La scienza conferma: il vegetariano vive di più
Una ricerca scientifica sembra dimostrare che la mortalità tra i vegetariani è più bassa. Ma dovrebbe essere una scelta etica: i soli prodotti dell’agricoltura, equamente suddivisi, potrebbero sfamare tutti gli abitanti della Terra. E milioni di persone in più potrebbero disporre di acqua pulita.
La sorpresa in realtà non è affatto una sorpresa per chi come me ha scelto di alimentarsi poco e con una dieta vegetariana, tuttavia fa piacere che uno studio scientifico ampio confermi ciò che da anni sostengo: essere vegetariani non solo è decisione etica e di dovere sociale, ma protegge la salute.
È una voce autorevole a lanciare la notizia, vive più e meglio chi mangia vegetariano: JAMA Internal Medicine ha pubblicato nel 2013 lo studio di Michael J. Orlich e dei suoi colleghi della Loma Linda University (California) con l’analisi delle cause di morte in oltre 73.000 uomini e donne.
La prima fase dello studio ha previsto la somministrazione di un questionario sulle abitudini alimentari e, dopo avere raccolto le risposte, Orlich e colleghi hanno suddiviso i volontari in 5 gruppi: i non-vegetariani (onnivori), i semivegetariani, i pesco-vegetariani (chi mangia solo pesce), i lacto-ovo- vegetariani (chi mangia anche uova e latticini) e, infine, i vegani (chi non mangia prodotti di origine animale). Per un tempo medio di 6 anni questi gruppi sono stati osservati e analizzate le cause generiche e specifiche di morte: nei 2570 decessi il tasso di differenza tra le morti avvenute tra gli onnivori e i 4 gruppi di vegetariani varia da 0,88% a 1%, con una riduzione del tasso di mortalità tra i vegetariani. In pratica, il rischio di morte per i vegetariani è inferiore rispetto agli onnivori.
Perché accade questo? I motivi non sono del tutto chiari, ma è certo che ci sia stata una riduzione della morte per malattie cardiovascolari (ischemia e altri eventi cardiaci) nelle persone vegetariane. Globalmente, chi sceglie di essere vegetariano ha un rischio inferiore di morire per ogni causa del 12% rispetto a chi mangia carne.
Ho accolto con soddisfazione i dati di questo studio perché vanno nella direzione unica possibile, cioè che tutti diventiamo vegetariani per garantire al pianeta e a noi stessi un futuro con meno pericoli. Mi aspetto che tante persone che ancora si nutrono usando carne siano ora motivate ad abbandonare uno stile di vita che riduce la loro probabilità di vivere. Dal mio punto di vista la scelta vegetariana dovrebbe essere un insieme di protezione della salute (propria e altrui) e di etica: senza etica, senza scelte morali non possiamo dirci esseri umani.
Molti uomini di scienza e pensiero hanno creduto che la scelta vegetariana fosse giusta e certo non l’hanno fatto solo per una tutela, pure doverosa, della propria salute. Leonardo da Vinci non poteva sopportare che il corpo umano fosse la tomba degli animali, Albert Einstein, il più grande scienziato del Novecento, presagiva che nulla avrebbe tutelato la sopravvivenza sulla Terra quanto l’evoluzione verso una dieta vegetariana. Il vegetarianismo è inevitabile, ormai. Nel mondo i prodotti dell’agricoltura sarebbero sufficienti a sfamare i 7 miliardi di abitanti se fossero equamente suddivisi, ma soprattutto se non fossero in grande parte utilizzati per alimentare i 4 miliardi di animali da allevamento. E pensiamo all’acqua: per ogni tonnellata di carne bovina occorrono circa 32.000 metri cubi di acqua, per una tonnellata di cereali ne bastano 450. Attualmente un miliardo di persone non ha accesso all’acqua pulita, ma per produrre un chilo di carne di manzo occorrono più di 20.000 litri di acqua. Mangiare carne è ‘digerire le agonie di altri esseri viventi’, diceva Marguerite Yourcenar. Gli animali di allevamento sono considerati ‘macchine di trasformazione’ di una merce a costo noto (i mangimi) in un’altra (la carne) il cui prezzo deve essere remunerativo, detratte le spese di allevamento che devono essere contratte al minimo. Questa logica di mercato scatena la violenza: animali da allevamento letteralmente torturati, immobilizzati, ingozzati di cibo e percossi crudelmente (come accade in Giappone) perché il muscolo si spezzi e la carne sia gustosa. La pratica è ripugnante: l’animale è inizialmente solo stordito, per poi essere sgozzato in modo che la morte avvenga per dissanguamento (questo è quanto impone la legge), affinché la carne assuma un colorito chiaro.
Sono felice che la scienza, la madre dell’evoluzione, abbia confermato che essere vegetariani significhi vivere di più (e meglio), ma è davvero necessario pensare solo alla salute per smettere di torturare e mangiare i poveri animali?
Le parole
Vegetarianismo (o vegetarismo). Regime alimentare che prescrive o raccomanda un’abituale, assoluta astensione dagli alimenti di origine animale (in primo luogo prodotti derivati dalla carne o ittici) in base a presupposti o dettami di diversa natura: etica, religiosa o salutistica. Fra i vegetariani si sono costituite varie tendenze che diversamente interpretano il vegetarianismo.
Veganismo (o vegetalismo). Concezione dietetica che rappresenta la forma più radicale del vegetarianismo, escludendo dall’alimentazione umana qualsiasi alimento di provenienza animale (e quindi anche latte e derivati, uova, miele) e consentendo solo l’uso di alimenti vegetali. Ai vegani appartiene il ristretto novero dei crudisti (consumatori di alimenti vegetali non cotti) e dei fruttisti (che si alimentano di soli frutti e semi), regimi alimentari ritenuti però assolutamente inadeguati da nutrizionisti e medici.
In Italia 3,6 milioni rifiutano la carne
È il dato che emerge dal 25° Rapporto Eurispes 2013: il 6% della popolazione italiana si dichiara vegetariano (4,9%) o vegano (1,1%). Una percentuale che è cresciuta di 2 punti rispetto a quanto rilevato lo scorso anno dallo stesso istituto di ricerca. Da sottolineare anche che, mentre le donne sono indotte a fare questa scelta in virtù di una più spiccata sensibilità per gli animali (il 66,7% rispetto al 30,8% degli uomini), gli uomini, invece, rinunciano alla carne in base a considerazioni che riguardano la salute e il benessere fisico (42,3% rispetto al 28,2% delle donne).