PECHEUX, Laurent
PÉCHEUX, Laurent. – Nacque a Lione il 17 luglio del 1729 da Martin Pécheux, sarto, e da Benoite Manesson; si hanno notizie di un’unica sorella lionese, che visse con lui, a Torino, dal 1792 fino alla morte, nel 1799. Dopo una solida formazione classica ricevuta presso il Collegio dei gesuiti di Lione, fu inviato verso il 1745 a proseguire i suoi studi a Parigi, dove frequentò lo studio del pittore Charles Natoire ed eseguì alcuni disegni ispirandosi alle incisioni di Pietro Testa. Richiamato a Lione dopo meno di un anno, vi coltivò la sua vocazione, senza maestri ma frequentando gli artisti della città, tra cui Jean-Baptiste Pillement. Nulla rimane delle opere pittoriche da lui eseguite verso il 1750, sotto la direzione dell’architetto e decoratore di interni Jean-Antoine Morand, per la cappella degli scolari del Petit-Collège. Il solo dipinto conosciuto risalente forse a quel periodo, Giove e Semele, è datato 1751 o 1753 (irreperibile; cfr. L. P., 1729-1821. Un peintre français…, 2012, p. 14 fig. 1). Alla fine del 1751 incontrò a Lione, durante il loro viaggio alla volta di Roma, il pittore Gabriel-François Doyen e lo scultore Augustin Pajou, entrambi vincitori del Prix de Rome del 1748, i quali ammirarono i suoi disegni. Così incoraggiato, Pécheux convinse il padre a mandarlo a Roma per un soggiorno che si prevedeva di tre anni. Arrivato a Roma il 26 gennaio 1753, non avrebbe più lasciato l’Italia, fatta eccezione per un viaggio in Francia nel 1800.
Indipendente dall’Accademia di Francia a Roma (diretta dal 1751 al 1775 da Natoire, che lo autorizzò in un primo momento a disegnarvi), Pécheux si allontanò ben presto dagli artisti francesi pensionati dal re. Nicolas Guibal lo portò a frequentare lo studio di Anton Raphaël Mengs (1728-1779), ostile alla ‘maniera francese’.
Fece amicizia con Pompeo Batoni (1708-1787), che accettò di curare le pose dei modelli presso l’‘accademia del nudo’ privata che Pécheux aveva istituito nel quartiere della Trinità dei Monti, dove si era stabilito intorno al 1757, presso la Casa Zuccari di via Gregoriana. Affini a quelli di Mengs, i nudi di accademia che aveva disegnato, ricopiato e fatto copiare ai suoi allievi costituirono un materiale didattico che andò crescendo nel corso della sua carriera di insegnante, proseguita sia presso l’Accademia del nudo del Campidoglio, dove Pécheux insegnò a partire dal 1762, sia, dal 1777, presso l’Accademia di Torino.
I disegni da lui lasciati in eredità a questa istituzione sono stati trafugati intorno al 1940, ma sono conservati alcuni begli esempi datati 1763, 1764 (Parigi, Bibliothèque Nationale de France e Musée du Louvre) e 1778 (Berlino, Kupferstichkabinett).
Nel 1754 Pécheux partecipò senza successo al concorso dell’Accademia romana di S. Luca assieme al suo amico scultore originario di Dole (Giura), Claude-François Attiret, di cui dipinse il ritratto (1754-59; Digione, Musée des beaux-arts).
Oltre a Giovanni Battista Piranesi, Pécheux frequentò gli architetti Charles Louis Clérisseau e William Chambers. Notato da Mengs per la qualità dei suoi disegni di sculture antiche, Pécheux fu incaricato dall’architetto Robert Adam di eseguire a sanguigna, nel 1755, alcuni disegni ‘delle dodici statue principali dell’antichità’ destinati a un lord ‘inglese’, probabilmente lo scozzese John Hope, conte di Hopetoun. Adam gli fece ottenere la commessa di due quadri per Hopetoun House (Attilio Regolo e Coriolano, 1757-61; perduti, si conoscono attraverso alcuni disegni): di stile severo, queste opere rientrano nella serie degli ‘incunaboli’ della pittura neoclassica.
Da Lione gli giunsero, fin dall’inizio del suo periodo romano, una serie di commissioni: per la chiesa parrocchiale di St Nizier, dove era stato battezzato, dipinse un S. Pietro battezza il centurione Cornelio e per il monastero dei Génovéfains un Giacobbe e Labano.
Entrambi i dipinti, sottratti da pirati durante il trasporto per mare, sono perduti, ma sono conosciuti attraverso alcuni disegni; Pécheux dipinse un’altra versione del secondo, che fu installata (ai Génovéfains di Lione) nel 1762 (Lione, Musée des Hospices civils).
Dieci anni più tardi eseguì una pala d’altare per le orsoline di Lione (S. Orsola, la beata Angela e s. Agostino, conosciuta grazie a un disegno ad acquerello). Per alcuni appassionati d’arte di Lione dipinse nel 1760 un Ratto di Elena (per il signor Rigaud; coll. privata) e una Fonte della Giovinezza (per il signor Pierre de Jouvencel; perduto), e nel 1761 per il signor Desvignes, Aurora e Cefalo e Diana e Endimione (collezioni private).
Pécheux ebbe numerosi allievi, tra i quali i più noti sono quelli della comunità di Liegi, come Léonard Defrance, Joseph Dreppe (1737-1810) fino al 1761, o François-Bernard Racle (1739-1777), un protetto del canonico di Liegi Henri Hamal (1744-1820). Hamal, a Roma tra il 1763 e il 1769 grazie alla Fondazione Darchis, fu il principale collezionista di disegni di Pécheux: 206 figurarono nella sua vendita del 1805 e il suo nome si legge sul retro o il verso di numerosi disegni.
Nel 1762 Pécheux iniziò una serie di dodici grandi tele della Vita di Cristo per la collegiata di Notre-Dame di Dole nella Franca Contea (Giura, ancora in situ), a spese del canonico Claude-Antoine de La Marre. La prima e la più spettacolare è una Crocifissione, che gli valse la visita, il 6 marzo 1762, di alcuni membri dell’Accademia di S. Luca: tale istituzione lo accolse come ‘accademico di merito’ dal giorno successivo.
Lo stesso anno Jacques-Laure Le Tonnelier, balì di Breteuil, ambasciatore dell’Ordine di Malta presso la Santa Sede e grande appassionato d’arte, commissionò a Pécheux un Ercole affida Deianira al centauro Nesso (1762, Torino, Galleria Sabauda, inciso da Francesco Bartolozzi) come pendant del Polifemo, Aci e Galatea dipinto da Batoni (1761, Stoccolma, Nationalmuseum).
Ugualmente, nel 1763, l’abate di Livry (1715-1795) ordinò a Pécheux una Morte di Cleopatra (perduta) per fare da pendant a una Morte di Marcantonio dello stesso Batoni (Brest, Musée des beaux-arts).
Per il medesimo committente, Pécheux dipinse nel 1764 La continenza di Scipione (coll. privata), exemplum virtutis con tratti di più marcata raffinatezza, vicino allo stile ‘alla greca’ che trionfava in Francia con le opere di Joseph-Marie Vien.
Da maggio a luglio 1764, un viaggio intrapreso con l’appassionato d’arte Paul Randon de Boisset lo condusse a Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Mantova, Parma, Reggio, Modena, Bologna, Firenze, Siena e Viterbo.
Nel gennaio 1765 Pécheux fu chiamato a Parma presso la corte del duca Filippo I di Borbone per dipingere il ritratto della figlia Maria Luisa, quattordicenne, che doveva sposare l’Infante di Spagna, il futuro Carlo IV. In questa città, allora così impregnata di cultura francese (il primo ministro Guillaume du Tillot, l’architetto lionese Ennemond-Alexandre Petitot, di cui dipinse alcuni ritratti), Pécheux eseguì con successo non solo il ritratto della principessa, che fu inviato a Madrid prima del matrimonio (ora al Metropolitan Museum of art di New York), ma anche quello del duca Filippo (morto il 18 luglio 1765) e quello di suo figlio Ferdinando I (1765 e 1766; tutti a Parma, Galleria nazionale, insieme con un ritratto in busto di Maria Luisa; un secondo ritratto a figura intera della principessa, destinato a rimanere a Parma, si trova oggi a Firenze nella Galleria d’arte moderna di palazzo Pitti). La sua permanenza a Parma, dal gennaio 1765 al giugno 1766, gli permise di studiare approfonditamente l’arte di Correggio, il cui ricordo è evidente nella Venere e Adone che dipinse senza committente nel 1766 (Lione, Musée des beaux-arts).
Dal 1768 al 1770 Pécheux eseguì, sempre a Roma, quattro dipinti della Vita della Vergine di piccole dimensioni (Lione, Musée des beaux-arts, e Torino, Galleria Sabauda), per il pittore di Ypres Joseph Beke (1730-1770), il quale iniziò a trasporli in formato grande per decorare una cappella della cattedrale di Notre-Dame a Ypres, dove si trovano ancora la Morte della Vergine di Joseph Beke e una Adorazione degli Angeli, quest’ultima dovuta interamente a Joseph-Benoît Suvée, che portò a compimento la commessa dopo la morte di Beke.
Dopo un primo viaggio a Napoli, compiuto nei primi mesi del 1768, Pécheux vi fu chiamato da maggio a dicembre per dipingere i ritratti degli sposi reali, Ferdinando I e Maria Carolina, ma rinunciò per l’impossibilità di ottenere le sedute di posa necessarie. Fece quelli degli ambasciatori di Francia, il visconte de Choiseul, e dell’Impero, Ernst Christopher von Kaunitz-Rittberg (irreperibili), e collaborò anche per una delle tavole della pubblicazione di Pierre-François Hugues d’Hancarville delle Antiquités étrusques, grecques et romaines tirées du Cabinet de M. [William] Hamilton, I-IV, Napoli 1766-1767 (ma 1767-1776).
Tornato a Roma, iniziò la decorazione ad affresco del catino absidale di S. Caterina da Siena, la chiesa nazionale dei senesi a Roma, con la raffigurazione di S. Caterina da Siena accoglie papa Gregorio XI al suo ritorno da Avignone, con la Curia, il 13 gennaio 1377 (1769-73, in situ).
Nel 1772 dipinse per Joseph-Alphonse de Véri, ex uditore del Tribunale della Sacra Rota, Una galleria di statue greche, con il ritratto di de Véri, a cui avrebbe dato un seguito nel 1776 con Una galleria di statue moderne all’interno della basilica di S. Pietro a Roma, con i ritratti del Balì di Breteuil, di Padre Jacquier, dell’abate Spannocchi e di Laurent Pécheux (entrambi i quadri non sono stati più rintracciati dopo la vendita di de Véri nel 1785).
Nel 1773 sposò Clementina Gonzalez e si stabilì in via del Babuino. Il 6 marzo di quell’anno Pécheux fu nominato pittore regio da Charles Edward Stuart in esilio a Roma (detto, a partire dal 1766, il Giovane Pretendente o Carlo III d’Inghilterra), il quale portava il titolo di conte d’Albany e aveva sposato l’anno prima Luisa di Stolberg-Gedern: del sovrano aveva realizzato in precedenza (1770) il ritratto a mezza figura e nel 1772 aveva compiuto quello di sua moglie (coll. private; copie di Louis-Édouard Rioult a Versailles), eseguendone altri ritratti ‘quasi a figura intera’ rispettivamente nel 1770 e nel 1774.
Nel 1774 Caterina II di Russia gli commissionò il Ritratto di papa Clemente XIV e quelli di Ferdinando di Parma e di sua moglie Maria Amalia d’Asburgo-Lorena, quest’ultimo dipinto nel 1776 (tutti a San Pietroburgo, Ermitage).
Tra il 1774 e il 1775 Pécheux dipinse un soffitto nel palazzo in Campo Marzio del principe Marcantonio IV Borghese con Le nozze di Amore e Psiche (1774-75, in situ), e un altro a palazzo Barberini con Il Padre Eterno che separa gli elementi (1775, in situ).
Dal 1774 al 1776 Pécheux contribuì all’ideazione del monumento di Emmanuel Pinto da Fonseca, gran maestro dell’Ordine di Malta, scolpito da Vincenzo Pacetti su suo disegno e posto (sotto la direzione di Antoine de Favray) nella chiesa di S. Giovanni alla Valletta di Malta (in situ). Onore supremo, Pio VI gli commissionò un Pianto della Vergine alla porta del Sepolcro per la basilica di S. Andrea apostolo di Subiaco.
A partire dal 1777 attese alla decorazione della stanza nel Casino Borghese al Pincio che ospitava allora il famoso Gladiatore (Louvre), dipingendo per il soffitto L’Assemblea degli dei o L’Olimpo, dove Giunone versa una coppa di nettare a Teti (opera finita nel 1782 a Torino e montata nel 1784, in situ).
Dal 1768 Pécheux era entrato a far parte del circolo di studiosi della marchesa Margherita Boccapaduli (1735-1820); di lei ha lasciato un sorprendente ritratto su tavola datato 1777 (La marchesa Margherita Sparapani Gentili Boccapaduli nella sua camera delle meraviglie, coll. privata), nonché diverse effigi di François Jacquier, padre minimo della Trinità dei Monti e matematico di fama internazionale.
Stando a quanto riferito da Pécheux stesso nell’autobiografia Notes sur le cours de ma vie, Batoni (anziano) e Mengs (malato e impegnato a Madrid) avrebbero cercato di trattenerlo a Roma, la città dove presto, gli diceva il secondo, «avrebbe assunto un ruolo molto importante», sentimento condiviso dal cardinale François-Joachim de Pierre de Bernis, ambasciatore di Francia, e dal balì di Breteuil (in Bollea, 1942, p. 380). Nel 1777, infatti, Pécheux fu chiamato a Torino come primo pittore del re di Sardegna, Vittorio Amedeo III, e direttore artistico dell’Accademia. Per scegliere il titolare di tale incarico, rimasto vacante dopo la morte di Claudio Francesco Beaumont nel 1766, il gran ciambellano Roberto Malines di Bruino e il padre teatino Paolo Maria Paciaudi nel 1776 avevano proposto le opposte candidature, a loro insaputa, di Pécheux e di Etienne Lavallée-Poussin, un altro pupillo francese di Breteuil. È per quest’ultimo, a quei tempi già tornato a Parigi, che Pécheux credette di dipingere la Virginia davanti al decemviro Appio Claudio e consegnata a Marco Claudio (1776; perduta): una volta saputa la verità, egli accettò l’offerta del sovrano piemontese, valutando che questo incarico gli avrebbe assicurato una posizione stabile oltre che la protezione del re sulla sua famiglia. Nominato il 9 maggio 1777, egli conservò il proprio incarico a capo dell’Accademia sotto i regimi che seguirono. Dovendo lavorare per il sovrano sei mesi all’anno, poteva dedicare il resto del tempo a soddisfare le commesse di altri clienti.
È dunque a Torino, dove arrivò il 16 ottobre 1777, che completò, nel 1778, un dipinto iniziato senza committente a Roma, Achille afflitto dal dolore di dover cedere Briseide ad Agamennone, che avrebbe tenuto per sé (coll. privata). Tre importanti commesse ricevute a Roma furono eseguite a Torino: S. Vincenzo Ferrer resuscita una donna per Ferdinando di Borbone, destinato alla chiesa di S. Liborio a Colorno (1779, in situ); l’Adorazione dei pastori per la chiesa di S. Marta a Pisa (1779, in situ); il Battesimo di Lamberto, figlio del re delle Baleari, grande tela completata nel 1784 per la cattedrale di Pisa (in situ; modello a Torino, Galleria Sabauda). Questo tema del XII secolo, raffigurato con i costumi del XVI, appare retrospettivamente come un antenato dello stile storico che si sarebbe sviluppato durante la Restaurazione.
L’attività di Pécheux a Torino fu duplice. La sua nomina all’Accademia, che riorganizzò e dove insegnò disegno presso la ‘scuola del nudo’ e pittura, mentre il suo amico Ignazio Collino (1724-1793) vi insegnava la scultura, incontrò inizialmente l’ostilità degli artisti locali e di torinesi influenti, che non videro di buon occhio l’arrivo di uno straniero. L’arte pittorica di Pécheux introdusse a Torino il classicismo rinnovato, di cui egli era stato a Roma uno dei demiurghi accanto a Batoni, a Mengs e a Gavin Hamilton. In effetti, la sua decorazione della biblioteca del Palazzo Reale di Torino, ispirata come modello alla volta di Annibale Carracci in palazzo Farnese a Roma, suona come un richiamo all’ordine classico in paragone alla successione dei cieli barocchi che decorano i soffitti delle stanze circostanti. Questo lavoro fu compiuto a più riprese tra il 1778 e il 1784.
Le principali commesse del re di Sardegna furono nel 1779 la Crocifissione con la Vergine e la Maddalena per la chiesa di S. Croce di Carouge (Svizzera, in situ) e soprattutto, nel 1781, Il beato Amedeo […] intercede presso la Santa Trinità per il popolo di Vercelli afflitto dalla peste, per la cappella reale della chiesa di S. Domenico a Torino (perduto; modello a Marentino, Associazione Casa Zuccala).
Nel 1780 circa eseguì il ritratto di Giuseppina di Lorena Carignano e di sua sorella Carlotta mentre fanno sacrifici all’altare dell’Amicizia (Stupinigi, Fondazione Ordine mauriziano), un’opera in cui una principessa reale è ritratta in veste di letterata, filosofa e amica della natura.
La cosiddetta Galleria Beaumont, dal nome del pittore che ne aveva dipinto la volta, nel Palazzo Reale di Torino, dal 1784 fu oggetto di una nuova decorazione delle pareti dove, al posto dei dipinti antichi, i rilievi in marmo dei fratelli Ignazio e Filippo Collino e di Giovan Battista Bernero dovevano alternarsi alle composizioni dipinte da Pécheux. Di questo progetto, solo la prima grande tela sarebbe stata collocata nel 1788, Clelia che attraversa il Tevere (1787; Chambéry, Musée des beaux-arts). Due dipinti di medio formato erano a essa collegati: Alessandro nella tenda di Statira con il figlio di Dario in braccio (1791-92; coll. privata) e la Morte di Epaminonda (1795; Chambéry). Pécheux sperò per lungo tempo di completare questo ciclo storico nella prospettiva di un museo da creare all’interno della galleria, per la quale realizzò altri due dipinti del formato della Clelia senza che gli fossero commissionati: Augusto fa un sacrificio a Marte (1796-1800, Chambéry, dal deposito del Musée des beaux-arts ed esposto al palais de Justice) e Muzio Scevola minaccia Porsenna dopo aver ucciso il suo attendente (1802; Chambéry, Musée des beaux-arts, deteriorato). Il progetto del museo, ufficialmente deciso nel 1802, fu annullato nel 1804, quando il Palazzo Reale fu designato come residenza di Napoleone re d’Italia.
In quegli anni, accanto a questi exempla virtutis, Pécheux si dedicò alla pittura di soggetti mitologici con carattere anacreontico come, nel 1785, Pigmalione e Galatea per il principe Nikolai Yusupov, ambasciatore russo a Torino tra il 1784 e il 1792 (San Pietroburgo, Ermitage) e, nel 1794, Venere e Minerva, o Allegoria della Ragione, nella figura di Minerva, che consiglia la Natura sotto forma di Venere, per il suo successore il principe Alessandro Beloselsky. Poiché quest’ultimo non prese possesso del quadro, preziosamente dipinto su tavola ‘alla maniera di Vanderverf’, Pécheux ne dipinse un altro per fargli da pendant nel 1796, Narciso (entrambi a Chambéry). Nel 1801 il suo Bacco ubriaco e alcuni Amori (Torino, Galleria Sabauda) fu acquisito da Ludovico di Borbone-Parma, re d’Etruria.
Nel 1792 Pécheux dipinse un Autoritratto (Roma, Galleria nazionale d’arte antica, Palazzo Barberini; replica originale a Torino, Galleria civica d’arte moderna e contemporanea; entrambi su tavola).
Con il subentro della Repubblica Cisalpina al posto del nuovo re di Sardegna Carlo Emanuele IV, Pécheux fu nominato ‘pittore della nazione’ il 17 dicembre 1798.
Dal 18 settembre al 1° novembre 1800 ebbe luogo l’unico viaggio in Francia dell’artista con il suo primogenito Benedetto. Pécheux rimase a Parigi, visitò il Museum central (al Louvre), il Salon de l’an VIII, e incontrò Jacques-Louis David, Pierre-Narcisse Guérin, Charles-Louis Clérisseau e lo scultore Augustin Pajou. François Gérard, che Pécheux aveva conosciuto da bambino a Roma, gli fece da guida.
Membro dell’Accademia nazionale delle scienze di Torino nel 1801, Pécheux pubblicò nelle Memorie di questa istituzione vari scritti teorici sull’arte. Il 14 ottobre 1805 l’Institut de France lo nominò membro corrispondente.
Forse con l’idea di sostituire a Torino i celebri tondi di Francesco Albani (nelle collezioni sabaude dal Seicento) all’epoca spediti a Parigi, Pécheux (membro della Commissione delle Arti responsabile di questi trasferimenti) eseguì una serie di quattro Elementi (Il Fuoco o Venere mentre chiede a Vulcano delle armi per Enea, 1803, irreperibile; L’Aria o Giunone esorta Eolo a rivolgere i venti contro la flotta di Enea, 1804?, perduto; La Terra o Cibele, 1804, irreperibile; L’Acqua o Il trionfo di Anfitrite e di Nettuno, 1808, coll. privata), opere che poi avrebbe regalato a suo figlio Benedetto, pittore, residente a Parigi dal 1804.
Tre tele di Pécheux (Virginia, Epaminonda e Alessandro) ebbero un posto di primo piano nella mostra di Torino organizzata dall’Accademia di belle arti in onore della visita di Napoleone del 1805. Nel 1809 fu collocato nella sala delle sedute pubbliche dell’Università di Torino il suo quadro Napoleone protegge l’Università (distrutto; conosciuto grazie a un’incisione di Angelo Boucheron). L’ultimo Autoritratto, su tela, dipinto tra il 1804 e il 1811 (Torino, Galleria Sabauda) denota l’influenza di David. Nel 1811 espose una Deposizione dalla croce (coll. privata) e un Nostro Signore Gesù Cristo sulla strada del Calvario (coll. privata).
Il 19 agosto 1814 Pécheux fu richiamato da Carlo Emanuele IV ai suoi doveri di ‘primo pittore’ del re di Sardegna. Il 4 dicembre 1819 fu insignito dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro dal re Vittorio Emanuele I. Quasi cieco, continuò a dipingere fino a poco prima della sua morte, avvenuta a Torino, il 1° luglio 1821.
Fonti e Bibl.: Torino, Accademia delle scienze, Mss., 630: L. Pécheux, Notes sur le cours de ma vie, autobiografia in francese iniziata a Torino il 18 dicembre 1783 e condotta fino al 1804, pubblicata da Luigi Cesare Bollea, 1942, pp. 363-390 (www.accademiadellescienze.it).
L.C. Bollea, Lorenzo P., maestro di pittura nella R. Accademia delle Belle Arti di Torino, Torino 1942 (ma con la data del 1936); A. Baudi di Vesme, Schede Vesme. L’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, III, Torino 1968, pp. 786-799; F. Dalmasso, in Cultura figurativa e architettonica negli Stati del Re di Sardegna, 1773-1861 (catal.), a cura di E. Castelnuovo - M. Rosci, Torino 1980, I, pp. 13-32, III, pp. 1470 s.; S. Laveissière, L. P. (1729-1821). Trois tableaux inédits, in La revue du Louvre et des Musées de France, XXXIII (1983), pp. 407 s.; Arte di corte a Torino da Carlo Emanuele III a Carlo Felice, a cura di S. Pinto, Torino 1987, passim; V. Natale, Un progetto incompiuto e un dipinto inedito di P., in Nuovi studi, V (2000, ma 2001), 8, pp. 161-175 figg. 191-200; L. P., 1729-1821. Un peintre français dans l’Italie des Lumières (catal., Dole - Chambery, 2012-2013), a cura di S. Laveissière - S. de Vesvrotte - V. Natale, Cinisello Balsamo 2012.