La Nigeria ha scontato a lungo una condizione pressoché cronica di instabilità e conflittualità. Negli anni Sessanta l’esistenza stessa del paese venne messa in pericolo dalla secessione della regione sud-orientale con il nome di Biafra. Nel separatismo del Biafra si fecero sentire, come in quello del Katanga alcuni anni prima, pressioni e interferenze dall’esterno, ma l’avventura degli Igbo era anzitutto il prodotto della difficile coabitazione all’interno di uno stato afflitto da identità male assortite.
La Nigeria è un paese diviso lungo gli assi di un modello duale (nord e sud, musulmani e cristiani), ma senza quella separatezza fisica che può rendere più sicura la sopportazione reciproca ancorché a distanza. L’exploit, fallito, del Biafra derivò dall’intolleranza della popolazione del nord per l’invadenza di militari, funzionari e commercianti igbo fuori della loro terra d’origine.
Quando i singoli atti di violenza divennero veri e propri pogrom, il colonnello Odumegwu Ojukwu chiamò tutti gli Igbo a fare blocco e – un po’ per disperazione e un po’ per un senso di superiorità, vieppiù rafforzato dal possesso della ricchezza petrolifera – proclamò l’indipendenza del Biafra.
Per evitare il peggio, la dualità venne stemperata moltiplicando il numero degli stati federati: dai tre del 1960 agli attuali 36. In teoria, il nord e il sud non esistono più in quanto tali. Cristiani e musulmani vivono fianco a fianco in molti stati e spesso nelle stesse città o negli stessi villaggi. Ad Abuja, la capitale edificata ex novo nel centro geografico del paese, la cattedrale e la moschea sorgono l’una accanto all’altra.
Sono tutti del nord peraltro gli stati che hanno adottato la sharia. Dopo il ritorno a un sistema costituzionale di tipo multipartitico è stato seguito il principio dell’alternanza fra presidenti cristiani e musulmani. Per le elezioni dell’aprile 2011 è stato difficile attenersi al gentlemen’s agreement per le circostanze in cui si è arrivati al voto. Il presidente musulmano eletto nel 2007 in una consultazione molto contestata, Umaru Yar’Adua, è morto durante il mandato e a norma di Costituzione gli è succeduto il vice, Goodluck Jonathan, un cristiano, per l’abitudine di formare tickets presidenziali misti. Nel periodo residuo del quadriennio Jonathan si è fatto un nome, ed è stato confermato come candidato del partito di governo alla massima carica dello stato, che ha poi conquistato con il 58% dei suffragi, deludendo le aspettative dei musulmani: un mezzo mandato invece del mandato pieno con la possibilità di un rinnovo. Chinua Achebe, scrittore molto rispettato in Nigeria per l’alto contenuto civile delle sue opere, ritiene che da sole le elezioni non facciano la democrazia e auspica lo sviluppo di una coscienza patriottica che metta al bando la corruzione imperante. I dirigenti vanno giudicati per i loro meriti e non per il pedigree etnico o religioso.
I presidenti che hanno segnato in modo più netto la storia recente della Nigeria sfuggono, del resto, a un’appartenenza troppo precisa. L’emergenza del 1966-67, in cui si condensarono l’ascesa al potere per la prima volta dei militari e lo ‘strappo’ del Biafra, fu governata con equilibrio da Yakubu Gowon, un generale originario del Middle Belt, regione di transito fra le due metà di un paese diviso, appunto, fra un nord musulmano e un sud cristiano: la sua città natale, Jos, si trova nel nord, ma Gowon professava una confessione cristiana e non era membro del gruppo Hausa dominante.
La guerra per domare il Biafra fu molto cruenta, anche perché il governo federale impiegò la fame come arma per costringere i secessionisti alla resa. Gowon ebbe il merito di riammettere l’ex Biafra e gli Igbo nella compagine nigeriana all’insegna della concordia e della pacificazione.
Un altro personaggio ‘di frontiera’ è Olusegun Obasanjo, che figura oggi fra i grandi saggi dell’Africa. Chiamato nel 1976 a presiedere la giunta militare arrivata al potere l’anno prima con un colpo di stato, portò a termine con successo le procedure per restituire il potere ai civili. Dopo altre peripezie, con le degenerazioni della presidenza del generale Sani Abacha, che segnò il punto più basso della gestione del potere da parte dei militari, Obasanjo, ormai un civile e candidato di un partito politico a livello nazionale, è stato eletto nel 1999 primo presidente della Terza o Quarta Repubblica. Nato nel sud-ovest, di lingua e cultura yoruba, era vicinissimo ai militari del nord per aver gestito insieme il potere nella transizione degli anni Settanta. Nel 2007 avrebbe probabilmente vinto di nuovo le elezioni, ma ebbe il buon senso di non insistere per modificare la Costituzione al fine di potersi presentare per un terzo mandato.