Britanniche, lo Jütland e la Penisola Scandinava, sono documentati dalla circolazione di asce e di ornamenti di pietra levigata, secondo direttrici che, nell'area meridionale, in parte si sovrappongono ai percorsi indicati dalla diffusione dell'ossidiana e si intrecciano con quelli di altre materie prime litiche di diffusione più limitata. Questo flusso di scambi assunse in Europa settentrionale maggiore rilevanza tra il IV e l'inizio del III millennio a.C. Un'importante area di reperimento e lavorazione di rocce metamorfiche (eclogiti, giadeiti, ecc.) fu attiva in Piemonte a partire dall'ultimo quarto del VI millennio a.C. (Neolitico antico) ed ebbe il massimo sviluppo nel Neolitico medio (V millennio a.C.). Le differenti fasi della catena operativa che portava ai prodotti finiti non erano svolte in un unico luogo. In particolare, nei siti entro una distanza limitata dalla fonte di approvvigionamento possono essere documentati prodotti che presentano varie fasi di lavorazione, mentre in quelli distanti più di due giorni di cammino dai luoghi di cava, si trovano prodotti finiti: data la grande quantità degli scarti e il peso del materiale stesso, su grandi distanze viaggiavano i prodotti finiti. Per alcuni siti come Alba in Piemonte, che presenta una grandissima quantità di materiali con diversi gradi di finitura, e per Gaione in Emilia, nel quale sono presenti anche altre materie prime di provenienza alloctona (ossidiana, cristallo di rocca, ceramica importata), è stata ipotizzata una funzione di luoghi di scambio. Le asce piemontesi sono molto diffuse nei siti della cultura di Chassey della Francia meridionale, che erano raggiungibili seguendo il corso della valle del Tanaro e i valichi delle Alpi Occidentali. Per questo circuito di circolazione di beni è stato prospettato un modello di scambio diretto tra gruppi limitrofi (down to line). Le asce di giadeite proveniente dai giacimenti piemontesi mostrano una diffusione particolarmente ampia che raggiunge verso settentrione l'Inghilterra e a sud l'Italia meridionale. È stato ipotizzato, anche sulla base di confronti etnografici, che esse abbiano assunto presso le comunità neolitiche un valore come simbolo di prestigio. In Francia nel sito bretone di Plusselien erano prodotte asce in pietra levigata ampiamente documentate lungo il corso della valle della Loira verso sud-est, diffuse anche nel resto del territorio francese fino alla Svizzera e, verso settentrione, presenti in Inghilterra. Grande diffusione ebbe anche la selce estratta nelle miniere del Grand Pressiguy in Turenna, con la quale si ottenevano pugnali diffusi nella Francia centro-settentrionale e in Svizzera. In Polonia numerose zone di estrazione fornivano selce scambiata su lunghe distanze: ad esempio la selce listata di Krzemionki diffusa fino a 500 km di distanza dal sito di estrazione e la selce di Radom, con la quale si realizzavano e si scambiavano lame finite, rinvenute anche in Boemia, nell'insediamento di Bylany. In Gran Bretagna, dove furono effettuate le prime analisi mineralogiche, da un numero molto alto di officine del Neolitico antico cui corrispondeva una circolazione limitata dei manufatti, si passa con il Neolitico finale a una diminuzione delle aree di provenienza e a un corrispondente aumento del raggio di diffusione dei manufatti. Sono stati ipotizzati come possibili luoghi di scambio nel Neolitico antico alcuni siti del tipo causewayed camps (campi a strade rialzate), mentre nel Neolitico tardo tale ruolo sembra essere stato svolto da siti del tipo henge. Un rilevante esempio di trasporto per via d'acqua è quello indiziato dalla diffusione delle asce dallo Jütland fino alla Svezia centrale verso nord-est e all'Inghilterra verso ovest. In quest'ultimo caso è stata ipotizzata una modalità di commercio direzionale.
Le prime testimonianze di veicoli su ruote risalgono all'età del Rame e consistono in dischi lignei pieni trovati in un'area vastissima che va dall'Ucraina alla Danimarca, come pure in modellini di carro in argilla presenti negli insediamenti rumeni e ungheresi e in raffigurazioni incise su recipienti in ceramica. La difficoltà di conservazione del legno ad eccezione che in ambienti umidi fa sì che i resti rinvenuti, concentrati nei depositi lacustri dell'Europa centro-settentrionale, non possano assolutamente riflettere la reale diffusione di questo mezzo di trasporto. A questo periodo va anche fatta risalire la diffusione del cavallo in Europa dalle steppe euroasiatiche. Resti di tracciati viari sono molto rari, ma non assenti. Alla media età del Bronzo risale una sorta di pavimentazione stradale nel sito di Cham-Oberweil in Svizzera, consistente in allineamenti di pietre che limitavano solchi di ruote. Tra l'Eneolitico finale e l'antica età del Bronzo sono invece databili i resti di tracciati viari costituiti da battuti, cordoli con cavità centrale e coppie di profondi solchi, conservatisi nei comprensori di Gricignano e Palma Campania al di sotto delle cosiddette Pomici di Avellino. Meglio documentati sono i resti di piste (trackways) realizzate per attraversare le zone paludose, note già in età neolitica. Nell'età del Bronzo lunghi percorsi e addirittura reti viarie sono conosciuti in Bassa Sassonia e nella Germania orientale vicino Emmen, nello Jütland, in Irlanda e in Inghilterra. La loro tecnica di realizzazione varia da zona a zona: i percorsi possono essere costruiti, ad esempio, con traverse di legno poggianti su due file di assi parallele oppure con fascine. I carri, in particolare quelli con ruote piene, erano certamente destinati ad uso agricolo e potevano sostenere una limitatissima velocità. Il carro più leggero e veloce, con ruota raggiata, è documentato nell'antica età del Bronzo anche in Italia, dove una ruota a quattro raggi è stata rinvenuta nella torbiera di Mercurago in Piemonte, mentre raffigurazioni su ceramica della Slovacchia, sempre di questo periodo, mostrano un carro a due ruote trainato da cavalli; anche la presenza di finimenti della bardatura testimonia che il cavallo era utilizzato per il trasporto. I buoi dovettero essere usati come animali da tiro e da soma e rivestire anch'essi un ruolo nella circolazione dei manufatti. Le numerose imbarcazioni monossile rinvenute in Europa settentrionale e nei laghi dell'area alpina, di dimensioni variabili, lunghe fino a 16 m, spinte da pagaie o da aste, sembrano essere state adatte a solcare acque interne. Conservato molto raramente (alcuni resti provengono dall'Inghilterra), è un tipo di imbarcazione con lo scafo formato da assi tenute insieme da fibre vegetali, lungo circa 15 m e largo 2 m, che sembra sia stato in grado di affrontare il mare. Le incisioni della tarda età del Bronzo scandinava, raffiguranti migliaia di imbarcazioni con prue rialzate, costituiscono un'altra traccia della consuetudine alla navigazione delle genti dell'età del Bronzo nell'Europa settentrionale. Alcuni rinvenimenti interpretati con minore o maggiore grado di certezza come pertinenti a relitti sono inoltre sporadicamente noti nel Mar Mediterraneo e nella Manica. L'avvento della metallurgia pose nuovi problemi di reperimento delle materie prime e aprì nuovi percorsi via mare dall'area micenea, cretese e cipriota verso Occidente. La presenza di vasellame miceneo importato sulle coste dell'Italia peninsulare, della Sicilia e della Sardegna costituisce, a partire dall'inizio del XVI sec. a.C., insieme alla presenza di elementi ciprioti legati alla sfera metallurgica in Sardegna, uno degli indizi dell'interesse dei navigatori egei per le risorse offerte dall'Occidente. I principali insediamenti interessati dalla presenza micenea in questo periodo sono localizzati a Lipari nell'arcipelago delle Eolie e a Vivara nell'arcipelago flegreo. La presenza di resti di lavorazione del metallo e di vasellame importato appartenente sia alla categoria delle ceramiche fini sia a quella del vasellame da trasporto indica questi luoghi come centri di incontro e di scambio tra navigatori egei e comunità indigene. In una fase avanzata dell'età del Bronzo prevale una direttrice orientale di scambi, con presenza di materiale miceneo lungo il litorale ionico e adriatico fino alla Pianura Padana e alla Val d'Adige, dove diverse direttrici di traffico sembrano saldarsi: una legata alla circolazione di tipi di manufatti metallici con l'Europa centrale e alla circolazione dell'ambra, l'altra proveniente da oriente. L'ambra è un altro materiale per il quale è possibile individuare la zona di origine che, nel caso dei manufatti preprotostorici, è prevalentemente l'area baltica. Mentre nei periodi più antichi la diffusione dei manufatti era limitata all'Europa settentrionale, durante l'Eneolitico avanzato e ancor più nell'antica età del Bronzo la circolazione di ornamenti d'ambra abbraccia un vastissimo territorio. Il valore che poteva rivestire questo materiale è testimoniato dalla presenza di centinaia di elementi d'ambra nelle tombe principesche di età micenea; in Italia i più antichi rinvenimenti sono in contesti della cultura di Polada nell'area padana. La distribuzione dei ritrovamenti d'ambra ha permesso di ipotizzare, sin dagli anni Trenta del Novecento, l'esistenza di percorsi lungo i quali l'ambra, dai giacimenti dello Jütland, sarebbe giunta nella Pianura Padana e nel Peloponneso. Tali direttrici seguivano il corso dei maggiori fiumi dell'Europa centro-settentrionale. Una via più occidentale scendeva dal Mare del Nord lungo il basso corso del Reno fino alla Saona-Rodano e alle coste del Mediterraneo. Altri tragitti, seguendo i corsi dell'Elba, dell'Oder e della Vistola, giungevano al basso Danubio. Di qui una via si dirigeva verso le Alpi Tirolesi e arrivava nella Pianura Padana attraverso la Val d'Adige, una seconda percorreva la valle della Sava per giungere nell'alto Adriatico. Tali percorsi si riunivano quindi per scendere lungo l'Adriatico fino al Peloponneso. Una via orientale, infine, recentemente confermata dal ritrovamento in Ucraina di un vago d'ambra tipo Tirinto, collegava il Mar Baltico e le coste settentrionali del Mar Nero. Questa rete di percorsi sembra essere stata utilizzata, durante l'età del Bronzo, per la circolazione dei prodotti metallurgici. La distribuzione di manufatti metallici viene a configurare aree con circolazione preferenziale di prodotti, incentrate rispettivamente sull'asse del Reno nel settore a nord-ovest delle Alpi, sul bacino del medio Danubio più a oriente e a settentrione sui corsi dell'Elba, dell'Oder e della Vistola. Con l'età del Bronzo Recente questo vastissimo ambito, a cui è da aggiungere l'area egea, è interessato dalla diffusione di particolari forme di manufatti di bronzo, armi da offesa e da difesa, oggetti da toeletta, vasellame: la cosiddetta koinè metallurgica. Anche in questo caso la circolazione di modelli e manufatti è solo la spia di un processo di integrazione ben più profondo che coinvolse comunità separate da grandi distanze geografiche, socioculturali e di carattere tecnologico. Nell'età del Bronzo Finale a una circolazione entro ambiti limitati dei manufatti metallici si contrappongono tipi di oggetti ad ampia diffusione, ad esempio i lingotti metallici dalla caratteristica forma a piccone che, presenti in Italia centrale, hanno ampia diffusione verso nord-est, dove sembrano aver percorso tragitti già utilizzati nei periodi precedenti: la costa adriatica fino al Veneto, all'Istria e alla valle della Sava. Per questa circolazione è stato proposto un modello direzionale nel quale nuova importanza avrebbero assunto centri specializzati nella produzione di numerose categorie di manufatti, dei quali Frattesina costituisce un esempio. Questo insediamento, fiorito nel Bronzo Finale presso un antico ramo del Po, conserva tracce della lavorazione del bronzo, dell'osso, del corno, dell'avorio, della pasta vitrea e forse dell'ambra. Tra i vaghi d'ambra presenti in questo insediamento, il tipo Tirinto ha una vastissima diffusione: è documentato nel Mediterraneo centro- orientale dalla Sardegna a Creta e a Ugarit, in area egea, lungo le coste della Dalmazia e nella penisola italiana, fino al Cantone di San Gallo in Svizzera.
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