La scienza in Cina: i Ming. Introduzione
Introduzione
Sulla scienza cinese nel periodo Ming (1368-1644) esistono due punti di vista prevalenti e tuttavia discutibili: secondo alcuni in questo periodo le scienze avrebbero subito una battuta d'arresto dopo il brillante fermento intellettuale delle dinastie Song (960-1279) e Yuan (1279-1368); mentre per altri l'introduzione, a opera dei gesuiti intorno al 1600, di alcune scienze europee e delle relative tecnologie (in particolare la matematica, l'astronomia e la balistica) avrebbe rappresentato una svolta cruciale, dopo la quale tutti i progressi del pensiero scientifico sarebbero consistiti nel graduale abbandono delle tradizioni di ricerca autoctone e in una sempre maggiore fusione con la corrente principale della scienza, quella occidentale o 'mondiale'.
Dal punto di vista della conoscenza scientifica si possono utilmente distinguere tre periodi: prima del 1500; dal 1500 al 1600 ca.; e dal 1600 alla caduta della dinastia nel 1644. Il primo potrebbe ben essere definito un periodo di declino scientifico; il secondo e il terzo vedono invece germogliare nuove forme di sapere e nuove reti culturali in risposta ai cambiamenti sociali, economici e politici. La superiorità o, in ogni caso, la superiore utilità delle scienze europee, introdotte dai gesuiti verso la fine dell'epoca Ming, ha innegabilmente segnato un punto di svolta nella matematica e nella scienza astronomica e calendariale. Tuttavia, l'arrivo delle alternative europee non comportò un chiaro abbandono della conoscenza autoctona in questi campi; piuttosto incoraggiò il pensiero critico, vari sincretismi e nuove forme di ricerca storica. In altri campi delle scienze naturali, quali la medicina, i gesuiti avevano poco di interessante da offrire agli esperti cinesi, e soltanto in pieno XIX sec. le due tradizioni furono messe a confronto.
I nuovi approcci alla storia della scienza, che considerano gli aspetti sociali e culturali mostrano come finora l'indagine sulla conoscenza della Natura in epoca Ming sia soltanto agli inizi; non sono state approfondite le sue modalità di produzione e trasmissione, né sono stati compiuti confronti con altri sistemi di conoscenza, di altre epoche o di altre parti del mondo. Grazie all'esplosione dell'industria privata della stampa, avvenuta nel XVI sec., possediamo una notevole documentazione sul tardo periodo imperiale ‒ la tarda epoca Ming e la dinastia Qing (1644-1911) ‒ che, pur se in ambiti differenti, non ha nulla da invidiare alla documentazione relativa agli inizi dell'Europa moderna.
Periodizzazione
Occorre innanzi tutto chiedersi in che misura abbia senso parlare della dinastia Ming come di un periodo a sé stante nella storia della scienza cinese. Gli storici cinesi, antichi e contemporanei, hanno generalmente adottato come unità storiografiche le dinastie, non da ultimo perché era questo il modo in cui gli stessi Cinesi del periodo imperiale concepivano la continuità temporale, nonché il criterio in base al quale raccoglievano e classificavano i documenti. La corte imperiale Ming era particolarmente legata alla nozione di unità dinastica. L'imperatore fondatore, Zhu Yuanzhang (Hongwu, 1368-1398) sosteneva di aver stabilito un sistema di governo perfetto e ordinò ai suoi discendenti di non cambiare nessuno dei suoi decreti. Un'ingiunzione che ha impedito qualsiasi progresso in quei settori della scienza controllati dalle istituzioni imperiali; il caso più eclatante fu quello del calendario, mantenuto invariato malgrado l'inesattezza delle predizioni avesse ridicolizzato gli astronomi di corte.
In quanto dinastia autoctona collocata tra due periodi di dominio straniero (mongolo e mancese), l'epoca Ming può essere a ragione considerata un periodo a sé stante anche dal punto di vista politico, istituzionale e culturale; essa iniziò e finì con guerre civili e invasioni devastanti. Nel 1368 i Mongoli furono espulsi e salì al trono un discendente di origine cinese che si dedicò al ripristino delle istituzioni e dei valori tradizionali. Nel 1644 l'ultimo imperatore cinese si impiccò e gli stranieri mancesi fondarono la loro dinastia. I decenni finali contrassegnati da crisi e disastri, nonché le scarse capacità difensive delle quali aveva dato prova lo Stato, determinarono un'acuta crisi di sfiducia in molti intellettuali vissuti tra la fine dei Ming e l'inizio dei Qing. In modo analogo ai nuovi governanti Manciù, anche molti studiosi Qing raffigurarono il pensiero e la società Ming in termini di corruzione e decadenza, sebbene la loro stessa cultura affondasse le radici in quel periodo e la loro insistenza nel differenziarsi fosse più ostentata che reale.
Si può tuttavia, a buon diritto, anche considerare il periodo Ming come inserito in un arco temporale più ampio, ovvero all'interno di tendenze di lungo termine anziché di cicli dinastici. L''esplosione' della stampa durante i Ming per molti versi aveva già preso forma durante l'epoca Yuan. Molti tra gli studiosi-funzionari della tarda epoca Ming ‒ compreso l'erudito enciclopedico Xu Guangqi (1562-1633) ‒ erano profondamente impegnati negli 'studi pratici' (shixue) o di 'arte del governo' (jingshi), che da un punto di vista epistemologico costituivano una logica estensione del neoconfuciano 'studio del principio' (lixue) sviluppato durante la tarda epoca Song. Infine, l'interesse verso i 'principî naturali' (li) e i loro effetti pratici preparò il terreno al dialogo con la scienza europea introdotta dai gesuiti alla fine della dinastia.
Il crollo della dinastia Ming, così traumatico per chi lo ha vissuto in prima persona, ha in realtà provocato soltanto un singulto nell'ordine sociale e nelle configurazioni economiche, che hanno continuato a prosperare almeno fino al XIX secolo. Molti modelli caratteristici dell'attività intellettuale e scientifica del tardo periodo Ming sono fioriti nel corso dell'epoca Qing. Così gli 'studi pratici', caratterizzati da un approccio critico al rapporto tra il testo e i fatti, avrebbero preso compiutamente forma nella scuola di 'critica testuale' (kaozheng) della dinastia Qing (Elman 1984). Infine, in ambito medico era prassi comune proclamare la propria fedeltà a uno dei quattro maestri dell'epoca Jin (1115-1234) e Yuan; epoca dalla quale era stato ereditato un approccio critico nei confronti delle teorie, utilizzando i casi clinici per esplorare il modo in cui i principî cosmologici erano conformi alle circostanze specifiche. Inoltre, in epoca Ming la patologia iniziò a essere situata nel tempo e nello spazio, prestando attenzione alla specificità delle diverse fasi del ciclo vitale (pediatria, ginecologia, salute nella terza età) e concentrando l'attenzione su quel che si potrebbe definire 'ecologia della malattia' (epidemie, disturbi stagionali, epidemiologia regionale); tali ambiti di ricerca in epoca Qing raggiunsero un elevato livello di specializzazione. Perciò, per quanto riguarda le periodizzazioni, è opportuno tenere presente che la maggior parte degli storici sociali e culturali della Cina riflette sulla continuità all'interno di un periodo tardo-imperiale, che si estende dal 1500 ca. fino al 1850.
D'altra parte, forti argomentazioni possono essere addotte anche a favore di una suddivisione dell'epoca Ming in tre periodi, come indicato sopra. Dopo le devastazioni delle guerre di transizione, il primo imperatore Ming tentò di restaurare un'età dell'oro basata sulle semplici virtù. Egli vincolò alla terra gli abitanti delle campagne, fece del suo meglio per affievolire il commercio, e operò per imporre l'ortodossia confuciana in tutta la società ‒ nella fascia superiore attraverso il sistema degli esami, e in quella inferiore diffondendo nei villaggi gli editti sulla moralità. La maggior parte degli intellettuali del primo periodo Ming si accontentava di lavorare all'interno dell'impalcatura ortodossa del neoconfucianesimo della scuola Cheng-Zhu ‒ che prese il nome dai pensatori Song, i fratelli Cheng Yi (1033-1107) e Cheng Hao (1032-1085), e Zhu Xi (1130-1200); le opere scientifiche scritte o curate durante i Song e gli Yuan erano andate perdute, oppure non erano più comprese. In molti campi la prima epoca Ming sembra presentare un ristagno intellettuale, un rallentamento rispetto ai Song e agli Yuan, mentre in altri ‒ come la matematica ‒ si registra un chiaro declino.
A partire dal XVI sec. si osserva una trasformazione della scena intellettuale, che scaturisce dalla costante crescita economica del secolo precedente e da un'esplosione nel numero delle pubblicazioni. Di pari passo al fiorire delle città mercantili e a mano a mano che i proprietari terrieri acquisivano fiducia nel loro status, si è verificata la produzione di centinaia di gazzette regionali, che documentavano la storia, le pratiche dell'agricoltura, l'artigianato, la flora e la fauna locali. Nell'intero territorio i diversi lignaggi istituirono scuole elementari, biblioteche o persino accademie, finanziarono la costruzione di strade e ponti, e istituirono strutture di assistenza come ospedali, dispensari e orfanotrofi. Durante la dinastia Ming fu per la prima volta permesso ai figli dei mercanti di sostenere gli esami di Stato e dal momento in cui questi presero in mano la penna e le famiglie nobili si impegnarono (anche se timidamente) nel commercio, i confini tra la nobiltà e la classe mercantile andarono sfumando. Il trattato di matematica più autorevole dell'epoca Ming è stato scritto da un mercante-intellettuale della regione dell'Anhui, Cheng Dawei (1533-1606). Dalla tarda epoca Ming fino all'epoca Qing inoltrata, il prospero distretto mercantile di Huizhou, nell'Anhui, sul basso corso dello Yangzi, divenne un brillante centro intellettuale, famoso per i suoi studiosi e uomini di Stato, nonché per le famiglie di medici eruditi e di matematici-astronomi (Elman 1990).
Nel corso dell'ultima decade dell'epoca Ming si assiste a una rinascita di quella che potremmo definire la scienza ufficiale, non più sostenuta attivamente dalle istituzioni statali come durante l'epoca Song o Yuan, ma scaturita dalla collaborazione di funzionari impegnati nella ricerca di efficaci soluzioni ai problemi sociali per mezzo di 'studi pratici' (shixue). L'interesse era diretto soprattutto al governo del regno, ossia a 'dirigere l'epoca e aiutare il popolo' (jingji). In tale contesto, la conoscenza scientifica doveva servire a preservare lo Stato e coloro che la professavano si consideravano patrioti (aiguo). L'obiettivo di chi si dedicava agli 'studi pratici' nella tarda epoca Ming consisteva nel rafforzare lo Stato, riformando e sviluppando l'organizzazione e la tecnologia militari, incrementando la produzione agricola, migliorando i trasporti e l'amministrazione fiscale, riducendo così le diseguaglianze sociali e la povertà che incoraggiavano i disordini. Lo scopo ultimo era assicurare la vittoria dell'esercito Ming sugli avversari, in politica interna ed estera.
Per questi studiosi, dunque, i settori di ricerca più importanti erano le tecniche militari e la scienza del calendario, in entrambi i casi più avanzati in Europa che non in Cina. I gesuiti, che lottavano per legittimare la loro missione alla corte imperiale, colsero questa preziosa opportunità, offrendo i trattati europei di matematica, astronomia e balistica insieme agli strumenti e alle competenze tecniche. Il sapere occidentale, con le sue vigorose argomentazioni e le sue sensazionali applicazioni pratiche, suscitò un certo scalpore. Purtroppo questa scienza non poté salvare dal crollo la dinastia dei Ming, ma ebbe un enorme impatto sul pensiero matematico e astronomico della dinastia successiva. Non si trattò però di una semplice sostituzione delle discipline cinesi con quelle occidentali: nella tarda epoca Ming e durante i Qing, il contrasto tra i due sistemi portò molti intellettuali a elaborare il pensiero matematico e astronomico in direzione sincretica, stimolando nuove riflessioni sulla natura della propria tradizione scientifica.
Il declino
Nel momento in cui si parla di progresso o declino nelle scienze è necessario decidere quali branche delle scienze naturali siano maggiormente significative. La matematica e l'astronomia erano i settori d'avanguardia della nuova scienza moderna emergente nell'Europa del Rinascimento e le formule matematiche sono fondamentali nell'espressione dei modelli e dei risultati per la maggior parte delle scienze contemporanee. Non sorprende, dunque, che questi due ambiti siano stati adottati dagli storici comparativi delle scienze come termini di paragone del progresso scientifico in qualsiasi società. Dal momento che si può dimostrare in modo convincente che nel corso del periodo Ming si è assistito a un declino dell'attività e della conoscenza scientifica in questi due campi, si è diffusa la tendenza, specialmente tra gli storici della scienza di indirizzo comparativo, a concludere che tutte le forme della creatività scientifica abbiano subito la stessa sorte. Tuttavia, se si prendono in considerazione altri settori di ricerca ‒ come la medicina o la botanica ‒, oppure se si valuta il livello di diffusione delle conoscenze naturali tra la popolazione, è possibile interpretare la 'traiettoria' della scienza durante l'epoca Ming in modo alquanto diverso.
Per ragioni non ancora interamente chiare, durante la prima epoca Ming molte opere matematiche uscirono dalla circolazione e gli scrittori di matematica di epoca più tarda, che ripubblicarono le brillanti opere teoriche dei matematici Song e Yuan, riconobbero di non essere in grado di capirne i punti cruciali. Poiché alcune fondamentali notazioni algebriche espresse nei testi o il calcolo con le bacchette non potevano essere riportati sull'abaco, è possibile che la diffusione di questo strumento abbia contribuito a far dimenticare la matematica dell'epoca Song e Yuan.
Il caso della scienza del calendario è ancora più chiaro. L'astronomia rivestiva infatti un ruolo decisivo, sia nella Cina imperiale sia nell'Europa moderna. Tuttavia in Cina il cielo era studiato non soltanto per svelare i principî della Natura, ma anche per considerazioni di carattere politico, in quanto base per il calcolo dell'almanacco annuale. Ciascuna dinastia stabiliva per l'almanacco un proprio calendario o sistema di calcolo ben definito, la cui precisione era un segno della legittimità dinastica. L'importanza politica del controllo sul calendario era così grande che la maggior parte delle casate imperiali, compresi i Song settentrionali, cercò di restringere tutta l'attività in campo astronomico agli uffici di corte. Gli imperatori Ming attuarono un controllo molto rigido e rifiutarono di consentire qualsiasi discussione sulla riforma del calendario, sebbene i funzionari avessero cominciato a indicarne la necessità fin dal 1384. Purtroppo il primo imperatore Ming aveva adottato il calendario della dinastia Yuan, semplicemente cambiandone il nome, e gli astronomi della corte dei Ming ‒ la cui carica era ereditaria ‒ non avevano le competenze tecniche per calibrare e mantenere in funzione gli strumenti astronomici e di misurazione del tempo necessari alla loro professione, tanto che intorno alla fine del periodo Ming l'incompetenza degli astronomi di corte e l'imprecisione delle loro predizioni diventarono eclatanti.
Questa situazione fornì una splendida opportunità ai gesuiti, i quali potevano in ogni occasione dimostrarsi superiori ai colleghi cinesi, grazie a strumenti e metodi di calcolo efficienti. Nel 1629 i gesuiti predissero precisamente una eclissi che gli astronomi di corte avevano calcolato male, e l'imperatore Chongzhen (1628-1644) decise di dare il via a un programma di riforma calendariale che prevedeva il loro supporto. Ciononostante, gli argomenti politici e culturali avversi al cambiamento del calendario dinastico apparivano all'imperatore ancora così forti da approvare il calendario gesuita soltanto nel 1643, un anno prima della caduta della dinastia. Toccò all'imperatore Kangxi (1662-1722) formalizzare l'adozione delle teorie, dei metodi e degli strumenti occidentali nell'Ufficio astronomico dei Qing.
La natura autocratica dello Stato Ming è stata spesso criticata per gli effetti negativi sulle scienze; oltre a provocare il deterioramento della ricerca e della competenza nell'Ufficio astronomico, i governanti Ming hanno negato l'accesso all'informazione su qualsiasi materia considerata di importanza strategica, come le tecniche militari, quali l'uso dell'artiglieria, e la cartografa nautica con l'imposizione del bando al commercio marittimo estero. Le collezioni imperiali furono precluse a tutti fuorché agli alti funzionari in servizio. Laddove gli imperatori delle dinastie Song e Yuan avevano commissionato numerose importanti compilazioni scientifiche ed erudite e avevano ordinato ai loro funzionari di divulgare i progressi nell'agricoltura e nella medicina a beneficio della gente comune, in epoca Ming le pubblicazioni imperiali finirono con la Grande enciclopedia dell'era Yongle (Yongle dadian). Lo Stato gradualmente ritirò il suo supporto ai dispensari, agli ospedali e ai lavori pubblici, lasciando progressivamente tali responsabilità all'aristocrazia locale.
Tuttavia gli imperatori Ming insistevano sul fatto che i loro funzionari per governare in modo efficace necessitavano di una competenza tecnica e all'inizio del XV sec. introdussero negli esami provinciali una prova obbligatoria che includeva cinque domande di carattere tecnico (v. cap. XLII). Tutti i concorrenti dovevano, quindi, familiarizzare con alcuni principî basilari della storia dell'astrologia, dell'astronomia matematica, della scienza del calendario, degli armonici e delle anomalie naturali, sviluppando così uno spirito critico di ricerca. Una certa conoscenza tecnica in tali settori, anche se presumibilmente non molto avanzata, si diffuse così tra quella parte crescente della popolazione che sosteneva gli esami provinciali e che a cavallo fra XVI e XVII sec. ammontava a un diplomato ogni 300 persone.
Si potrebbe anche osservare che paradossalmente, negando ai prìncipi di stirpe reale l'accesso alle cariche pubbliche, gli imperatori Ming produssero molti insigni studiosi, compresi bibliofili, promotori di studi scientifici, e scienziati veri e propri. Un esempio fu Zhu Xiao, principe di Zhou (1360-1425), la cui Farmacopea per combattere la carestia (Jiuhuang bencao), del 1406, descrive 414 specie botaniche, delle quali soltanto 138 figuravano in opere precedenti; suo fratello minore, Zhu Quan, principe di Ning (1378-1448), era interessato all'alchimia, alla mineralogia, all'acustica e alla geografia; invece Zhu Zaiyu, principe di Zheng (1536-1610 ca.), inventò il sistema temperato equabile dei 12 toni e condusse studi critici sperimentali sui tubi sonori cosmologici utilizzati nell'Ufficio astronomico.
Torniamo adesso alla questione del declino della matematica durante il periodo Ming. Esso ha infatti sicuramente rappresentato una frattura, nel corso della quale le grandi opere teoriche delle dinastie Song e Yuan uscirono di circolazione, tanto da essere fraintese quando erano citate. Sembra evidente che durante i Ming non vi furono aggiunte significative alla serie dei problemi matematici risolti. Tuttavia, qui come in altri campi della conoscenza scientifica, grazie alla stampa, alla commercializzazione e alla crescente partecipazione agli esami di Stato, rinveniamo una notevole diffusione della conoscenza e delle tecniche necessarie a tenere i conti, a eseguire rilevamenti agricoli, a compilare i catasti, ecc. Seguendo la tradizione dei Song meridionali, gli interessi della ricerca matematica del tardo periodo Ming riflettevano le necessità pratiche dei mercanti o dei burocrati. Cheng Dawei, l'autore delle Origini generali dei metodi matematici (Suanfa tongzong), del 1592, apparteneva infatti a una famiglia di mercanti, e prima di dedicarsi agli studi matematici si era impegnato nel commercio. Poiché Cheng ebbe la possibilità di compiere diversi viaggi nell'intero paese e in tali occasioni di acquistare libri, fu in grado di inserire nel suo testo la più antica bibliografia matematica pervenuta sino a noi.
Uno dei fattori più significativi nella matematica del XVI sec. fu l'ampia diffusione dell'abaco, l'ingegnoso precursore del moderno calcolatore elettronico. Molti testi di matematica pubblicati durante i Ming, comprese le Origini generali dei metodi matematici, fornivano le trasformazioni dei calcoli che in precedenza erano effettuati con le bacchette; le procedure erano spesso espresse in forma rimata, facilmente memorizzabile. Sebbene l'ampia utilizzazione dell'abaco possa difficilmente essere considerata un progresso nella teoria matematica, si tratta in ogni caso di un cambiamento cognitivo di considerevole interesse; la transizione dalle bacchette all'abaco implica infatti differenti forme di espressione del sapere. Lo stesso accade nel testo intitolato Trattato sui metodi di calcolo [occidentale e orientale] (Tongwen suanzhi), del 1613, presumibilmente una traduzione dell'opera di Cristoforo Clavio (1537-1612) firmata congiuntamente da Matteo Ricci (1552-1610) e Li Zhizao (1565-1630), nella quale erano introdotte l'aritmetica e la trigonometria occidentali. Questo testo infatti illustra il modo occidentale di scrivere i numeri ed espone gli algoritmi necessari per aggiungere, sottrarre, moltiplicare e dividere usando carta e penna piuttosto che l'abaco.
È da notare che la retorica del declino scientifico in epoca Ming è stata sviluppata per la prima volta dai gesuiti e da alcuni tra i loro fautori. Una posizione che non deve sorprendere, se si considera che la sorte della loro missione alla corte Ming dipendeva dal successo nel dimostrare la superiorità della conoscenza scientifica occidentale. Matteo Ricci, nella sua presunta traduzione di Clavio, includeva importanti elementi delle Origini generali dei metodi matematici, senza tuttavia riconoscerne mai l'esistenza e senza tentare di comprendere in cosa l'abaco potesse essere interessante da un punto di vista matematico. Xu Guangqi, probabilmente il più entusiasta fautore delle ragioni cristiane e della scienza introdotta dai gesuiti, sembra abbia disdegnato le precedenti conquiste matematiche cinesi, o comunque tutte quelle posteriori all'incendio dei libri voluto dall'imperatore Qin Shi Huangdi (221-210) nel III sec. a.C.
Una posizione differente è quella di Li Zhizao e di quanti hanno ammesso l'esistenza di una tradizione matematica cinese ancora in uso, traendo a volte profitto da questo confronto con la conoscenza occidentale per cominciare a riflettere sul proprio passato in modo nuovo. Nel comparare i metodi occidentali con quelli cinesi Li Zhizao fu fortemente colpito dalle loro somiglianze, al punto da asserire che le menti sono le stesse, i principî gli stessi, e i numeri naturali del cielo e della Terra sono gli stessi in qualunque luogo. Non fu tuttavia in grado di spiegare con precisione quale legame vi fosse tra le formule cinesi e quelle occidentali, e concluse che i metodi occidentali erano superiori (Chemla 1997, 1999). Matteo Ricci, nella prefazione alla traduzione di Euclide che pubblicò insieme a Xu Guangqi, scrisse che i matematici Ming insegnavano al popolo i metodi, ma ne ignoravano le spiegazioni. Questo giudizio non soltanto orientò il tono degli studi a venire sulla matematica e in generale sulla scienza in Cina, ma contribuì anche a cristallizzare, riguardo al ragionamento matematico occidentale, uno stereotipo spesso lontano dalla realtà storica. I gesuiti espressero un giudizio analogo sulla cartografia, tanto da non considerare i rilevamenti effettuati nel periodo Ming come mappe vere e proprie; infatti, per raggiungere una serie di obiettivi diversi, per la loro compilazione erano utilizzate tecniche differenti da quelle europee. Sarà soltanto in tempi recenti che gli storici arriveranno a esplorare la ricchezza della cartografia Ming.
L'influenza di Wang Yangming
Un fattore spesso indicato come causa dell'atrofizzarsi del pensiero scientifico durante l'epoca Ming, oltre la presenza di uno Stato autocratico, è la dottrina introspettiva di Wang Yangming (1472-1529). Wang criticava ferocemente i contemporanei che applicavano il neoconfucianesimo della scuola Cheng-Zhu, dottrina che l'imperatore Yongle (1403-1424) aveva confermato come ortodossia filosofica della dinastia, accusandoli di corruzione e incitando i propri seguaci a coltivare in sé stessi l'onestà.
I neoconfuciani cercavano di discernere i principî (li) del Cosmo e dei singoli fenomeni attraverso l''investigazione delle cose' (gewu). Allo scopo di afferrare il vero significato delle cose, il gewu abbinava lo studio dei Classici all'osservazione diretta della Natura, che poteva includere la consultazione di contadini o di altre persone direttamente impegnate nel mondo materiale. Durante i Song e gli Yuan, questo metodo ha prodotto alcune affascinanti indagini naturalistiche ed è stato collegato all'emergere di una 'rete concettuale a maglie larghe', maggiormente in grado di gestire la variabilità delle realtà naturali rispetto al formalismo della teoria classica dello yin-yang e delle Cinque fasi della dinastia Han.
Wang Yangming, che attrasse molti entusiasti seguaci in tutta la società della tarda epoca Ming, sosteneva invece che i principî del Cosmo e dell'ordine sociale fossero da ricercare non nella Natura, ma all'interno di sé stessi. Questo approccio introspettivo difficilmente poteva favorire lo sviluppo delle scienze naturali, anche se l'enfasi posta da Wang sulla coltivazione di sé ben si sposava con il crescente interesse per l'alchimia interna (neidan) e con le tecniche taoiste di esercizio fisico, respirazione e meditazione, che iniziavano a occupare un posto di primo piano nella medicina Ming, nel quadro di una generale attenzione verso il nutrimento della vita (yangsheng; Furth 1999). È degno di nota che Wang incoraggiasse le donne e le persone comuni a studiare le sue dottrine; ciò rappresenta un altro esempio della larga diffusione della cultura durante la tarda epoca Ming, insieme con il disseminarsi nei villaggi e nelle prefetture di scuole fondate dalle tradizioni familiari locali e con la crescente disponibilità di libri.
Tempo e luogo
In tarda epoca Ming, la reazione all'idealismo radicale delle dottrine di Wang Yangming è stata un fattore determinante nella rivitalizzazione dell'indagine nota come shixue ('studi pratici'). Non c'è da stupirsi che in un'età mercantile come quella Ming fossero di scena il pragmatismo e il materialismo tanto quanto l'idealismo. Le comunicazioni si potenziavano, i beni circolavano e la gente viaggiava di più; i casati dei proprietari terrieri crescevano di numero e d'influenza e aumentava l'interesse per le storie regionali e familiari come per quelle dinastiche, per i tratti caratteristici delle diverse località e per il significato delle differenze regionali. Questa tendenza contribuì all'approfondimento delle teorie dei periodi Song e Yuan sulla contestualizzazione dei principî naturali.
L'esplosione dell'industria tipografica, verificatasi verso la metà dell'epoca Ming, rese disponibili in edizione economica opere popolari comprendenti i Classici, le enciclopedie, i testi di medicina e di geomanzia. Furono prodotte anche ristampe anastatiche di alta qualità delle edizioni di epoca Song e Yuan; di conseguenza le biblioteche e le collezioni private si arricchirono e un numero crescente di persone fu impegnato per gli esami di Stato, si iscrisse alle accademie private, si unì in gruppi di studio, o semplicemente acquistò libri e studiò per diletto. L'esposizione a differenti idee e a diversi ambienti favorì la nascita di uno spirito critico nei confronti dei Classici e della cultura ufficiale (nel cui ambito vanno annoverate le critiche alle inesattezze dell'Ufficio astronomico). Come nel caso degli studi di epoca Song sugli Han, o degli studi di critica testuale del periodo Qing, gli studiosi Ming non negarono mai la verità del contenuto dei Classici, né la loro funzione di capisaldi. Talvolta criticarono le fallacie interpretative o le alterazioni dei testi, ma più frequentemente insistettero sulla necessità di modulare i principî universali in funzione delle peculiarità temporali e spaziali. I principî non erano leggi naturali nel senso occidentale, ma piuttosto una logica del cambiamento, la cui espressione in ogni caso specifico dipendeva dal contesto e dalla collocazione nel tempo e nello spazio, oltre che dalla propensione interna (shi, 'fenomeno') implicata nel singolo fenomeno (Jullien 1992).
La medicina offre un buon esempio. Durante la tarda epoca Ming, le teorie mediche non rimasero confinate a un ristretto circolo di professionisti, ma divennero una componente del repertorio culturale degli intellettuali. I candidati che fallivano gli esami di Stato ‒ compreso Li Shizhen (1518-1593), l'autore della Classificazione ragionata della farmacopea (Bencao gangmu) ‒ spesso si rivolgevano alla pratica medica come alternativa socialmente accettabile, competendo per la clientela con i dottori dei lignaggi ereditari. Inoltre aumentò il numero delle famiglie che potevano permettersi di consultare un medico e la caduta dei costi di stampa portò alla pubblicazione di innumerevoli trattati di medicina. L'apertura di questa disciplina alla concorrenza comportò lo sviluppo di numerosi dibattiti sulle diverse teorie e terapie.
I maestri di epoca Jin e Yuan avevano suggerito che le malattie andavano incontro a cambiamenti nel corso del tempo; infatti dall'epoca della compilazione dei Classici antichi erano comparse nuove patologie che avevano richiesto formulazioni nuove. Nel periodo Ming, le ricognizioni storiografiche compiute da medici come Wang Lun (1484) e Xu Chunfu (1566) aggiunsero una dimensione spaziale alle analisi. Mentre le opere degli antichi canoni medici venivano dal Nord, durante i Ming la maggioranza della popolazione viveva nelle province del Sud e i grandi centri dell'attività intellettuale, compresa la medicina, erano le città del basso corso dello Yangzi. Molti dottori erano interessati alle modalità con cui la differenza ambientale tra nord e sud, espressa in termini di qi locale, si traduceva in differenze di costituzione e di predisposizione alla malattia, nonché nel modo in cui questa si manifestava. Tale attenzione alla storia e al luogo, tipica dei teorici della medicina Ming, trovò un'espressione definitiva durante i Qing, quando le teorie sul qi locale e sui suoi effetti sull'organismo umano raggiunsero un pieno sviluppo.
Proseguendo nella via tracciata dai famosi dottori di epoca Jin e Yuan, i teorici della medicina Ming cercarono di collegare i principî naturali alle loro manifestazioni in contesti specifici, grazie all'analisi di singoli casi clinici e al loro raggruppamento all'interno di categorie. Mentre i primi autori di testi medici avevano incluso soltanto sporadicamente i casi clinici nelle loro opere, fu durante i Ming che questi divennero un genere standard della letteratura medica. La comparazione dei casi rese possibile discutere gli effetti dell'età, delle abitudini, o delle stagioni, sulla manifestazione e sull'evoluzione della malattia.
Attraverso lo studio dei casi clinici, i dottori Ming iniziarono a considerare l'esperienza (yan, un termine che figura spesso nei titoli delle opere mediche di quest'epoca) quale necessario complemento alla teoria nella spiegazione dei principî. In medicina l'esperienza si otteneva con la pratica clinica, ma una sperimentazione sui pazienti sarebbe stata contraria all'etica. Tuttavia, in altri domini della conoscenza, studiosi come Zhu Zaiyu e Xu Guangqi (Jami 2001) effettuarono esperimenti volti a sottoporre le teorie alla prova dei fatti. Ne è un esempio lo studio storico e regionale condotto da Xu Guangqi sulle condizioni in cui normalmente si verificava lo sciamare delle cavallette. Attraverso l'analisi sistematica di tutta la documentazione disponibile, nel passato e nel presente, Xu fu in grado di collocare nelle zone paludose il punto d'origine degli sciami e d'individuare le condizioni climatiche che rendevano più probabile il fenomeno, descrivendo anche il comportamento degli animali in tali situazioni. In tal modo, fu in grado di suggerire metodi per localizzare ed eliminare le cavallette all'inizio del ciclo, evitando i danni maggiori (Bray 2001).
Moralità e scopo della scienza
Per la maggior parte dei pensatori della Cina Ming, la conoscenza e l'etica erano inseparabili, come dimostra il caso degli studi pratici, condotti da sedicenti patrioti con l'obiettivo di salvare il regno. Nel 1639, esattamente un anno dopo aver pubblicato il grande compendio Raccolta di documenti sull'arte del governo della dinastia Ming (Huang Ming jingshi wenbian), che comprendeva documenti relativi alla gestione dello Stato ‒ dalla balistica alla prevenzione delle inondazioni, fino alle relazioni estere ‒ il brillante studioso Chen Zilong (1608-1647) e il suo gruppo di collaboratori pubblicarono un'edizione postuma del Trattato completo di amministrazione agricola (Nongzheng quanshu), la grande opera lasciata incompiuta da Xu Guangqi. Nella prefazione Chen scrive: "sia gli studi cui [Xu Guangqi] si dedicò per tutta la vita, sia l'attenta osservazione dei fenomeni naturali e sociali avevano come scopo l'applicazione pratica della conoscenza e quello che più lo interessava erano i problemi dell'agricoltura" (Nongzheng quanshu jiaozhu, Fanli, pp. 4-5).
La quantità di argomenti cui fa riferimento Chen evidenzia quanto sia problematico valutare l'attività scientifica Ming nei termini della gerarchia occidentale delle scienze. Potremmo, tuttavia, pensare a due contrastanti raggruppamenti relativi alle scienze naturali tra gli intellettuali Ming. Nella loro qualità di funzionari pubblici, gli studiosi pratici erano interessati a quei rami delle scienze naturali ‒ quali l'agronomia, l'idraulica, l'astronomia e la balistica ‒ che potevano migliorare il benessere generale della popolazione e preservare lo Stato. Gli studiosi privati radicati nei lignaggi locali, le cui fonti di prosperità erano le terre e forse il commercio, erano invece probabilmente più inclini a una categoria di studi naturalistici che includeva la medicina, l'alchimia interna, la divinazione, la geomanzia, lo studio delle piante locali, l'agrimensura e la contabilità; studi che assicuravano fortuna e prosperità alla famiglia, benessere e lunga vita agli individui (Bray 1997; Brook 1998; Furth 1999).
La comunicazione della realtà: linguaggio e immagine
Nell'educazione e nel modo di esprimersi dell'élite del periodo Ming, la poesia e la metafora letteraria rivestivano una certa importanza. In quest'epoca molte forme del linguaggio classico usate dagli studiosi si erano talmente allontanate dal linguaggio comune da risultare incomprensibili a coloro che non erano letterati, compresi quanti erano in possesso di un'educazione di base.
Ciò d'altronde non significa che il linguaggio classico non potesse essere usato al di fuori della stretta cerchia dei letterati. Esisteva infatti anche una letteratura tecnica, che vantava una certa antichità, che, per quanto scritta in cinese classico, era composta in uno stile diretto, caratterizzato da termini semplici, spesso accuratamente definiti, che eliminavano le ambiguità ed esprimevano chiaramente i concetti. Testi di questo genere spesso erano comprensibili anche ai non eruditi e comprendevano numerosi scritti di scienza naturale, tra i quali le opere di agronomia, alcuni libri di medicina, e molti settori degli studi pratici. Anche le enciclopedie popolari e i manuali a uso delle famiglie, che proliferarono nel XVI sec., erano scritti in uno stile classico semplice. Al loro interno si potevano trovare capitoli che riguardavano la medicina, le prescrizioni, la geomanzia e la divinazione, la contabilità e l'agrimensura, nonché argomenti di etica, descrizioni di rituali, trattazioni storiche e manuali per la redazione di lettere. Si tratta di opere che hanno contribuito a diffondere diversi tipi di scienze naturali e di tecniche tradizionali tra gli strati medi della società.
Durante l'epoca Ming, però, la conoscenza scientifica non fu trasmessa soltanto grazie a uno stile di scrittura diretto e definitorio. Gli intellettuali comunicavano il sapere tecnico anche mediante un linguaggio poetico, in quanto la rima serviva come ausilio mnemonico per i non letterati o per chi lo era soltanto parzialmente. Le prescrizioni mediche o le configurazioni geomantiche, per esempio, erano spesso versificate in forma di ballate per l'uso popolare. Ancor più interessante sotto il profilo comparativo è l'uso della metafora poetica per esporre realtà naturali complesse. Come esempio possiamo considerare quella che è stata definita 'conoscenza tattile' (Kuriyama 1999), collegata alle strategie adottate dagli scrittori cinesi di medicina per rendere in parole le sensazioni tattili. I termini di base per la definizione del polso sono rimasti sostanzialmente stabili a partire dalla loro prima formulazione da parte di Wang Shuhe (210-286 ca.) nel Canone della diagnostica del polso (Maijing), anche se sono stati continuamente rielaborati dai medici delle epoche successive. Il linguaggio dei polsi si esprime attraverso la metafora, non attraverso la definizione. Un polso ruvido era descritto 'come segare una canna di bambù' oppure 'come sabbia bagnata dalla pioggia'. Il Canone descrive un polso fluttuante in questi termini: "appoggiando il dito, c'è pienezza, premendo a fondo, c'è insufficienza"; il medico del periodo Ming, Li Shizhen, raffinò la descrizione: "è come una brezza sottile che soffia sulla schiena di un uccello. È quieto e frusciante come baccelli d'olmo che cadono, come un pezzo di legno che galleggia sull'acqua, come foglie di scalogno fatte scivolare lievemente fra le dita". Lo scopo del linguaggio non è definire fatti, ma esprimere percezioni (Kuriyama 1999). La metafora guida il neofita ad afferrare le sottili differenze tra i ventiquattro tipi fondamentali di polso, in modo da poter classificare con sicurezza il tipo di palpito percepito sotto le dita.
La tradizione medica europea, a iniziare da Galeno, ha diffidato della capacità delle parole di rendere in modo non ambiguo sensazioni come quelle così determinanti nella sfigmologia. Al contrario, i Cinesi credevano che le caratteristiche qualitative di un fenomeno naturale potessero essere distinte chiaramente con tutti i sensi, non soltanto mediante la vista, e che un linguaggio evocativo potesse esprimerle con precisione.
Vista la completa unità del Cosmo, gli stessi modelli di flusso e di ritmo potevano essere esperiti in campi che a noi appaiono totalmente separati: così la pulsazione (mai) si applica non soltanto alla circolazione del qi nei meridiani del corpo umano, ma anche al ritmo lineare della calligrafia, o alle forme dinamiche delle rocce (Hay 1994; Jullien 1992). Nello studiare i fenomeni naturali per individuarne i principî, un osservatore cinese era attento ad aspetti che noi potremmo considerare appartenenti a un dominio diverso ‒ quello estetico dell'arte o della poesia ‒ che contempla, quale caratteristica inerente a ogni fenomeno naturale, una sfumatura emozionale. La teoria delle Cinque fasi collegava emozioni, stagioni, colori, sapori, toni musicali e varietà climatiche, radicando profondamente queste dimensioni dell'esperienza negli organi del corpo e nel suo stato di salute o di malattia. L'esperienza in un dominio accresceva la comprensione degli altri; una metafora espressa nei termini di un'immagine visiva, di un suono o di uno stato d'animo poteva chiarire una sensazione proveniente dalle dita. Essendo la metafora una componente essenziale del linguaggio delle scienze naturali, non dovrebbe stupire il fatto che Cheng Maoxian (n. 1581), un medico letterato che praticò a Yangzhou nel primo e secondo decennio del XVII sec., abbia scelto di presentare i suoi casi clinici innanzitutto in un circolo di poesia (Furth 1999).
In quanto metafore, le parole assumevano un senso solo se il contesto o l'esperienza vi infondevano la vita. Nella tradizione confuciana, l''investigazione delle cose' ha avuto inizio con lo studio delle parole antiche, il cui vero significato si chiarì grazie all'ascolto dei rumori naturali in ambienti selvaggi. Il Libro della Via e della Virtù (Daode jing) dichiara che le parole non potranno mai afferrare adeguatamente la natura del mondo, complessa e in continua trasformazione. Per sviluppare un maggiore intuito, la tradizione taoista ha incoraggiato gli esercizi fisici o la meditazione sulle immagini; la poesia, la canzone, i movimenti del corpo nella ginnastica alchemica interiore e la contemplazione delle immagini (tu), tutto contribuiva a una più piena comprensione dei principî cosmici e delle loro manifestazioni nei singoli fenomeni.
Per i letterati la parola e l'immagine si completavano a vicenda, per quanto ‒ inaspettatamente ‒ sembra che accordassero maggior importanza a quest'ultima, definendo l'immagine come l'ordito, e la scrittura (shu) come la trama della comunicazione. Gli illetterati o i semi-letterati potevano comprendere le illustrazioni ma non gli ideogrammi, motivo per cui durante i Ming le immagini erano molto apprezzate come strumento educativo. Nella tarda epoca Ming le illustrazioni xilografiche dei testi raggiunsero il loro apogeo, anche se potevano operare secondo modalità che ci appaiono opposte dal punto di vista epistemologico. Esse spaziavano dai diagrammi mistici su cui meditare, del tipo che vediamo nei testi per gli autodidatti del periodo, ai disegni tecnici. Alcuni di questi ultimi, insieme al testo che li accompagnava, fornivano una descrizione sufficientemente accurata di un apparecchio o di un processo, mentre altri erano alquanto fuorvianti.
Nel considerare il potenziale educativo delle illustrazioni, non dovremmo dimenticare che la cultura materiale di tarda epoca Ming era satura di immagini (Clunas 1997) e che molte persone, allora come oggi, preferivano i libri illustrati. L'enciclopedia popolare di Wang Qi, il Compendio illustrato delle Tre potenze (Sancai tuhui), del 1609, ruotava completamente intorno alle figure; mentre le rozze e talvolta scorrette illustrazioni dell'edizione del 1596 della Classificazione ragionata della farmacopea di Li Shizhen non furono mai viste dall'autore, che morì nel 1593, poiché furono aggiunte frettolosamente, su pressione degli editori, per garantire le vendite.
Mentre in Europa il disegno tecnico e le illustrazioni andarono di pari passo con le invenzioni e in epoca rinascimentale apparvero i primi resoconti tecnici di tutta una serie di processi produttivi di base, come l'estrazione mineraria e la metallurgia, durante la tarda epoca Ming, malgrado l'ampio sviluppo economico e materiale, si produssero poche illustrazioni o descrizioni testuali di procedimenti tecnici. Probabilmente questo è un campo della produzione culturale Ming che resta ancora da esplorare.
Le tecniche applicate nelle produzioni agricole, legate alle coltivazioni e all'irrigazione, e nella manifattura tessile erano considerate occupazioni fondamentali, degne dell'attenzione degli intellettuali. Sebbene queste tecniche siano descritte abbastanza ampiamente nelle fonti Ming, le illustrazioni sono per lo più copiate o adattate dalla serie di pitture dell'Agricoltura e sericoltura illustrate (Gengzhi tu) di epoca Song (1145) e dal Trattato di agricoltura (Nongshu, 1313) di Wang Zhen, senza compiere nessuno sforzo per rendere visivamente le più recenti modifiche descritte nei testi. In epoca Ming anche i trattati di ingegneria militare erano illustrati e così le opere sulla produzione del sale risalenti ai periodi Song e Yuan, che erano ancora in circolazione. A partire dalle fonti di epoca Ming è possibile ricostruire resoconti abbastanza soddisfacenti di alcuni ambiti tecnici, come la progettazione e la gestione degli spazi domestici; si tratta di assemblare le diverse fonti, utilizzando le opere sui rituali, sulla geomanzia e sulla carpenteria, come anche i capitoli delle enciclopedie popolari che riguardano le case e i mobili (Bray 1997, 2000). Tuttavia, non sapremmo quasi nulla delle tecnologie usate in alcuni settori chiave dell'economia come l'estrazione mineraria, la metallurgia e la lavorazione della porcellana, se non fosse per un'opera apparsa alla fine dell'epoca Ming, Lo sfruttamento delle opere della Natura (Tiangong kaiwu), pubblicata nel 1637 da Song Yingxing (n. 1587), che riscosse un certo successo, tanto che ne furono stampate due edizioni prima della caduta dei Ming nel 1644. È necessario sottolineare, però, che l'autore stesso ha presentato questo testo come un libro per dilettare i lettori e non come un manuale per la produzione.
Un altro genere letterario che durante la tarda epoca Ming aveva una posizione di primo piano erano le guide, che spesso contenevano informazioni incidentali sulle tecniche di produzione. Esse spaziavano dalle monografie rivolte agli intenditori di pittura o di lacche, alle sezioni delle enciclopedie popolari dedicate ai mobili, alla ceramica o ai calamai di pietra e si rivolgevano a un pubblico che spaziava dalle persone facoltose ai semplici benestanti. Nella tarda epoca Ming le competenze che riguardavano i beni di consumo raffinati costituivano un prodotto molto richiesto, alla stessa stregua delle conoscenze mediche o geografiche (Clunas 1991; Brook 1998). Tuttavia, nell'austera atmosfera della prima dinastia Qing, questo tipo di guide scomparve del tutto e Lo sfruttamento delle opere della Natura è rimasta la nostra sola fonte delle descrizioni tecniche di molti processi produttivi ed estrattivi adottati in Cina fino al XIX secolo.
I contatti scientifici e l'impatto della scienza occidentale
Il cinese scritto fungeva da lingua franca sia all'interno della Cina sia nei rapporti con gli altri Stati dell'Estremo Oriente, fornendo un mezzo di trasmissione del sapere tecnico e naturale. Durante il periodo Ming, tra gli Stati dell'Asia orientale vi furono scambi di idee, di testi e di materiali concernenti la conoscenza della Natura. Sebbene il flusso fosse prevalentemente dalla Cina a quelli che erano considerati i suoi Stati vassalli ‒ il Giappone, la Corea e il Vietnam ‒ questi possedevano forti tradizioni locali e attinsero all'erudizione cinese in modo selettivo e critico.
Verso la fine dei Ming, con l'interruzione dei rapporti diretti tra il Giappone e il continente, per volere del fondatore del regime Tokugawa (1600-1868), si verifica il primo passo nella direzione di quello che sarebbe diventato un drammatico ribaltamento del sinocentrismo intellettuale. La scienza giapponese, infatti, si sviluppò vigorosamente in nuove direzioni, in parte sotto lo stimolo intellettuale delle opere occidentali introdotte grazie al porto di Nagasaki, l'unico dedicato al commercio estero. Alcuni sviluppi furono connessi alla scienza occidentale, altri furono autonomi, altri ancora continuarono a essere in rapporto con i testi cinesi, come la rinascita matematica del primo periodo Tokugawa, che iniziò con l'introduzione delle Origini generali dei metodi matematici (Suanfa tongzong, del 1592) di Cheng Dawei e la scoperta dell'Introduzione allo studio della matematica (Suanxue qimeng) di Zhu Shijie, del 1299, pubblicato nel 1658 (Horiuchi 1994). Difatti nel 1827 Kurimoto Masayoshi (1756-1834) scrisse che "il principiante dovrebbe svolgere studi cinesi per il corpo e studi occidentali per le ali" (Sugimoto 1997-98, I, p. 230).
I gesuiti compresero subito che la loro speranza più fondata di proselitismo in Cina risiedeva nell'apprendere il cinese letterario, nello studiare i Classici confuciani e nell'abbigliarsi e comportarsi come gli studiosi cinesi, allo scopo di conquistarsi l'attenzione e il rispetto dell'élite governativa. La scienza doveva servire da strumento per i loro scopi religiosi. Quando Matteo Ricci e i suoi compagni introdussero le tavole e gli strumenti astronomici occidentali, e insieme con Xu Guangqi tradussero Euclide, era loro intenzione dimostrare il potere trascendente e la superiorità della ragione cristiana. Nel tardo periodo Ming e nel primo Qing, la fiera opposizione dei notabili cinesi all'astronomia occidentale era basata su una visione del significato della scienza consona a quella dei gesuiti: non si trattava di una questione solo tecnica bensì religiosa, e in quanto tale rappresentava una minaccia all'ordine cosmico (ossia politico e sociale) della Cina.
Le idee importate dai gesuiti portarono a qualche radicale fraintendimento dell'eredità scientifica cinese. Si consideri il caso della sfericità della Terra. Entrambi gli antichi modelli cinesi dell'Universo ‒ la sfera celeste (huntian) e la volta emisferica (gaitian) ‒ postulavano una Terra piatta. Il primo tuttavia descriveva la Terra come immersa nei cieli alla stregua di un tuorlo nell'uovo, significando che essa è totalmente circondata dal cielo. Quando Matteo Ricci introdusse la cosmologia tolemaica, molti Cinesi rimasero semplicemente increduli. Ricci citò l'analogia tuorlo-uovo dalla cosmologia della sfera celeste, sperando di suggerire che gli antichi Cinesi avevano concepito la Terra come un globo, e di legittimare così la sua stessa versione. Anche Mei Wending (1633-1721), considerato dagli studiosi Qing il più eminente astronomo del tempo, iniziò la sua argomentazione sulla sfericità della Terra citando la cosmologia della sfera celeste, dimostrando così che la ricerca di antiche radici cinesi per le conoscenze straniere era una strategia proficua. Su questa scia, tanto Fang Zhongtong (1634-1698) quanto Huang Zongxi (1601-1695) argomentarono, sulla base dei loro studi su testi antichi come lo Gnomone dei Zhou (Zhoubi), che le ricerche astronomiche dei gesuiti erano prefigurate in questi lavori.
L'idea di radici condivise, ovvero di principî universali, condusse molti intellettuali a immaginare la possibilità di una sintesi armoniosa tra la scienza gesuitica e quella cinese. Originariamente fu Xu Guangqi a sostenere che era possibile fondere l'astronomia cinese e quella occidentale. Appena dopo la morte di Xu, l'imperatore Chongzhen ordinò agli astronomi di corte, sia occidentali sia cinesi, di unire le loro risorse per elaborare un calendario coerente. A questo punto gli astronomi occidentali sostennero che i due sistemi erano di fatto incompatibili e che se si fossero adottati metodi occidentali accurati, l'astronomia cinese avrebbe dovuto essere abbandonata. Questo fu quanto accadde: il nuovo imperatore manciù mise un gesuita a dirigere l'Ufficio astronomico, furono ufficialmente adottati strumenti astronomici, tavole e computazioni occidentali, e in Cina l'astronomia si trasformò definitivamente.
Nella matematica non fu necessaria una competizione di questo tipo. I gesuiti introdussero la geometria, mentre la matematica cinese tradizionale si concentrava sull'algebra e l'aritmetica, di modo che vi furono meno ostacoli alla loro convivenza. Xu Guangqi stimò la matematica occidentale ampiamente superiore per l'attenzione che dedicava alle dimostrazioni e ritenne che potesse essere usata per spiegare la matematica cinese. Tuttavia quando Li Zhizao comparò metodicamente i due sistemi, gettò le basi per dimostrare che la matematica cinese conteneva certi tipi di operazioni che non esistevano affatto in quella occidentale, come il metodo fangcheng ('calcoli facendo uso di tabelle', così denominato in quanto in esso si risolvevano i problemi organizzandone i dati in una tabella) per risolvere sistemi di n equazioni lineari in n incognite (Chemla 1997). Durante i primi anni della dinastia Qing diversi studiosi tentarono di sintetizzare le due matematiche, sebbene nello spirito più della filosofia neoconfuciana che di quella cristiana, causando così una forte ripresa d'interesse per la matematica pre-Ming. Il matematico e astronomo Mei Wending ritenne che l'astronomia occidentale fosse superiore grazie ai suoi 'metodi di misurazione' geometrici (liangfa), ma che la matematica occidentale non avesse un equivalente per gli 'algoritmi di calcolo cinesi' (suanshu, di cui il metodo fangcheng era una parte) che costituivano la sezione più profonda e sofisticata di questa disciplina. Nel 1705 Mei ebbe udienza presso l'imperatore Kangxi, che lo designò come esponente principale della rinnovata tradizione cinese, e da quel momento fu considerato un modello da quanti desideravano confrontarsi con la matematica occidentale.
Per molti aspetti, l'esposizione alla conoscenza occidentale (o cristiana) operata dai gesuiti aprì un dialogo tra culture, determinando una riflessione sulle differenze e sulle origini delle due discipline che coinvolse i matematici e gli astronomi della tarda Cina imperiale in uno stimolante e fecondo dialogo con il loro stesso passato.
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