PONTICELLI, Lazzaro
PONTICELLI, Lazzaro. – Quintogenito di sei fratelli, nacque il 24 dicembre 1897 a Cordani, un villaggio della frazione di Morfasso nel Comune di Bettola nell’alta Val Nure piacentina, da Giovanni e da Filomena Cordani. Fu dichiarato all’anagrafe il 27 dicembre a causa del maltempo; per un errore di trascrizione la data ufficiale di nascita risulta il 7 dicembre.
Il piccolo appezzamento e i pochi capi di bestiame della famiglia permettevano con difficoltà al padre, mediatore di bestiame nelle fiere locali, e alla madre, mondina e lavoratrice migrante stagionale in pianura, di mantenere la famiglia in rapida crescita. Così, una volta svezzato Ponticelli, la madre, di nuovo incinta, partì per la Francia con la primogenita Caterina e il terzogenito Francesco, lasciando Ponticelli a Cordani con il marito insieme agli altri figli: Pietro, Celeste, Bonfiglio, a cui si aggiunse, l’anno successivo, Adele, l’ultimogenita. Come molti avevano fatto prima di lei, Filomena si recò a Nogent-sur-Marne, nei sobborghi parigini, dove una catena migratoria molto densa univa da qualche decennio le montagne valnuresi alla periferia parigina.
Benché piccolissimo, Ponticelli in quegli anni accompagnava il padre per fiere, apprendeva il lavoro del legno e imparava ad accudire il bestiame familiare. La morte del fratello Pietro e quella del padre, avvenuta poco tempo dopo, precipitarono la famiglia nella crisi.
Nei suoi ricordi, raccontati ad Anne Legrand, nel 2005, appare nitidissimo il sentimento di abbandono vissuto dal piccolo Ponticelli (Ponticelli Frères. Les premières années. Trois frères, une entreprise, Ville du Kremlin Bicêtre, 2005, pp. 23, 57). La sorella, infatti, tornata per liquidare i pochi beni familiari, organizzò la partenza della famiglia a Nogent con la sola eccezione di Ponticelli, collocato come garzone a sette anni presso una famiglia contadina con il compito di accudire il bestiame.
Da quel momento l’unico scopo di Ponticelli fu racimolare soldi per emigrare in Francia. Riuscì nel suo intento a poco più di dieci anni, scendendo a piedi fino a Bettola e prendendo il treno che lo portò a Torino e poi alla Gare de Lyon parigina. A Parigi trovò rifugio come factotum presso una famiglia di affittacamere e ristoratori per migranti originari della sua zona e cominciò una vita di lavori precari, praticamente senza rapporti con la famiglia, ma le informazioni su questa fase della sua vita scarseggiano.
Ponticelli affrontò la difficile situazione montando un sodalizio di fumisteria con Ludovic Peguri, figlio di un piccolo imprenditore edile di Nogent che procurava i clienti ai due giovani spazzacamini. Lo scoppio della guerra interruppe sul nascere questa prima esperienza di lavoro indipendente: il suo socio, nato in Francia, fu uno dei primi a partire al fronte, dove morì pochi mesi dopo.
Come molti italiani senza lavoro decisi a restare in Francia, l’arruolamento nella legione straniera diventò in quel frangente per il sedicenne Ponticelli una via d’uscita. Tra i coscritti, al momento dell’iscrizione, ritrovò suo fratello Celeste. Ponticelli restò nel primo reggimento «de marche» della legione meno di un anno, dal 26 agosto 1914 al 16 marzo 1915. All’entrata in guerra dell’Italia, nel 1915, seguì la smobilitazione dall’esercito francese e l’arruolamento, forzato, in quello italiano: i gendarmi accompagnarono a Torino un Ponticelli riluttante a lasciare la Francia. Questo non gli impedì di compiere alla mitragliatrice degli atti eroici sul fronte italiano, nel terzo reggimento degli alpini, che gli valsero la croce di guerra e che sarebbero stati narrati insieme a episodi di fraternizzazione con gli austriaci sul fronte del monte Palpiccolo in Tirolo.
Alla fine della guerra Ponticelli restò nell’esercito, dopo la smobilitazione del quale, nel 1920, e venuto meno l’obbligo di residenza, fece il possibile per ripartire per la Francia. Ritrovato Celeste a Parigi e fatto venire Bonfiglio, nel giro di un anno i fratelli misero in piedi una loro impresa edile, in un primo tempo in società con il francese Émile Billoy. Nel 1932, uscito Billoy, venne alla luce la società anonima Ponticelli Frères. L’impresa di fumisteria, montaggio e costruzione di ciminiere riuniva Lazzaro, Bonfiglio e Celeste; il quarto fratello, Francesco, creò lo stesso anno un’impresa edile domiciliata nella sede della Ponticelli Frères, nell’avenue d’Ivry a Parigi.
Ponticelli e Bonfiglio erano gli uomini di terreno dell’impresa; Celeste, la mente manageriale, si occupava della gestione e dei rapporti con i clienti. Ben presto l’attività prese slancio, grazie soprattutto alle commesse di industrie petrolifere, come l’americana Mobil e la svedese Shell, che cominciarono a sviluppare i loro impianti di raffineria in Francia. Grazie alla consulenza tecnica, in un primo tempo su singoli progetti, del giovane ingegnere Maurice Jot e alla grande abilità commerciale di Celeste, l’impresa riuscì a ottenere dei contratti di una certa importanza.
I benefici venivano realizzati principalmente riducendo i tempi di realizzazione dei cantieri, per contratto remunerati con congrue ricompense pro rata temporis se terminati in anticipo. Consolidata l’impresa e intuendo il pericolo di una crisi internazionale, i fratelli chiesero la nazionalità francese nel 1937. La ottennero simultaneamente nel 1939, alla vigilia della guerra. Nel frattempo la morte dell’unico figlio maschio di Celeste, nel 1937, seguita da quella del figlio di Ponticelli nel 1938, fecero di René, figlio di Bonfiglio e unico maschio della seconda generazione, il futuro dirigente dell’impresa. Erede designato da molti anni, il giovane ingegnere del Conservatoire des arts et métiers divenne direttore generale della Ponticelli Frères nel 1967, dopo essersi fatto le ossa per dieci anni come conduttore di numerosi importanti cantieri, in particolare provenienti da commesse americane.
Dopo la guerra i rapporti con le imprese americane ripresero rapidamente, chiudendo la parentesi della guerra durante la quale l’attività dell’impresa si era limitata a lavori di fortuna e a qualche attività forzosa da parte dei tedeschi. Il piano Marshall ridette slancio all’industria petrolifera e fece la fortuna delle imprese di montaggio come la Ponticelli, che dai primi anni Cinquanta procedette a un aumento del capitale sociale per ottenere commesse che le assicurarono un decollo rapido e durevole. La Ponticelli Frères si era dotata anche, nel 1949, di una divisione tubature industriali, in particolare per le raffinerie. La Sarl Pontic, creata come impresa autonoma da Celeste e Bonfiglio, fu diretta dall’ingegnere Roger Large, divenuto genero di Ponticelli nel 1946.
Nel frattempo, a causa di dissidi dovuti principalmente al suo carattere irruento che rendeva a volte difficili i rapporti con i clienti, sotto la pressione del fratello Celeste, Ponticelli si ritirò dalla direzione dei cantieri dalla metà degli anni Cinquanta per dedicarsi alla manutenzione dei materiali. Andò in pensione all’inizio degli anni Sessanta. Morì, all’età di 110 anni, il 12 marzo 2008.
In circa vent’anni la sua impresa, da considerarsi media agli inizi degli anni Cinquanta, divenne uno dei grandi gruppi francesi di montaggio di ciminiere e di tubature industriali, giunta oggi, con le filiali francesi e non, a circa 5000 dipendenti.
Negli ultimi anni della sua lunga vita Ponticelli divenne un personaggio noto. Con il venir meno degli ultimi poilus, i veterani francesi della prima guerra mondiale sopravvissuti nel XXI secolo, era stato sempre più presente sulla scena pubblica nazionale francese. Proprio in quanto ultimo dei poilus, fu sepolto alla presenza del presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy, e del ministro della Difesa italiano, Arturo Parisi, con gli onori militari ma in forma sobria, senza défilé e non al Pantheon per sua esplicita richiesta, in omaggio a tutte le vittime civili e militari della Grande Guerra.
Fonti e Bibl.: Parigi, Archives départementales, État signalétique et de service, 3e Bureau, D4R1/3836, 1940, matricola 8085; Registro di commercio, impresa Ponticelli frères (1932).
D. Barjot, La grande entreprise française de travaux publics (1883-1974), Parigi 2006; N. Offenstadt, Le pays a un héros: le dernier poilu, in L’Histoire, 2007, n. 320, pp. 25 s.