La villa dei Papiri, da Ercolano a Malibu
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Scoperta nel XVIII secolo, la Villa dei Papiri di Ercolano ha restituito l’immagine più rappresentativa a noi nota della villa di otium dell’élite dirigenziale romana di età tardorepubblicana, e con la sua ricca biblioteca ha dato lo stimolo originario alla nascita della scienza papirologica.
Nella primavera del 1750 ha inizio uno degli episodi più straordinari della storia dell’archeologia: la scoperta casuale di un bellissimo pavimento in opus sectile, relativo a un ambiente a pianta circolare, segna l’inizio degli scavi della Villa dei Papiri di Ercolano, perfetto esempio di quelle ville di otium che in età romana punteggiavano il litorale campano, e sulle quali offrono ampie testimonianze le fonti letterarie.
Le operazioni di scavo, condizionate dalle difficoltà operative che comporta il sito di Ercolano, sepolto sotto una spessa coltre di flussi piroclastici solidificati (che sul sito della villa raggiunge quasi 25 metri di altezza), richiedono la realizzazione di una fitta rete di pozzi e cunicoli, ad opera di squadre composte perlopiù da ergastolani e condannati a morte che lavorano in condizioni durissime; il responsabile degli scavi è l’ingegnere militare spagnolo Roque Joaquín de Alcubierre, direttore degli scavi di Ercolano iniziati nel 1738, a cui presto viene affiancato un secondo ingegnere, lo svizzero Karl Weber. A quest’ultimo si deve una accurata pianta dello scavato, che segnala la disposizione di pozzi e gallerie e testimonia la precisa localizzazione dei rinvenimenti più significativi, e che ancora oggi costituisce una fonte documentaria di straordinario valore. Gli scavi proseguono fino al 1764, quando vengono chiusi, certo a causa del moltiplicarsi delle esalazioni mefitiche e dei crolli che mettono in pericolo la vita degli operai, ma anche per concentrare gli sforzi e le poche risorse finanziarie disponibili sugli scavi di Pompei, che oppongono minori difficoltà di natura tecnica, e che possono essere condotti a cielo aperto. In questi 14 anni di attività, il sito ha restituito pitture parietali, arredi, poco meno di un centinaio di sculture in marmo e in bronzo di qualità eccezionale e una collezione di oltre mille rotoli di papiro carbonizzati, relativi ad una biblioteca di notevoli dimensioni e dai quali deriva il nome con cui la villa è conosciuta; ma ha restituito anche l’immagine di una dimora sontuosa dalle dimensioni imponenti, che sorgeva a strapiombo sul mare, fiancheggiando la linea di costa per oltre 250 metri.
Gli scavi settecenteschi hanno rivelato la complessa pianta della villa, costituita dal quartiere dell’atrio, da un primo peristilio a pianta quadrata con una vasca centrale di forma allungata, da un quartiere di abitazione ad est nel quale è localizzabile la biblioteca, e da un peristilio rettangolare lungo quasi 100 metri per 37 di larghezza, con 25 colonne sui lati lunghi e 10 su quelli corti ed una vasca al centro, dai lati corti absidati, lunga 66 metri. Dal lato occidentale del peristilio si accedeva ad un ampio giardino a terrazze, con esedre e un padiglione circolare con funzione di belvedere.
La recente ripresa delle indagini, con campagne effettuate nel 1996-1998 e nel 2007, ha consentito di riportare alla luce parte del quartiere dell’atrio, di cui sono stati scavati 16 ambienti, tra cui un’esedra-tablino con una terrazza panoramica e tre triclini: questa zona della villa ha restituito frammenti di decorazione pittorica parietale di II stile e pavimenti in mosaico a motivi geometrici in bianco e nero e in policromia. Le indagini hanno inoltre riguardato parte della basis villae, ovvero il basamento artificiale su cui era costruito l’intero complesso, digradante verso il mare con una disposizione a terrazze di grande effetto scenografico. La struttura più grandiosa della villa è però il grande peristilio rettangolare, nella cui pianta è possibile leggere un richiamo al modello del ginnasio greco, di cui abbiamo una accurata descrizione in Vitruvio, Sull’architettura (5. XI, 1-4).
Le ville di otium che sorgono tra II e I secolo a.C. sulla costa campana, ma anche sul litorale laziale e nella zona dei castelli romani, comprendono spesso degli ambienti che nel nome, nell’aspetto, nell’arredo e nella funzione devono rievocare i luoghi di quella cultura greca tanto ardentemente ammirata e coltivata: una sorta di geografia domestica dello spirito e dell’intelletto. Tra questi luoghi, come testimoniano soprattutto le lettere di Cicerone all’amico Tito Pomponio Attico, ci sono la palestra, l’Accademia, la biblioteca e, appunto, il ginnasio. Qui l’aristocrazia romana profondamente imbevuta di cultura ellenica può coltivare in libertà il proprio otium, la vita dello spirito, la filosofia, la poesia, la conversazione, lontano dalle preoccupazioni degli affari e dell’attività politica (negotium), ma anche dalle severe norme della tradizione romana che impongono, almeno formalmente, un atteggiamento di riprovazione nei confronti del modo di vivere “alla greca”; qui il proprietario può rievocare il proprio soggiorno formativo in Grecia negli anni della giovinezza. Tornando al ginnasio, modello del peristilio rettangolare della Villa dei Papiri, occorre ricordare che non si tratta solo di un ambiente destinato agli esercizi fisici, ma anche di una struttura che, grazie alla presenza di portici e di sale coperte, ospita attività culturali ed educative e dotte conversazioni. Il ginnasio può dunque essere definito come un vero e proprio centro di cultura ellenica, dove si coltiva la vita dello spirito: realizzarne uno all’interno della propria casa rappresenta per un romano una chiara adesione ad un modello di vita intellettuale in cui, per dirla con Paul Zanker, “la cultura greca diventa la cultura tout court”.
Elemento rivelatore della profondità della cultura greca del proprietario della Villa dei Papiri è la composizione della sua biblioteca, da localizzare nel piccolo ambiente “8” (dove è stata rinvenuta la maggior parte dei papiri), ma anche negli ambienti confinanti, e di cui probabilmente la sala ad esedra affacciata sul peristilio rettangolare, in genere definita tablinum, deve essere considerata parte, fungendo da aula di lettura o di conversazione.
I papiri ritrovati nella villa sono in grande maggioranza di argomento filosofico e in lingua greca: è però possibile che, come era usuale a Roma, la sezione latina fosse separata dalla greca, e localizzata in altri ambienti del complesso. La biblioteca della Villa dei Papiri ha permesso la conoscenza di testi trascurati dalla tradizione manoscritta medievale: testi filosofici epicurei in primo luogo, a cominciare da Sulla natura di Epicuro, opera fondamentale di cui erano noti solo pochi frammenti; ma soprattutto opere di Filodemo di Gadara, allievo di Zenone di Sidone epicureo, tra le quali basti ricordare il Sulla musica e il Sulla pietà.
Come sappiamo da Cicerone, Filodemo si trasferisce in Campania, dove in questo periodo vivono altre personalità legate all’epicureismo (tra cui Sirone, maestro di Virgilio), probabilmente in seguito ai gravi rivolgimenti politici che interessano Atene in età sillana, e che provocano la diaspora delle scuole filosofiche. Inoltre, Filodemo in Italia può contare sull’appoggio e la protezione di alcuni protagonisti della vita politica romana, come Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, console nel 58 a.C. e suocero di Cesare. A causa del carattere spiccatamente epicureo (non mancavano però testi di filosofia stoica) e della notevole quantità di opere di Filodemo, molti studiosi hanno attribuito la biblioteca della villa a Filodemo stesso, riconoscendovi la biblioteca del Kepos, cioè della scuola filosofica fondata ad Atene da Epicuro, che Filodemo avrebbe portato via con sé: tale ipotesi si è intrecciata con le proposte di interpretazione del programma decorativo della villa e con i tentativi di identificare il suo proprietario.
Il recupero di questi materiali nel Settecento ha segnato anche la nascita della papirologia, e ha condotto eruditi e scienziati dell’epoca a confrontarsi con le gravi difficoltà sollevate dallo svolgimento dei rotoli carbonizzati e dalla loro decifrazione. Ancora oggi, che svolgimento e lettura dei papiri della villa proseguono con tecnologie avanzate nell’Officina dei Papiri voluta dal grande filologo e papirologo Marcello Gigante, nella Biblioteca Nazionale di Napoli si conserva il complesso macchinario inventato dal padre scolopio Antonio Piaggio, conservatore delle miniature della Biblioteca Vaticana, per svolgere senza distruggerli i rotoli carbonizzati.
Ricchissimo l’apparato scultoreo che la Villa dei Papiri ha restituito, in tutto 93 rinvenimenti di sculture, 82 delle quali attualmente conservate presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli: 65 bronzi (di cui 16 statue, 17 statuette, 30 busti o teste e 2 erme) e 28 marmi (di cui 11 statue, 2 statuette e 15 erme). A queste occorre aggiungere il ritrovamento, nel corso delle recenti campagne di scavo, della testa di una statua marmorea di Amazzone, copia di un originale attribuibile a Policleto di Argo o a Cresila di Cidone, di una statua, pure in marmo, di Hera (tipo “Borghese”) e di frammenti pertinenti ad altre sculture. Il complesso scultoreo della Villa dei Papiri è collocabile cronologicamente in un periodo compreso tra il terzo quarto del I secolo a.C. e gli ultimi anni di vita del complesso. Dalle già citate lettere di Cicerone ad Attico, nelle quali spesso l’Arpinate commissiona l’acquisto in Grecia di opere d’arte per arredare le proprie ville, sappiamo che la selezione dell’apparato scultoreo di una villa di otium era una operazione complessa e delicata. È fondamentale, ad esempio, che le sculture presenti in un determinato ambiente della casa siano adeguate per soggetto alla funzione e al significato attribuiti a quell’ambiente. Cicerone fa cenno agli ornamenta gymnasiode, cioè a sculture adatte all’arredo dell’ambiente che nella sua villa di Tuscolo doveva rievocare un ginnasio greco: di questi ornamenta, possiamo riconoscere degli splendidi esempi nelle due statue bronzee di corridori, di ispirazione lisippea, rinvenuti nei pressi della natatio del peristilio rettangolare della Villa dei Papiri, e la cui presenza doveva rievocare le paradromides del ginnasio greco in cui correvano gli atleti, secondo la testimonianza di Vitruvio; ma anche nel busto in bronzo di Eracle, proveniente anch’esso dal peristilio rettangolare, nel quale la corona di ulivo lo connota esplicitamente come vincitore di gare atletiche. Il ginnasio è anche un centro di cultura e di educazione: ecco dunque la statua-ritratto dell’oratore greco Eschine, le erme e i ritratti di filosofi e poeti, non tutti di identificazione sicura, come lo splendido ritratto in bronzo dello Pseudo-Seneca: la migliore replica in nostro possesso di un volto di cui conosciamo circa 50 copie, e per il quale sono stati proposti i nomi, tra i tanti, del commediografo greco Aristofane e del padre nobile della poesia epica latina, Ennio. Nei ginnasi greci erano spesso presenti i ritratti di donatori e committenti, in molti casi personalità di spicco della vita politica; nel peristilio rettangolare della Villa dei Papiri, tra i ritratti di filosofi e poeti si dispongono quelli di numerosi dinasti ellenistici, tra i quali occorre ricordare almeno il ritratto bronzeo di Seleuco I Nicatore di Siria, quello del celebre Pirro re dell’Epiro e quello, probabile, di Demetrio Poliorcete.
La presenza di tali ritratti in questo contesto è particolarmente significativa: è probabile che compongano una celebrazione dell’imperialismo romano, alludendo a quei regni favolosi che Roma era riuscita a sconfiggere e conquistare; ma si tratta anche di figure che hanno governato i propri regni con il valore militare, l’abilità politica e, in certi casi, il supporto di filosofi assurti al ruolo di consiglieri ed educatori, come testimoniano ad esempio i rapporti di Antigono Gonata con i filosofi stoici. Una sorta di modello di ricomposizione delle istanze dell’otium e del negotium; ma, soprattutto, un modello archetipico di princeps saggio, clemente e forte, che comincia ad esercitare un fascino potente negli ultimi, turbolenti momenti della repubblica romana, preparando un terreno favorevole all’avvento di Augusto.
Tornando alla Villa dei Papiri, nel programma decorativo del peristilio rettangolare non potevano certo mancare le immagini degli dèi: innanzitutto di Hermes, divinità protettrice dei ginnasi, la cui stupenda statua in bronzo (forse la più celebre scultura della Villa), ritrovata sulla testata ovest della vasca, fronteggia la statua marmorea in stile arcaistico di Atena Promachos, che domina il peristilio troneggiando tra le colonne principali dell’esedra che si affaccia sul giardino, e, se vogliamo, illustrando per noi una lettera con cui Cicerone ringrazia Attico per l’invio di un’erma di Atena: “La tua hermathena mi piace molto: è sistemata così bene che sembra che tutto il ginnasio le sia consacrato”. Trattandosi del giardino di una casa romana, è quasi obbligata la presenza di figure del corteggio dionisiaco, così care ai Romani, adatte a far capolino tra le siepi ben curate, icone di sensualità e di gioia di vivere, in bilico tra umanità e ferinità: la natura ferina appare vinta dal vino e dal sonno in due statue in bronzo di satiri che coronano le testate della vasca, ed emerge potente nel gruppo marmoreo di Pan che si accoppia con una capra, “opera lascivissima, ma bella”, come la definì Luigi Vanvitelli. Il tema dionisiaco nella villa torna nell’atrio, decorato con una serie di statue di piccole dimensioni di satiri, sileni e putti, di pregevole fattura, molti dei quali ornavano in origine la vasca dell’impluvio.
Se è abbastanza sicura l’identificazione delle statue e delle erme disposte nel peristilio rettangolare, maggiori difficoltà si riscontrano nella ricostruzione del programma decorativo di altri ambienti della villa: non è del tutto certo, ad esempio, che, come è stato proposto, le statue in bronzo delle peplophoroi, note anche come “Danzatrici”, ritrovate nel portico del peristilio rettangolare, dovessero in origine collocarsi lungo i lati della vasca del più piccolo peristilio quadrato, da dove sarebbero state spostate per lavori di ristrutturazione in corso al momento dell’eruzione del Vesuvio. All’origine di queste statue celebri si è voluto riconoscere il modello delle Danaidi che decoravano il portico del tempio di Apollo sul Palatino a Roma, nel complesso della casa di Augusto: una citazione di un’opera pubblica assai nota, che alludeva, in senso propagandistico, alla conquista dell’Egitto ad opera appunto di Augusto. Anche negli altri ambienti della Villa dei Papiri, come nel peristilio quadrato e nell’esedra-tablino, ai ritratti di intellettuali si affiancavano ritratti di principi e condottieri ellenistici, non tutti identificati, come l’enigmatico busto virile dall’acconciatura a lunghi e stretti boccoli, la cui dignità regale è confermata dalla presenza del diadema.
In questi ambienti troviamo però anche copie pregevoli dei capolavori scultorei dei più celebri artisti greci: come l’erma del cosiddetto Doriforo in bronzo, copia dell’originale di Policleto e firmata da Apollonio di Atene, la replica più bella e aderente all’archetipo che conosciamo; l’erma, forse rinvenuta nel tablino, dell’Eracle di Policleto, da un originale databile intorno al 430 a.C.; e un’erma bronzea di Amazzone, copia di un originale attribuito a Fidia, esposta in pendant nel peristilio quadrato con l’erma del Doriforo. Si tratta di opere di notevole livello qualitativo: il proprietario di casa, chiunque fosse, doveva essere un collezionista d’arte dotato di gusto e di esperienza.
La fortunata, unica circostanza del rinvenimento di una villa completa dell’apparato decorativo e di una così ricca biblioteca ha generato numerosi tentativi di identificare il padrone di casa e di leggere nel complesso un programma decorativo unitario connesso con i modelli filosofici e culturali rivelati dalla composizione della biblioteca, a partire dal pioneristico e ammirevole studio pubblicato da Domenico Comparetti e Giulio De Petra nel 1883.
Studiosi come Pandermalis (in un articolo pubblicato nei “Mitteilungen” del Deutschen Archaeologischen Institut del 1971) e Wojcik (in una importante monografia del 1986) hanno riconosciuto nella scelta e nella disposizione delle sculture l’influsso del pensiero epicureo e l’allusione alla dicotomia otium/negotium; G. Sauron (in un articolo pubblicato nei “Mélanges de l’Ecole Française de Rome” nel 1980) ha letto invece nel peristilio rettangolare una evocazione del mondo perduto in cui aveva vissuto Epicuro, identificato con il Giardino dei Beati della tradizione orfica. Per quel che riguarda il proprietario, le ipotesi più probabili e più affascinanti propongono i nomi di Appio Claudio Pulcro (console nel 38 a.C.) uomo profondamente imbevuto di cultura ellenica e che esercitò il patronato sulla città di Ercolano, come attesta un’epigrafe rinvenuta nel teatro cittadino; e quello del già citato Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, protettore di Filodemo di Gadara, o quello di suo figlio, Lucio Calpurnio Pisone Pontefice, uomo dalla prestigiosa carriera politica, seguace di Augusto e amico di filosofi e letterati, tra cui Virgilio. Del Pontefice si è voluto riconoscere il volto in un ritratto bronzeo, forse rinvenuto proprio nel tablino della Villa dei Papiri.
Grazie alla riapertura degli scavi, è oggi possibile visitare una piccola parte della villa; ma per farsi un’idea del senso di grandiosità, di lusso, di amore del bello che il complesso doveva in origine trasmettere agli ospiti, conviene forse volare fino a Malibu, dove il magnate americano Jean Paul Getty ne ha realizzato una copia in scala al vero nella sua Getty Villa, progettata negli anni Settanta dal prestigioso studio di architettura Langdon e Wilson di Los Angeles, con la collaborazione di Jiri Frel in qualità di consulente artistico. Nella Getty Villa la struttura della Villa dei Papiri, ricostruita in base alla pianta di Karl Weber, si abbellisce delle copie delle sculture originali rinvenute nel complesso, e si combina con numerosi dettagli ripresi da altre case di Ercolano, Pompei e Stabia. Aperta nel 1974 e recentemente interessata da ampi restauri, la villa-museo di Malibu ospita la ricchissima collezione di antichità creata dal miliardario ed incrementata dopo la sua morte, spesso al centro di polemiche per le circostanze poco chiare di certe acquisizioni. Ma è dello splendido giardino della Getty Villa la maggior parte delle fotografie che, anche nei manuali di archeologia, illustrano il peristilio della Villa dei Papiri di Ercolano.