Le province europee dell'Impero romano. Le province danubiano-balcaniche. Arte norico-pannonica
di Lothar Eckhart
L’arte del Noricum romano sembra essere il prodotto della fusione di elementi italici e celtico-illirici, sicché generalmente si riscontrano elementi di tradizione più forti e vivaci nei paesi di confine che non nel Noricum meridionale. Parallelamente a questo complicato processo sorto con l’occupazione romana, e rintracciabile fino nel III sec. d.C., si ritrovano testimonianze dell’attività di artisti immigrati e pezzi d’importazione di alto valore.
Per quanto riguarda l’edilizia sacra, ha naturalmente trovato accesso nel Noricum il tempio romano a podium, destinato al culto delle divinità ufficiali e degli imperatori. Un esempio importante è costituito dal tempio a doppia cella costruito già nella prima epoca augustea sul Magdalensberg, in Carinzia; altri se ne trovano a Virunum, Brigantium e sul Pfaffenberg presso Carnuntum. Fondamentalmente diversi appaiono i templi montani delle divinità celtiche romanizzate. Così poté essere ricostruito il sacrario di Marte Latobio presso St. Margareten nel Lavanttal (Carinzia), principio del I - fine del II sec. d.C., luogo di culto a forma di torre, circondato in basso da un colonnato con tetto spiovente connesso alla cella, la cui costruzione era più elevata (Schober 1955). Il sacrario della divinità locale Noreia-Isis, sull’Ulrichsberg (Carinzia), consiste in cinque vani di differente grandezza e disposti in fila. L’edificio costruito sul Magdalensberg con intenti politico-religiosi, la cosiddetta “casa di rappresentanza”, è formato da un vasto agglomerato di vani e risale al I sec. a.C. In questo secondo gruppo di costruzioni sacre l’uso di pietra e calce è romano, così come romana è la decorazione.
Per le chiese cristiane primitive del V e del VI sec. d.C. sono esempi essenziali del tipo a basilica e a navata unica quelle di Hemmaberg (Carinzia), del Gratzerkogel presso Klagenfurt, di Kirchbichl di Lavant presso Lienz, del Duel (Carinzia), dell’Ulrichsberg, Aguntum, Lauriacum e infine di Teurnia, la più significativa costruzione del genere. Fra i battisteri dell’epoca, sono noti quello di Hemmaberg e quello dell’anfiteatro civile di Carnuntum.
Gli edifici pubblici dell’epoca romana, come bagni, anfiteatri e teatri con palcoscenico, seguono non soltanto nell’alzato e nella decorazione, ma anche nella pianta, assai chiaramente, i modelli romani. A Brigantium, Lauriacum e Teurnia, vi sono piccoli balnea del I-III sec. d.C.; a Virunum e Carnuntum è possibile riconoscere grandi costruzioni paragonabili alle terme imperiali di Roma. Dei tre anfiteatri finora conosciuti a Carnuntum, ne sono venuti alla luce due, entrambi del II sec. d.C.; in quello appartenente al campo legionario, fu attestata una costruzione precedente di legno, del I sec. d.C. Anche l’anfiteatro di Flavia Solva era in massima parte di legno. L’unico teatro a palcoscenico di impronta greco-romana conosciuto nella regione delle Alpi orientali si trova a Virunum e risale probabilmente al II sec. d.C.
Fra i tre tipi classici di case di abitazione, quello ad atrio, quello a peristilio e il terzo che si può definire una combinazione dei primi due, soltanto lo schema della casa con cortile a peristilio appare sia nella regione di Carnuntum, che a Brigantium, a Virunum e a Flavia Solva. A Carnuntum si mantiene, anche se di pietra, il tipo indigeno di casa con corridoio centrale, mentre a Lauriacum il sistema norico di costruire con il legno, con piante più o meno irregolari, continua anche durante il periodo romano, nella elaborata carpenteria delle parti alte dei fabbricati. La casa padronale di campagna è ben rappresentata da un edificio con cortile a peristilio, la cosiddetta “villa con portico”, e da una combinazione di casa a corridoio centrale e di portico; il più bell’esempio di villa rustica riccamente arredata, con costruzione termale, si trova presso Parnsdorf in Burgenland (I sec. d.C., ampliamento dell’edificio nel volgere del III-IV sec. d.C.). La casa rurale del periodo romano non è stata finora oggetto di speciale indagine.
L’esemplare più notevole della grande plastica importata nell’epoca della occupazione romana è il Giovinetto di Helenenberg, bronzo rappresentante una probabile copia romana della statua di un vincitore del V sec. a.C. di ricordo policleteo (Noll 1949). Alcuni attributi ritrovati insieme a questa statua attestano la sua trasformazione in un’immagine celtica di Marte Latobio, di cui esisteva un sacrario sulla cima del Magdalensberg. Inoltre sono da notare teste-ritratto di pietra, eccellenti lavori di artisti immigrati, del I sec. d.C. e della metà del II secolo, a Carnuntum e nel territorio della città di Virunum. In evidente antitesi con l’arte del ritratto italica sta quella locale, primitiva, poco plastica nelle sue figure paragonabili a maschere; essa è efficacemente rappresentata dal pilastro del Popaius Senator presso Matrei (Tirolo orientale), della metà del I sec. a.C. (Noll 1949). Il più importante contributo alla conoscenza dell’opera degli artisti italici nel Noricum è dato dall’indicazione di una scuola di scultura a Virunum, le cui copie e riproduzioni si possono collocare dall’inizio del I fino alla prima metà del II sec. d.C. Appaiono così statue grandi 2/3 del vero, eseguite con marmo locale, ma riproducenti tipi del V e IV sec. a.C., di Ares, Apollo, Dioniso, Hermes, Afrodite, dei Dioscuri, di un Ermafrodito, di Noreia-Isis e, ottimo esemplare di classicismo eclettico, di un’amazzone morente (Noll 1949). Un satiro e una testa di centauro sono di derivazione rispettivamente prassitelica ed ellenistica. Carnuntum offre esempi tipici della cosiddetta arte del limes, con una statua di culto di Nemesi-Fortuna (II sec. d.C.), con il torso corazzato di Eliogabalo (?) e con una statua panneggiata di Giulia Mamea (?), ambedue della prima metà del III secolo, come il Mitra del cosiddetto “terzo Mitreo” dello stesso periodo.
Caratteristici prodotti d’importazione della piccola plastica sono alcuni bronzetti, come il grifo di Magdalensberg e l’Apollo di Ulrichsberg, quest’ultimo derivato da un tipo statuario del V sec. a.C., mentre il Domatore di serpenti di Lauriacum e il Negro Danzante di Carnuntum hanno il loro modello nelle figure di genere dell’ellenismo. Una buona esecuzione provinciale del II sec. d.C. attesta il Giove Dolichenus, da un deposito di scavi a Mauer sull’Url (Austria meridionale) (Schober 1955); una Vittoria della stessa provenienza e una Diana di Scheibbs (Austria meridionale) dimostrano chiaramente quanto, in confronto alla italica, la plastica norica tendesse a un’astrazione immateriale mirante alla superficie e alla linea, naturalmente senza tener conto, in questo giudizio, delle differenze cronologiche e di stile e della maggiore o minore abilità degli artisti. Rappresenta l’arte militare provinciale, per la scultura di pietra di piccole dimensioni, il gruppo di Minerva col genius immunium di Carnuntum (II sec. d.C.), mentre dubbio rimane il giudizio su una statuetta di marmo di menade danzante, sempre da Carnuntum, poiché mentre la grandiosità della concezione farebbe supporre un oggetto d’importazione, le irregolarità dell’anatomia farebbero pensare a un artista locale.
Le caratteristiche dell’artigianato artistico si colgono nei numerosi rilievi sepolcrali, di cui il numero maggiore e i migliori esemplari si collocano nel II sec. d.C. Frammenti di costruzioni sepolcrali più grandi – come quella ricomposta nel museo di Graz – sono lavorati secondo motivi classici; un fregio in cui sono raffigurati centauri in lotta coi leoni, a St. Johann presso Herbestein (Stiria), attesta la capacità di un maestro molto dotato ed esperto di modelli stranieri.
La scarsa dimestichezza degli artisti locali nel riunire le parti di una composizione in un tutto organico si manifesta, al contrario, in maniera palese nella rappresentazione di Achille che trascina dietro il suo carro il corpo di Ettore, a Virunum, e nella storia di Cicno, a Vindobona (Vienna). Tra le varie forme di stele funerarie con l’effigie del defunto, secondo l’uso italico, va ricordata quella – che godeva nel Noricum meridionale di una particolare popolarità – del medaglione rotondo, derivato dalle immagini romane clipeate, che riproduce in un busto i tratti dello scomparso (Schober 1955). Prevale, in generale, la stele a pinnacolo derivata dalla semplice pietra tombale militare primitiva, con iscrizione e busto; la stele è ornata con due immagini del defunto a mezza figura e a figura intera nel costume indigeno e vi spiccano più fortemente le particolarità autoctone nelle regioni del limes, come già si è osservato nelle abitazioni e nella scultura a tutto tondo (Noll 1949). Creazione specificamente norico-pannonica è un rilievo sepolcrale spesso ricorrente, con una cornice ornamentale a curve di volute. Con l’abolizione della cremazione dal III sec. d.C. in poi sparisce la stele scolpita e al suo posto appare il sarcofago, composto spesso con singoli pezzi di monumenti sepolcrali più antichi. Esempi di rilievi paleocristiani sono un frammento di sarcofago col Buon Pastore a Virunum e, per il V e VI sec. d.C., le lastre della chiesa del cimitero di Teurnia. Accanto ai rilievi sepolcrali, pochi sono i rilievi votivi degni di menzione; frammenti di un’immagine di culto di un Mitreo di epoca adrianea, da Virunum, sono presumibilmente di importazione dall’Italia settentrionale; un rilievo rappresentante Giove Dolichenus, di Carnuntum, rivela un buono stile provinciale del II sec. d.C.
Scarsi sono i resti di pitture murali dal I al IV sec. d.C. Nei primi due secoli esiste una generale dipendenza dai modelli italici, come svelano le pitture di Magdalensberg, Flavia Solva, Vindobona. Col III secolo ha inizio la decadenza della pittura murale, che termina infine in decorazioni che sono un conglomerato di forma e di colore. La situazione è migliore per quel che riguarda i mosaici pavimentali, fra cui i più importanti sono il mosaico di Teseo, da una villa romana presso Iuvavum (II-III sec. d.C.), il mosaico di Bacco a Virunum (III sec.) e il più grande pavimento a mosaico dell’Austria, eseguito da un artista locale (verso il 300), scoperto nella villa rustica di Parndorfer. Nell’epoca tarda sembra che predomini soltanto l’ornato, come mostra un mosaico del IV sec. d.C. a Virunum. Tutt’altro spirito esprime il mosaico del camposanto di Teurnia, all’incirca del 500 d.C., che vuole raffigurare, con una colorazione modesta ed entro un’inorganica composizione di piante e di animali spartita in 12 campi, il cui significato simbolico non ci è del tutto chiaro, i principi del nascente cristianesimo (Noll 1949).
Dai pochi centri di produzione del Sud e dell’Ovest, che provvedono al rifornimento dell’intero Impero, vennero importati pregevoli prodotti dell’artigianato artistico, utensili, stoviglie e ornamenti. Un solo tipo di gioiello, la “fibula ad ali norico-pannonica”, rappresenta in un certo senso una produzione autonoma, del I sec. d.C. (Noll 1949). Nelle fabbriche locali – ad es., a Ovilava – vengono imitati semplici utensili di bronzo e determinate specie di fibule; a Lauriacum esiste nell’epoca tardoantica una fabbrica statale di scudi che avrà, forse, prodotto anche oggetti di bronzo di altro genere. Sono conosciute parimenti riproduzioni di lampade di terracotta d’importazione, merce locale di terra sigillata, mentre non si può parlare con sicurezza di vetri della stessa provenienza. La ceramica provinciale di uso comune, grigio-nera e giallo-rossa, si limita a poche forme fondamentali di antica tradizione, con semplici disegni a graffito; sono tipiche le tazze a tripode e il vasellame antropomorfo, la cosiddetta “urna figurata”. Gioielli e oggetti d’arte decorativa sono influenzati dall’arte popolare, così gli incastri di smalto colorato, originari dell’Occidente, sulle spille di bronzo e i fermagli del II secolo e del principio del III sec. d.C. L’ornamentazione celtica “a traforo” col disegno “a trombe”, trapiantato dalla Britannia nel continente dal II sec. d.C., doveva dimostrare la sua forza vitale fino negli oggetti d’uso comune di età gotica (Schober 1955). Come ultima grande prestazione dell’industria artistica romana occidentale del IV sec. d.C. valgono le guarnizioni di bronzo delle cinture, eseguite con la tecnica dell’intaglio “a cuneo”, derivate da lavori locali di legno e ricorrenti anche nel territorio del limes austriaco (Noll 1949). Poche decine di anni dopo, gli splendidi gioielli d’oro tempestati di pietre dure dei conquistatori germanici annunziano una nuova era (Noll 1949).
R. Noll, Kunst der Römerzeit in Österreich, Salzburg 1949.
Id., Frühes Christentum in Österreich, Wien 1954.
A. Schober, Die Römerzeit in Österreich, Wien 1955.
L. Eckhart, s.v. Noricum, in EAA, V, 1963, pp. 557-62 (con bibl. prec.).
di Ortolf Harl
Nonostante le diverse vicende storiche, in epoca imperiale le province del Norico e della Pannonia costituivano per molti riguardi un’unità. Esse erano abitate da una popolazione di origine celtica, la cui romanizzazione fu molto forte soprattutto nel Norico meridionale, ma non certo irrilevante nelle altre zone; le regioni erano intensamente urbanizzate, con un ricco ceto elevato, e diedero vita a distretti militari fortemente omogenei con città-capitali importanti da un punto di vista economico e con accampamenti di legionari. A ciò si aggiunga la duratura influenza culturale esercitata dall’Italia settentrionale, tramite la metropoli di Aquileia, ed evidente soprattutto lungo le strade provenienti dal Meridione. In tali condizioni si formò un’area artistica che nell’ambito della scultura di pietra si distingue nettamente da quella della Rezia e della Dalmazia. La maggior parte delle pietre scolpite dal Norico e dalla Pannonia denota un alto livello qualitativo; sono poche, tuttavia (anche se non è da escludere che potessero essere in origine più numerose), quelle paragonabili alle opere romano-urbane.
La produzione artistica detta “norico-pannonica” non include l’arte militare, strettamente circoscritta alla zona del limes e rappresentata da sculture a tutto tondo e stele funerarie. Essa comprende lavori di elevata qualità, con influssi italico-settentrionali, ma anche manufatti primitivi, quasi caricaturali. All’arte militare vanno similmente ascritte stele funerarie di soldati appartenenti alle truppe ausiliarie del I sec. d.C., rinvenute soprattutto nel Norico meridionale. Sono ugualmente da escludere dall’ambito artistico in esame i monumenti di pietra di carattere spiccatamente orientale, attestati nella zona di Gorsium e di Intercisa.
La vera arte norico-pannonica ebbe i suoi centri nei municipia del retroterra, innanzitutto nel Norico meridionale. Sebbene abbia creato opere di notevole originalità, il suo carattere autonomo non è stato ancora adeguatamente messo in rilievo e talvolta è stato addirittura negato. La sua corretta valutazione è ostacolata dal fatto che quasi tutti i manufatti di pietra sono inglobati in murature di chiese, dunque privi di indicazioni sul loro luogo di rinvenimento, e non si è ancora tentato in modo soddisfacente di comprendere la loro originaria utilizzazione. Nuovi impulsi alla ricerca sono stati offerti dal ritrovamento e dalla ricostruzione delle edicole funerarie di Šempeter (Slovenia), conservatesi integralmente.
Il punto di partenza per una comprensione dell’arte norico-pannonica, in base ai numerosi monumenti conservati, è necessariamente costituito dall’arte funeraria e in particolare dalle testimonianze di Virunum, luogo di provenienza della maggior parte del materiale.
Grazie alla fotografia aerea si è stabilito che lungo le vie che escono da Virunum si sussegue, per una lunghezza di un minimo di 4,3 km, una serie di aree sepolcrali collegate l’una all’altra, ognuna delle quali recintata da un muro e con al suo interno almeno un grande monumento funerario. Inoltre, nella zona immediatamente antistante la città, sono state individuate le fondamenta di costruzioni funerarie a torre del tipo attestato a Šempeter.
La prevalenza dei due tipi di costruzioni funerarie, recinto familiare ed edicola, costituisce una tipologia che si differenzia nettamente da quella dei monumenti funerari di Roma; inoltre, come hanno dimostrato scavi recenti, diversamente da quanto avviene a Roma, la pratica della cremazione nel Norico e nella Pannonia tende a scomparire soltanto dalla seconda metà del III sec. d.C. Pertanto i suddetti modi di sepoltura, ideati per la cremazione e con il loro specifico linguaggio artistico, dovettero rimanere in uso fino a quell’epoca. Dai materiali archeologici e dalla fotografia aerea risulta che Virunum è stata sede di una società agiata, relativamente poco stratificata e con una struttura stabile. Una valutazione dell’arte norico-pannonica deve tener conto di questi fattori storici e sociali.
Dal 1952, da quando a Šempeter furono rinvenute e restaurate edicole funerarie in eccellente stato di conservazione, interrate già nel III sec. d.C. a causa di un’inondazione, si è potuto disporre di un importante punto di riferimento riguardo al repertorio architettonico e artistico di questo tipo funerario. Quindi pilastri ornamentali, architravi, frontoni, cassettoni, colonne e altri elementi architettonici tipici, come pure le statue sepolcrali provenienti da località diverse, sono riconducibili a questo tipo monumentale. Da ciò risulta che le edicole funerarie erano molto più numerose e diffuse di quanto non si credesse in precedenza. La loro regolare distribuzione nelle campagne sfruttate a fini agricoli, dove in molti casi è stata accertata l’esistenza di grandi tenute, induce ad attribuirle alla classe dei ricchi proprietari terrieri. Le edicole funerarie possono dunque essere considerate un modello architettonico peculiare dell’area artistica norico-pannonica.
Nel Norico meridionale è attestato il medaglione circolare isolato, una particolare variante della nicchia circolare, in cui il busto della defunta o del defunto è circondato da una ghirlanda di foglie e coronato da una piccola copertura. È stato dimostrato che la ricostruzione frequentemente riprodotta a partire dal 1909, in cui un medaglione circolare isolato è montato su un altare funerario, è falsa; il modo in cui tali medaglioni venivano montati resta ancora da chiarire. Sulle facce laterali degli altari sepolcrali sono di frequente rappresentate le giovani figure di un domestico o di una domestica, spesso nell’atto di sacrificare.
Tra i monumenti sepolcrali più diffusi sono da annoverare le stele funerarie. Nella massa, che in epoca imperiale resta fedele allo schema tradizionale, si distinguono alcune varianti locali: la cosiddetta “berlina di Pettau”, alta quasi 5 m, e la stele dei Canti di St. Leonhard, presso Graz. Una lastra di pietra dipinta, ritrovata nel 1972 a Brunn am Gebirge (a sud di Vienna), posta a delimitazione di una tomba a inumazione tardoantica, getta luce su un tipo di sepoltura di cui non si era a conoscenza. La lastra, che ritrae una giovane figura femminile in costume locale, dipinta su uno strato di stucco, costituiva probabilmente la parte laterale di un tipo semplificato di edicola funeraria che – economico e di lavorazione relativamente semplice – potrebbe essere stato molto diffuso. I monumenti funerari descritti riflettono la struttura della società provinciale: essendo nella maggior parte dei casi completate da statue (apoteosi privata) conservatesi di rado e talvolta decorate da fasces e da una sella curulis (Bad Waltersdorf), le edicole funerarie sono da considerare il tipo di sepoltura caratteristico della classe elevata municipale; la classe media è forse rappresentata dai medaglioni circolari, dai busti e dalle stele.
Raffigurazioni di defunti
Uno dei temi favoriti era la rappresentazione a rilievo del defunto o della defunta all’interno di una nicchia quadrangolare o circolare, di solito limitatamente al busto, in modo tale da rendere visibili i gioielli delle donne e la tunica o la toga degli uomini, drappeggiata con cura e, nel III sec. d.C., contabulata. Una vistosa colorazione dava maggiore risalto ai dettagli. Una speciale attenzione era sempre riservata alla resa del costume femminile, ricco di elementi tondeggianti e quadrangolari. Le diverse forme di copricapo, fibbie e altri ornamenti possono essere suddivise in gruppi regionali: nel Norico si incontra soprattutto una cuffia costituita da un panno intrecciato, di tipo diverso a seconda della zona; nell’area urbana di Virunum, in particolare, è di moda un copricapo di cuoio, pelliccia o feltro, simile al modius, sul quale era posto un velo; nella Pannonia nord-occidentale prevale una sorta di copricapo a due punte, di pelliccia (?), e nel resto della Pannonia una cuffia di velo. Le fibbie sono in genere lavorate con precisione tale da prestarsi a un’analisi tipologica. La ricchezza dei monili rispecchiava lo status economico della defunta.
Al contrario delle donne, che vestono secondo la moda locale, gli uomini figurano in abbigliamento romano, spesso recano un rotolo di pergamena in una mano mentre l’altra è alzata in una sorta di gesto oratorio e per lo più portano la barba. Quest’ultimo elemento indica che la maggior parte dei ritratti di pietra non furono lavorati prima del 124 d.C., anno in cui Adriano si recò in Pannonia (e forse nel Norico).
Raffigurazioni di domestici
Sulle superfici laterali degli altari sepolcrali e delle edicole funerarie si trovano strumenti per il sacrificio. Contrariamente ai defunti, i domestici sono rappresentati sempre in aspetto giovanile; gli uomini indossano di regola una tunica, le donne il costume locale, costituito da una lunga sottoveste, al di sopra della quale è portata una veste più corta a maniche larghe, stretta sotto il petto. Una variante festiva di questo abbigliamento consiste in una gonna a pieghe e in una veste senza maniche, assicurata con una grande fibbia e stretta con una cintura di cuoio dalle terminazioni placcate di metallo. Frammenti di tali cinture sono stati rinvenuti in sepolture del Norico meridionale e della Pannonia occidentale. Per le figure di domestiche è stata adottata la definizione di “ragazza norica”.
Pietre Boier
Nella Pannonia nord-occidentale ebbe notevole diffusione un tipo di stele caratterizzato da una tecnica primitiva nell’incisione e nel rilievo, da rapporti proporzionali scorretti, da un’onomastica locale, da una grafia irregolare e da iscrizioni in latino corrotto. L’epoca della comparsa di queste stele non è nota, tuttavia la fine del loro impiego è da far risalire alle guerre marcomanne. Contrariamente a quanto si osserva nelle altre aree di entrambe le province, dei defunti si rappresenta anche la figura intera, stante o seduta. Il rilievo è molto basso e la pittura doveva svolgere un ruolo importante; per questo motivo è possibile ritenere che le Pietre Boier fossero collocate nelle immediate vicinanze delle lastre sepolcrali. Sia le Pietre Boier che le lastre dipinte sembrano influenzate dall’arte della lavorazione del legno delle Alpi orientali. Mancano testimonianze dirette sull’impiego del legno nell’arte funeraria, tuttavia un suo utilizzo consentirebbe di dare una risposta ad alcune questioni di carattere artistico, architettonico e cronologico. Se nel I sec. d.C. le pietre sepolcrali compaiono soltanto sul Magdalensberg e nella zona militare, ovviamente altrove la popolazione civile utilizzava ancora il legno per la costruzione dei propri monumenti sepolcrali; il passaggio alla pietra si pone tra la fine del I e gli inizi del II sec. d.C.
Miti
La predilezione per i temi mitologici, caratteristica della Gallia, si riscontra anche nelle edicole e nelle elaborate stele funerarie del Norico e della Pannonia. Nelle edicole le scene mitologiche occupano in genere la parte anteriore della base e a volte anche i suoi lati; nelle stele si trovano nella maggioranza dei casi nel campo a rilievo principale e a volte nel frontone. Il tema è riassunto in una scena; solo di rado viene rappresentato un intero ciclo (ad es., il ciclo di Eracle a Solva). Sebbene sia proprio la leggenda di Eracle una delle più amate (tredici testimonianze nelle due province), l’illustrazione del repertorio mitologico colpisce per la sua varietà; si dà spazio anche a miti meno noti (ad es., Achille presso le figlie di Licomede, a Virunum), oppure a versioni di miti (ad es., Cicno, a Vindobona) che ancora attendono un’interpretazione (ad es., l’immagine alla base della cd. “berlina di Pettau”, in Slovenia). Quanto più si rivela la notevole diffusione delle scene mitologiche nell’ambito delle decorazioni pittoriche di edifici pubblici e privati della provincia, tanto meno convincenti sono i tentativi di interpretare in senso escatologico tali scene nel caso delle costruzioni sepolcrali. Esse non lasciano trasparire che una generica aspirazione alla trascendenza. Solo raramente si notano affinità con le rappresentazioni mitologiche sui sarcofagi da Roma e, in generale, con l’arte della capitale. Resta da chiarire l’origine delle tradizioni mitologiche e delle loro iconografie nel Norico e nella Pannonia; Aquileia è da escludere poiché non vi è documentato niente di simile.
Voluta norico-pannonica
Molti rilievi o tabulae ansatae sono incorniciati o coronati da un ornamento a nastro ondulato; sebbene sia attestato ad Aquileia e anche a Roma, esso è tipico del Norico e della Pannonia. La voluta norico-pannonica sembra risalire all’epoca severiana ed è l’unico motivo artistico che si trasmise da queste province verso Roma; esso compare su sarcofagi degli inizi dell’epoca tetrarchica e probabilmente fu introdotto a Roma dagli imperatori-generali pannonici.
Cronologia
Fino a epoca recente si è ritenuto che l’arte norico-pannonica si fosse sviluppata da una radice celtica e che, dopo una prima fioritura nel I sec. d.C., avesse raggiunto l’apice nella prima metà del II secolo, per scomparire improvvisamente con le guerre marcomanne, fra il 173 e il 181 d.C. Nuovi studi hanno modificato in modo significativo questa tradizionale linea evolutiva. Si è mostrato che i sarcofagi a rilievo sono del tutto assenti nel Norico, mentre nella Pannonia sono attestati soltanto nell’ambito degli accampamenti legionari. Il passaggio dalla cremazione all’inumazione è da collocare non prima della seconda metà del III secolo e poiché le edicole funerarie e tutti i rilievi sepolcrali sono da connettere alla cremazione, la durata dell’attività artistica norico-pannonica va prolungata fino agli anni intorno al 240 d.C. e la sua fine è da porre in relazione al generale crollo economico di entrambe le province. Ciò trova conferma anche in alcuni elementi del costume (soprattutto l’uso della toga contabulata).
Anche la cronologia degli inizi va modificata: se si escludono le sculture di influsso italico-settentrionale, le stele funerarie del Magdalensberg e le stele dei militari di stanza nelle due province, anche queste dipendenti da modelli dell’Italia settentrionale, mancano quasi del tutto sculture e rilievi attribuibili al I sec. d.C., circostanza che in parte potrebbe trovare una spiegazione nell’uso del legno. I primi rilievi databili con sicurezza risalgono al 100 d.C., fatto questo che può essere messo in relazione con l’incipiente crisi economica dell’Italia settentrionale. Nel Norico e in entrambe le Pannonie il progresso economico favorito dalla costruzione del limes del Danubio stimolò la richiesta di sculture di pietra e di costruzioni sepolcrali. Il fatto che una lavorazione artistica autonoma della pietra abbia inizio solo intorno al 100 d.C. rende difficile verificare con precisione in che modo e in quale misura si siano trasmessi gli influssi della tradizione celtica: tale trasmissione sarebbe stata forse ricostruibile solo seguendo nelle sue fasi la lavorazione del legno, che tuttavia non ha lasciato alcuna testimonianza.
Questione delle botteghe
Il rapporto esistente fra l’arte funeraria e la pittura murale provinciali acquista sempre maggiore evidenza. Se nelle decorazioni dei monumenti funerari e delle abitazioni (come pure nelle arti minori) ritroviamo tematiche e motivi simili, bisognerà cercarne i modelli comuni. Inoltre, troppo spesso si dimentica che le sculture erano dipinte; di conseguenza si sopravvaluta il lavoro dello scalpello a discapito del rapporto esistente tra le officine dei pittori e quelle degli scultori. Quanto alla relazione con la pittura murale ed eventualmente anche con le arti figurative minori, si potrà forse trovare una risposta adeguata alla questione dei cosiddetti “album di modelli”, finora posta senza alcun esito. A ogni modo, è un dato di fatto che, nella cospicua offerta di forme figurative, decorative e architettoniche, l’artigiano provinciale apportava di continuo variazioni e creava nuove combinazioni. Le opere mal riuscite, tuttavia, dimostrano che egli attribuiva maggiore importanza agli elementi di moda, del costume e del corredo civile e militare, che non ai rapporti proporzionali e alla qualità artistica del prodotto.
Nonostante le ricerche stilistiche facciano emergere un Maestro di Virunum, la cui produzione scultorea a tutto tondo supera di gran lunga i confini della città di Virunum, e abbiano individuato nella zona di Lauriacum un’officina che avrebbe come tratto di riconoscimento un particolare tipo di girale d’acanto, non è tuttavia possibile delinearne un’attività continuativa: l’arte norico-pannonica manca di uno sviluppo stilistico, artistico e tematico e le edicole funerarie, che potevano essere lavorate soltanto sul posto cui erano destinate e con grosso dispendio tecnico, sono troppo numerose e disperse nel retroterra dei municipi. Riesce più facile immaginare maestranze itineranti che si riunivano in modo spontaneo per portare a termine degli incarichi e che si separavano una volta terminato il lavoro. La continuità formale e contenutistica delle rappresentazioni era garantita non tanto dall’officina quanto dal committente, il quale, più che ordinare un’opera d’arte, mirava a esprimere la sua condizione sociale. Le edicole funerarie con statue, le rappresentazioni di domestici in atto di sacrificare e di altro personale ausiliario, la meticolosa resa dell’abbigliamento rispecchiano le differenziazioni all’interno della società della provincia.
J. Garbsch, Die norisch-pannonische Frauentracht im 1. und 2. Jahrhundert, München 1965.
V. Dautova-Ruèevljan, Rimska kamena plastika u jugoslavenskom delu provincije Donje Pannonie [Monumenti romani di pietra della provincia Pannonia Inferior nella regione jugoslava], Novi Sad 1983.
J. Garbsch, Die norisch-pannonische Tracht, in ANRW, II, 12, 3, 1985, pp. 546-77.
O. Harl, s.v. Norico-pannonica, Arte, in EAA, II Suppl. 1971-1994, IV, 1996, pp. 44-48 (con bibl. prec.).
Si rinvia a:
Le province europee dell'Impero romano. Le province danubiano-balcaniche. Noricum
Le province europee dell'Impero romano. Le province danubiano-balcaniche. Pannonia