FORTEGUERRI, Laudomia
Nacque a Siena nel 1515 da Alessandro di Nicodemo e dalla sua seconda moglie Virginia di Giulio Pecci e fu battezzata il 3 giugno di quell'anno (Arch. di Stato di Siena, Biccherna, 1134, c. 253r). Dal primo matrimonio di suo padre, nel 1509, era nato suo fratello Nicodemo.
Prima di compiere vent'anni la F. andò sposa a Giulio di Alessandro Colombini e nell'ottobre del 1535 nacque la sua prima figlia, Olimpia. A due anni di distanza, nel luglio 1537, vide la luce la seconda, Antonia, e nel 1539 l'unico figlio maschio, Alessandro.
Al bambino e a sua madre il filosofo e letterato senese Alessandro Piccolomini dedicò il suo trattato etico-pedagogico De la institutione di tutta la vita de l'huomo nato nobile, Venezia 1542. Il libro venne presentato dall'autore come il suo dono di battesimo per il neonato, a cui era stato chiamato a fare da padrino. In realtà la dedica dell'opera è dovuta più che altro alla profonda devozione del Piccolomini per la F., devozione che risaliva a vari anni addietro e che certamente è una delle ragioni della fama della gentildonna senese. A lei, infatti, il Piccolomini aveva già dedicato un'operetta giovanile: La Raffaella, Venezia 1539, e due trattati di astrologia e cosmografia: De la sfera del mondo…, e De le stelle fisse…, ibid. 1540.
La F. dovette essere, come è testimoniato anche da un altro poeta contemporaneo, Benedetto Varchi, la Laura del Piccolomini, la musa alla quale il poeta lontano (si trovava a Padova per studi) dedicava le sue opere. Anzi La Raffaella - operetta licenziosa - è stata letta anche come un tentativo di conquista della bella senese - allora sposata al Colombini - da parte del Piccolomini, che avrebbe celato proprio la F. sotto i panni della protagonista, la malmaritata Margherita, e se stesso sotto quelli del suo amante Aspasio (M. Rossi, Le opere letterarie di Alessandro Piccolomini, in Bull. senese di storia patria, XVIII [1911], pp. 8 s.). Più nobile è invece l'intento dei due trattati scientifici. Nella lettera con cui dedica alla F. La sfera il Piccolomini spiega infatti di aver scritto il trattato - e di averlo scritto in volgare - per aiutare l'amica nella comprensione di alcuni problemi astrologici presenti nel Paradiso dantesco. La F., infatti, scrive sempre il Piccolomini, era una fine commentatrice della Commedia e si doleva che in quanto donna non si era potuta dedicare agli studi, soprattutto a quelli di astrologia, per i quali aveva una vera inclinazione.
La F. probabilmente fu anche l'ispiratrice di alcune delle rime giovanili del Piccolomini, anche se il suo nome non appare quasi mai nelle composizioni poetiche (Cento sonetti, Roma 1549). In ogni caso sicuramente è lei la donna "incostante, e pergiura e senza fede alcuna" a cui è dedicato il XXX sonetto della raccolta. Nel 1544, infatti, la F., dopo due anni di vedovanza, aveva sposato Petruccio Petrucci (Arch. di Stato di Siena, Gabella dei contratti, 368, c. 52r) e queste nozze avevano provocato evidentemente la gelosia del suo antico ammiratore.
Il Piccolomini non è comunque l'unico contemporaneo colpito dalle doti della F.: un altro Piccolomini, Marcantonio, ne fa una delle protagoniste di un suo dialogo del 1538 (cfr. Belladonna), Benedetto Varchi la ricorda in uno dei suoi sonetti e invita il Piccolomini a cantarne le lodi (De' sonetti, II, Firenze 1557, p. 46), Bernardo Tasso nel XLIV canto dell'Amadigi (Venezia 1560) parla delle sue "dorate chiome". Ottaviano Scoto, primo editore dell'Institutione del Piccolomini, offrendo il libro in dono ai marchesi del Vasto, li prega di accettarlo "più che altro per… quella rarissima gentildonna, a la quale quest'opera è dedicata" (lettera dello Scoto in A. Piccolomini, De la institutione…), gentildonna che - continua sempre lo Scoto - lo aveva sbalordito con la sua bellezza durante un suo viaggio a Siena.
Oltre che famosa bellezza e ispiratrice di letterati la F. fu anche poetessa. Della sua produzione, che doveva essere più abbondante, ci restano in tutto sei sonetti, di cui cinque dedicati a Margherita d'Austria - che la F. aveva conosciuto durante una breve permanenza della principessa a Siena nel 1535 - e uno alla poetessa contemporanea Alda Torella Lunata.
I versi, secondo la critica moderna (Introd. di A. Lisini in L. Forteguerri, Sonetti, Siena 1901, pp. 13 s. e E. De Vecchi, Alessandro Piccolomini, in Bull. senese di storia patria, XLI [1934], p. 426) non presentano alcuna particolare caratteristica di originalità e si confondono con i numerosissimi altri dell'epoca di ispirazione petrarchesca. Diverso fu invece il giudizio dei contemporanei: il Piccolomini, infatti, dedicò a uno dei sonetti (Ora ten va' superbo, or corri altero) una "lettura" presso l'Accademia degli Infiammati a Padova, parafrasandolo e mettendone in luce la bellezza (Lettura, Bologna 1541). Nella pubblicazione della Lettura, inoltre, al sonetto della F. fanno seguito altri tre: uno dello stesso Piccolomini, l'altro di E. Grimaldi e l'ultimo del Varchi, dedicati tutti a tessere le lodi della F. e a magnificare la grande amicizia che la legava alla figlia di Carlo V.
Più che alle sue qualità di poetessa il ricordo della F. è legato comunque al suo eroico comportamento durante la guerra di Siena. Tra la fine del 1552 e agli inizi del '53, infatti, comandò una delle squadre di donne che parteciparono alla costruzione di una fortificazione (il cosiddetto "fortino delle donne"), necessaria alla difesa della città. L'episodio è particolarmente celebre in quanto ricordato nei suoi Commentaires da Blaise de Monluc, capitano delle truppe francesi alleate dei Senesi contro Cosimo de' Medici e gli Spagnoli e principale cronista del lungo assedio subito dalla città. Il Monluc, che pure non era stato presente all'episodio, fa l'apologia di queste donne combattenti e le definisce "dignes d'immortelle louange, si jamais femmes le furent" (B. de Monluc, Commentaires 1521-1576, a cura di P. Courteault, Paris 1964, p. 306). La tradizione - ripresa dal Monluc e dopo di lui da tutti gli storici dell'assedio - vuole che la squadra capitanata dalla "signora Forteguerra" fosse formata da donne che vestivano abiti da ninfe di colore violetto e che, lavorando al fortino, cantavano una canzone in onore della Francia. Sempre secondo la tradizione il loro enigmatico motto era "pur che sia vero".
La F. partecipò quindi alla difesa della sua città, ma a differenza di quanto sostiene uno studioso del Piccolomini, F. Cerreta (p. 31), non morì combattendo per la libertà della patria. Manca infatti ogni notizia in tal senso e soprattutto al 1556 risale l'opera del letterato G. Betussi (Le imagini del tempio, pp. 32 s.), che nell'ambito di un dialogo tra la Fama e la Verità parla di Siena come di una città sfortunata e distrutta, ma ancora per fortuna adorna di donne ricche di bellezza e di virtù quale la F. e a lei dedica un sonetto.
Opere. Opere della F. in Rime diverse di molti eccellentissimi autori nuovamente raccolte. Libro primo, Venezia 1546; Rime diverse d'alcune virtuosissime e nobilissime donne, a cura di L. Domenichi, Lucca 1559; Rime di cinquanta illustri poetesse di nuovo date in luce, a cura di A. Bulifon, Napoli 1695; Sonetti di madonna Laudomia Forteguerri poetessa senese del secolo XVI, Siena 1901 (Introd. di A. Lisini). Lo stesso testo fu ripubblicato vari anni dopo da A. Lisini, Sonetti, in La Diana, VI (1931), pp. 177-186.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Siena, Biccherna, 1135, cc. 235r, 348v, 379r, 419r (per la data di nascita sua e dei figli); Ibid., Gabella dei contratti, 368, c. 52r; Ibid., Mss. A 30 II: A. Sestigiani, Compendio istorico di senesi nobili… (1696), cc. 270v-271r; Siena, Bibl. com. degli Intronati, Mss. P IV, 10: S. Bichi Borghesi, Biografia degli scrittori senesi, I, c. 414v; B. Varchi, De' sonetti…, II, Firenze 1557, p. 46; G. Betussi, Le imagini del tempio della signora donna Giovanna Aragona, Venezia 1556, pp. 31 ss.; B. Tasso, L'Amadigi, Venezia 1560, p. 272; I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi…, II, Pistoia 1649, pp. 403, 406 ss.; G. Gigli, Diaro senese, pt. I, Lucca 1723, p. 25; L. Bergalli, Componimenti poetici delle più illustri rimatrici d'ogni secolo, Venezia 1726, ad nomen; G.A. Pecci, Memorie storico-critiche della città di Siena, IV, Siena 1760, p. 188; G. Fabiani, Mem. per servire alla vita di mons. A. Piccolomini, Siena 1769, pp. 13 ss., 21, 23 s.; A. Sozzini, Diario delle cose avvenute in Siena…, in Arch. stor. ital., II (1842), p. 278; A. Lisini, Le poetesse senesi degli ultimi anni della Repubblica di Siena, in Miscell. stor. senese, V (1898), p. 34; G. Pellizzaro, I sonetti di A. Piccolomini, in Rassegna critica della letter. ital., VIII (1903), pp. 102 ss.; M. Rossi, Le opere letterarie di A. Piccolomini, in Bull. senese di storia patria, XVIII (1911), pp. 7 ss.; R. Langton Douglas, Storia politica e sociale della Repubblica di Siena, Siena 1926, p. 250; L. Marri Martini, Donne di Siena, in Bull. senese di storia patria, XL (1933), p. 134; E. De Vecchi, A. Piccolomini, ibid., XLI (1934), pp. 426 s., 452 s.; M. Messina, Rime del XVI secolo in un manoscritto autografo di G.B. Giraldi Cinzio e di B. Tasso, in La Bibliofilia, LXVII (1955), pp. 115, 145; F. Cerreta, A. Piccolomini, letterato e filosofo senese del Cinquecento, Siena 1960, pp. 30 s., 33, 39, 41, 44, 46 s., 62, 93; G. Toffanin, Il Cinquecento, Milano 1960, pp. 144 s.; R. Cantagalli, La guerra di Siena (1552-1559), Siena 1962, p. 50; R. Scrivano, A. Piccolomini, in La Rassegna della letter. ital., LXVIII (1964), p. 72; U. Cagliaritano, Mamma Siena. Diz. biografico aneddotico dei Senesi, III, Siena 1971, p. 490; Id., Storia di Siena, Siena 1977, pp. 226, 238; R. Belladonna, Gli Intronati, le donne, Aonio Paleario e Agostino Museoin un dialogo inedito di Marcantonio Piccolomini, il Sodo Intronato (1538), in Bull. senese di storia patria, IC (1992), pp. 48-90.