BRACCI, Lazzaro
Figlio, probabilmente primogenito, di Giovanni di Feo, cuoiaio aretino (C. Lazzeri, Aspetti..., pp. 111 s.), nacque in Arezzo, nel quartiere di Porta del Foro, intorno al 1365.
La famiglia Bracci non è ignota al cronista-rimatore Bartolomeo di ser Gorello. Oltre al padre, conosciamo anche gli altri fratelli del B.: Gregorio, che ebbe due figli; Francesco e Accorso, più tardi collaboratori fidati dello stesso Lazzaro; Filippa, la quale pure ebbe due figli; Niccolò e Francesco; Maria, che, consacratasi alla vita religiosa, divenne in seguito badessa del monastero di Pionta. Conosciamo anche il nome di un altro nipote di Lazzaro, Antonio di Donato, e dei suoi cugini Nanni e Feo di Lando. Particolarmente vicini al B., da cui in parte dipendevano economicamente, furono per tutta la loro vita il fratello Gregorio e il cugino Nanni di Lando.
Avviato alla mercatura, il B. viene per la prima volta menzionato dalle fonti a noi note il 2 genn. 1390, quando si trovava a Pisa, ove dirigeva la filiale della compagnia commerciale di Agnolo di Biagio da Pantaneto e di Baccio di Magio, operatori economici aretini, la cui sede sociale era appunto Arezzo. Da Pisa il B. praticò direttamente gli affari, occupandosi di persona delle operazioni commerciali più complesse nei centri salienti della loro articolazione: notevole la trattativa di affari che lo portò a Costantinopoli, in Sicilia, e a Genova, e che, procurandogli preziose cognizioni, gli permise insieme di aprire la strada al collocamento di prodotti dell'industria della sua terra (veli aretini e di Sansepolcro), dell'Umbria (veli perugini) e della Marca Centrale (carte di Fabriano e di Pioraco). Le esperienze maturate in quegli anni, la sua indubbia competenza, la sua abilità commerciale, unite a una sicura conoscenza della piazza pisana e a una buona introduzione negli ambienti commerciali in rapporto con quella città, permisero al B. di fare rapidamente carriera, passando dal ruolo di stipendiato a quello di dirigente e di imprenditore. Già nel 1392 egli entrava come consocio nella direzione della compagnia di Agnolo di Biagio e di Baccio di Magio, partecipando al capitale sociale - valutato a fiorini 10.157 lire 6 soldi 3 denari 7 - con la cospicua somma di fiorini 1.128 soldi 15. In questo stesso anno si registrò un considerevole ampliamento del repertorio operativo della compagnia, con l'apertura in Pisa, per volontà e sotto la direzione del B., di una "botegha di arte della lana e trafichi" - di un opificio, cioè - dal quale è stato senza dubbio, prodotto l'ingente quantitativo di panni "pisaneschi" venduti dal B. tra il 1392 e il 1402, fin quando rimase aperto il fondaco pisano.
Con sicura intuizione, sensibile alle richieste del mercato, il B. aveva dunque inteso utilizzare le possibilità e le risorse offerte da Pisa nella sua più progredita attrezzatura cittadina e con le sue infrastrutture di grande emporio commerciale e scalo marittimo, per bloccare al loro arrivo le materie prime, trasformandole immediatamente sul posto in panni e pezze di stoffa, che venivano quindi immessi, a prezzi più vantaggiosi rispetto a quelli della concorrenza, sul mercato italiano ed europeo, o esportati oltremare. L'apertura dell'opificio pisano, e la funzione manufatturiera che la compagnia aretina si era in tale modo accollata, rappresentarono senza dubbio un fatto rivoluzionario nel mondo commerciale del tempo. La figura del mercante imprenditore, infatti, se era relativamente comune ad Arezzo, costituiva tuttavia una novità assoluta per il resto dell'Italia.
Oltre alla manifattura pisana, alla metà soltanto dei cui utili partecipava il B., la compagnia possedeva allora una bottega di taglio e una di merci ad Arezzo: benché essa fosse soprattutto specializzata nella compravendita delle lane, nella fabbricazione e nella vendita dei panni, sappiamo però che non trascurava di trafficare, quando se ne presentava l'opportunità, anche in altre merci, come veli e cuoiami. In quel medesimo torno di tempo, e sempre per iniziativa del B., la compagnia cominciò una sua attività cambiobancaria, mentre si assumeva anche l'onere di assicuratrice dei trasporti marittimi. A noi è particolarmente nota, comunque, l'attività commerciale svolta dalla filiale pisana: per i primi due anni di gestione, dal 1390 al 1392, è stato addirittura possibile calcolare i costi e i profitti relativi a otto operazioni finanziarie. Sappiamo inoltre che il B. costituì in questo periodo altre due "compagnie" commerciali, alle quali parteciparono il cugino Nanni di Lando e il fratello Gregorio. L'intraprendenza mercantile e imprenditoriale del B. è in questi anni dimostrata dalle numerose operazioni finanziarie condotte di persona sulle diverse piazze del Tirreno e del Mediterraneo, a Pera, a Costantinopoli, a Venezia.
Nel 1395 il B. sposò Costanza, figlia del suo socio Baccio di Magio, e si stabilì con la moglie a Pisa, dove rimase, curando i suoi commerci, almeno sino al 1398, quando, il 18 aprile, risulta già residente, sia pure non in modo stabile, a Firenze; ed è qui che egli finì con il trasferirsi nel 1401, dopo una breve parentesi bolognese motivata dal timore della peste esplosa l'anno avanti nel capoluogo toscano. Nei dieci anni in cui rimase a Firenze - se ne allontanò solo per brevi soggiorni a Pisa e a Livorno, dove lo chiamavano i suoi interessi commerciali, e ad Arezzo, dove abitava suo fratello Gregorio - il B. operò preferibilmente da solo, in una azienda di piccole dimensioni, conducendo in compartecipazione alcuni singoli affari. Tralasciò inoltre l'attività industriale, che era stata caratteristica del periodo pisano, specializzandosi in operazioni a largo raggio di compra-vendita di tessuti, di lana e di panni, spesso compiute su commissione (sui profitti e sul capitale accumulato dal B. in questo periodo, cfr. B. Dini, L'attività..., I, pp. 131-162), e perfezionando la tecnica e l'attività cambio-bancaria e quella delle assicurazioni sui trasporti marittimi. Nel novembre del 1410 il B. fece ritorno ad Arezzo; ma nel giugno dell'anno seguente una nuova epidemia di peste lo costrinse a ritirarsi, con i nipoti Francesco e Accorso di Gregorio Bracci, a Poppi, dove si trattenne sino alla fine del 1411. Mortogli il fratello Gregorio, la responsabilità dell'amministrazione dell'azienda e dei beni di famiglia ricadde interamente sulle spalle del B., che alternò, dal 1412 al 1415, la sua residenza tra Arezzo, per curarvi la sua nuova attività industriale (dopo la parentesi fiorentina, infatti, aveva aperto una bottega d'arte della lana nella sua città natale), e Firenze, dove lo chiamavano invece i suoi interessi di banchiere e di assicuratore, e dove lo volevano anche i rapporti d'affari che egli aveva intessuto con le grandi società finanziarie di quella città e con le loro filiazioni straniere: solo nel 1415 il B. si stabilì definitivamente ad Arezzo. Vi aveva fondato due compagnie commerciali, la prima con Pietro Civitella (1411-1413), la seconda con i nipoti; ma più che nella mercatura, cui si interessò sempre meno, egli si impegnò soprattutto nell'opera di industriale (per la quale si veda F. Melis, Storia della ragioneria, pp. 569-574) e di finanziere, intensificandol'attività bancaria e cambiaria della sua compagnia, stringendo sempre più intimi rapporti di affari e d'interessi con le grandi banche fiorentine. Tra le operazioni finanziarie da lui portate a termine in questo periodo, particolare interesse rivestono, dal punto di vista della tecnica, le speculazioni sul cambio con Venezia (si veda, in proposito, R. De Roover, Cambium..., pp. 632-639).
Negli ultimi anni della vita, pur non tralasciando di migliorare e di abbellire le proprietà familiari - in questo quadro di valorizzazione vanno vistii lavori da lui fatti eseguire nel palazzo di Villalba, sua residenza -, il B. si preoccupò soprattutto di convertire il suo ingentissimo capitale privato, e quello della sua famiglia, in beni fondiari e in immobili, che rappresentassero per i suoi eredi un investimento sicuro e assicurassero loro, anche in vista dei lasciti da lui stabiliti per testamento, una stabile rendita.
Nel testamento, da lui redatto sin dal 1410, il B., rimasto senza figli, aveva disposto che il patrimonio familiare passasse ai nipoti Francesco e Accorso, e che il suo patrimonio privato, convertito integralmente in beni immobili, andasse alla Fraternita dei laici di Arezzo, di cui era divenuto rettore nel 1415. La pia associazione avrebbe dovuto impiegare le rendite dei beni così ereditati in diverse opere di misericordia specificate nel testamento e in uffici funebri di suffragio per la sua anima. Il testamento prevedeva, inoltre, che tutti i parenti e gli eredi del B. si dovessero riunire annualmente nel giorno anniversario della sua dipartita per un banchetto funebre: questa tradizione si mantenne inalterata sino al 1797, quando ne beneficiavano i membri delle famiglie aretine dei Sinigardi e degli Alliotti, ultimi discendenti del Bracci.
Il 2 sett. 1425 il B. veniva a morte; le sue spoglie furono inumate, con grande pompa, nella pieve di Arezzo.
Il B. fu certamente il maggiore e più originale operatore economico di Arezzo medioevale: della sua città egli impersonò infatti e definì la funzione nel quadro del sistema economico dei secc. XIV e XV, e in quello delle relazioni commerciali distendentisi attraverso l'intera Italia centrale, verso il nord e verso il sud della penisola, o, per le vie marittime tirreniche e adriatiche, verso i paesi d'Oltralpe e d'Oltremare. A Pisa e a Firenze si era impiantato con i suoi organismi rispettivamente commerciale-manufatturiero e cambio-bancario; e il suo esempio fu presto seguito da altri imprenditori aretini. Ma appunto sul binomio portuale e mercantile di Pisa, e sul caposaldo di Firenze, fondava il proprio sistema economico Arezzo, che fu pertanto necessariamente una potenza economica soprattutto tirrenica. Sconsigliavano infatti la ricerca e l'instaurazione di collegamenti con il litorale adriatico sia l'ostacolo rappresentato dagli Appennini, sia - e in modo particolare - la mancanza di buoni porti vicini e di piazze consistenti. Attraverso Pisa potevano invece agevolmente passare le correnti di traffico, da e verso Arezzo, mentre nell'importante centro di raccolta e di smistamento, che era Firenze, potevano sostare le merci dei mercanti aretini, perché a Firenze si aprivano le grandi strade commerciali per l'Italia settentrionale e i paesi transalpini. Arezzo, centro degli affari del B. negli ultimi venticinque anni della sua vita, attraeva allora verso il proprio mercato i beni e gli operatori di un'ampia zona che si distribuiva in un arco di 180º rispetto alla linea rappresentata, a nord, dal Casentino e a sud dalla Val di Chiana e comprendente lo stesso Casentino, l'alta valle del Tevere (Anghiari, Pieve Santo Stefano, Sansepolcro, Città di Castello); poi, di là dell'Appennino, la Romagna (Modigliana) sino al mare (da Fano ad Ancona), il Montefeltro e la Marca Centrale (Urbino, Fossombrone, Cagli, Sassoferrato, Fabriano, Pioraco, Matelica, Camerino); l'Umbria (specie Perugia, Foligno, Gubbio, Todi), e le regioni intorno al Trasimeno. Le stesse località, per moto inverso e sempre per il tramite dei valenti operatori economici aretini, venivano raggiunte dai beni provenienti dal commercio mediterraneo che la rivoluzione verificatasi nella struttura delle tariffe aveva elevato nel numero e nell'intensità, sino ad assumere le proporzioni di un vero e proprio commercio di massa. Grazie a mercanti intraprendenti come il B., dunque, Arezzo venne ad assumere tra la fine del sec. XIV e gli inizi del sec. XV la funzione di collegamento e di saldatura fra le popolose e importanti regioni interne dell'Italia centrale, con valide aperture sul mare, in un felice inquadramento del sistema economico generale dell'Occidente.
Insieme con il patrimonio privato del B., passò alla Fraternita dei laici di Arezzo anche la documentazione relativa alla sua attività commerciale e bancaria. Si tratta della serie quasi integra dei registri contabili relativi agli esercizi aziendali succedutisi nei tre diversi periodi dell'attività del B. - pisano, fiorentino, aretino: in tutto 18 pezzi, tutt'ora conservati nell'archivio della pia istituzione (Arezzo, Archivio della Fraternita dei Laici, Benefattori, nn. 38-55).
Fonti e Bibl.: Dei registri contabili del B., per la maggior parte inediti, alcuni di maggiore importanza (nn. 38, 40, 45 s., 54) sono stati pubblicati da: F. Oliva, Un osservatorio di eccezionale importanza per la conoscenza dei traffici economici in Pisa alla fine del Trecento. Il fondaco in Pisa del grande mercante aretino L. B. (con trascrizione del suo "Libro di conti B.": 1390-1392), univ. di Pisa, tesi di laurea, 1952;B. Dini, L'attività del mercante aretino L. di Giovanni di Feo B. nella parte finale del periodo fiorentino (con trascrizione del "Memoriale C": 1402-1423), voll. 3, univ. di Pisa, tesi di laurea, 1962;V. Poggioli, L'ultimo esercizio dell'azienda di L. di Giovanni di Feo B. (con trascrizione del "Libro Nero": 1415-1425), voll. 3, univ. di Pisa, tesi di laurea, 1962;M. Selmi, La gestione del secondo periodo fiorentino (1401-1404) dell'azienda di L. B. di Arezzo (con trascrizione del "Libro Debitori e Creditori" segn. B), voll. 3, univ. di Pisa, tesi di laurea, 1962;A. Ricciardello, Il più interessante e dovizioso periodo pisano dell'azienda di L. B. di Arezzo, voll. 3, univ. di Pisa, tesi di laurea, 1963.
Bartolomeo di ser Gorello, Cronica di Arezzo, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., XV, 1, a cura di A. Bini e G. Grazzini, p. 18; C. Lazzeri, G. Ubertini,vescovo di Arezzo (1248-1289)..., Firenze 1920, App. I, pp. 266 e 277;A. Fanfani, Costi e profitti di L. B.,mercante aretino del Trecento, in Saggi di storia econ. italiana, Milano 1936, pp. 1-15; C. Lazzeri, Aspetti e figure di vita medievale in Arezzo, Arezzo 1937, pp. 101-125; F. Melis, Storia della ragioneria, Bologna 1950, pp. 520-523; Id., Note di storia della banca pisana nel Trecento, Pisa 1955, pp. 29 s., 116-119; R. De Roover, Cambium ad Venetias: Contribution to the History of Foreign Exchange, in Studi in on. di A. Sapori, I, Milano 1957, pp. 629-648; F. Melis, Uno sguardo al mercato dei panni di lana di Pisa nella seconda metà del Trecento, in Economia e Storia, III (1959), pp. 321-365; Id., L. B. e la funzione di Arezzo nell'economia dei secc. XIV-XV, prolus. all'Accademia Petrarca, anno accad. 1961-62, Arezzo 1966.