Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il distacco geografico e culturale dal continente, che caratterizza le isole britanniche, fa sì che in queste terre la tradizione musicale si sviluppi secondo tendenze in buona parte originali e autonome, non prive tuttavia di influenza sugli altri paesi europei. Le peculiarità della pratica inglese emergeranno ancor più dopo l’instaurazione della Riforma anglicana, che implicherà la creazione di forme musicali specificamente dedicate a questo rito.
A differenza della musica colta profana, che nei primi decenni del Cinquecento si caratterizza per un repertorio d’“importazione”, quella sacra continua, come nei secoli precedenti, a mantenere un forte legame con la tradizione locale della musica vocale maschile praticata nelle principali cattedrali inglesi e nei più rinomati college universitari (esecuzione con stile a cappella, con l’utilizzo delle voci bianche per le parti di soprano e l’emissione senza vibrato). Questa tradizione ha goduto di continuità sino ai giorni nostri.
Anche nella scuola inglese, così come nel resto d’Europa, il genere più frequentato è quello polifonico della messa. Così come nella pratica fiamminga, anche in quella inglese vengono spesso utilizzate melodie preesistenti per la sua composizione: quest’abitudine deriva dall’idea medievale di costruire la polifonia come amplificazione del canto gregoriano, una tecnica compositiva comune a tutta Europa.
Nonostante la scarsa propensione per i procedimenti imitativi, nella musica inglese il disegno compositivo è tutt’altro che lineare, bensì ornato e complesso, un retaggio che trova sempre le sue radici nella musica medievale, e che permane ancora nei primi secoli del Cinquecento.
L’avvenimento che muta completamente il quadro musicale inglese è la Riforma della Chiesa anglicana (1536): il distacco dalla Chiesa di Roma sancito da Enrico VIII e successivamente disciplinato da Thomas Cranmer, arcivescovo di Canterbury e fautore della politica ecclesiastica del sovrano che, una decina di anni più tardi, con la stesura del Prayer Book, crea i dettami della nuova liturgia. La soppressione dei conventi voluta dalla Riforma protestante fa sì che molti manoscritti di musica cattolica precedente siano distrutti e gran parte di questo repertorio irrimediabilmente perduta.
Il rito anglicano comporta uno snellimento della liturgia delle ore, concentrata in due momenti di preghiera, il Matins e l’Evensong: ogni ufficio comprende un canto responsoriale con l’alternanza di monodia e polifonia, letture intercalate da cantici (Magnificat e Nunc dimittis), la recita del Credo e il canto conclusivo di un inno sillabico e omofonico, definito anthem nel secolo successivo, la forma più tipica della liturgia anglicana.
Anche nella pratica inglese si afferma la sobrietà tipica delle chiese protestanti, volta a una maggiore intelligibilità del testo sacro, e quindi a una più completa partecipazione dell’assemblea al rito: per lo stesso motivo si cerca di sostituire ove possibile l’inglese al latino.
A dispetto del grande movimento riformista, i più famosi compositori inglesi di musica sacra sono cattolici e, specie nel clima di tolleranza instaurato da Elisabetta I, possono continuare a scrivere musica anche per il loro credo di appartenenza: i loro nomi sono Thomas Tallis e William Byrd, i primi musicisti che ottengono dalla sovrana un privilegio di ventun anni per poter stampare le loro musiche.
Entrambi esordiscono come organisti e giungono, in periodi successivi (ma con alcuni anni di concomitanza, segnati da una grande amicizia), a esercitare questo incarico, accanto a quello di compositore, presso la Royal Chapel.
Tallis ci lascia una produzione ugualmente ripartita fra musica latina e inglese, cattolica e anglicana, tre messe, svariati Magnificat, salmi e mottetti, le Lamentations of Jeremiah, di grande effetto drammatico; svariati services, Te Deum Benedictus, una decina di anthems e i graziosi Psalm Tunes tramandatici dal manoscritto dell’arcivescovo Parker.
William Byrd è il più noto compositore inglese a cavallo fra Cinque e Seicento; organista e compositore presso la cappella Reale, ha lasciato molta musica strumentale, brani per il rito anglicano, ma soprattutto composizioni appartenenti al culto cattolico; la stima di cui gode a corte è tale che viene tollerata anche la sua appartenenza a una fede diversa.
Il primo volume di Cantiones (1575) viene stampato insieme a Tallis e dedicato alla regina d’Inghilterra; la successiva e più importante raccolta, i Gradualia, rivela i tratti caratteristici della sua maturità compositiva, e cioè l’abilità nel contrappunto e nell’assortimento delle voci. Egli costruisce brani sino a 10 parti, oppure, per variare l’impasto timbrico, inserisce nei normali brani a 4 o 5 voci sezioni a organico più ristretto. Ciò che contraddistingue l’opera di Byrd è la costante densità ed essenzialità del discorso musicale.
Byrd scrive circa 200 brani in latino (lingua che, per sua stessa ammissione, gli è più congeniale) e tre messe complete; nei canti sillabici in inglese egli trova difficilmente un’ispirazione altrettanto felice: alcuni di questi sono tuttavia di egregia fattura, come per esempio l’inno che egli dedica a Elisabetta I: O Lord, Make Thy Servant.
Byrd non aderisce alle tendenze della musica vocale profana allora in voga, ispirata al madrigale italiano, malgrado offra alcune sue prove anche in questo campo. Egli produrrà tutt’al più alcune canzoni spirituali per voci e strumenti, concepite su modello madrigalistico: il testo moraleggiante risponde molto bene alle esigenze di un’utenza puritana per la quale il diletto musicale non può essere disgiunto da un intento edificante.
Il primo compositore della Chiesa riformata è Orlando Gibbons. La sua carriera è ricca di riconoscimenti, nonostante la morte prematura: allievo del King’s College di Cambridge, ottiene in seguito titoli accademici presso questa università (baccelliere) e quella di Oxford (dottore); viene inoltre nominato organista presso la cappella Reale e l’abbazia di Westminster.
È Gibbons a fissare nell’anthem la forma più significativa della liturgia anglicana. Pur cimentandosi anche nella composizione di interi services, egli troverà la vena espressiva più genuina nel canto sillabico in inglese: il suo stile severo ricalca quello dei suoi predecessori, ma la grande facilità nell’invenzione melodica è il suo tratto caratteristico.
Per la prima metà del Cinquecento abbiamo pochi documenti e poche notizie sulla musica profana e sui compositori che si dedicano primariamente a questo genere. Il più illustre fra questi è forse Enrico VIII, che ha una formazione musicale perché inizialmente destinato alla carriera ecclesiastica. Egli suona svariati strumenti (un inventario di corte ne enumera 381), canta, danza e compone: di lui ci sono rimasti 22 brani vocali e 13 strumentali. I musicisti più rinomati al suo servizio sono William Cornysh e Robert Fayrfax: il primo maestro dei bambini della cappella Reale, il secondo responsabile dei musici.
La prima metà del secolo vede soprattutto l’importazione di musica strumentale, in particolare musica per danza. La traduzione dal francese del manuale edito da Le Roy & Ballard su come trascrivere per liuto qualsiasi tipo di musica (1563) ottiene grande successo e probabilmente stimola la produzione autoctona in questo campo. Infatti, è di alcuni anni più tardi l’antologia di William Barley dal titolo A New Booke of Tabliture (1569) che comprende anche musica inglese.
La musica strumentale ha una diffusione particolare: la maggior parte di essa è infatti trascritta per liuto e virginale (uno strumento a tastiera molto diffuso nell’Europa del nord) e tramandata quasi esclusivamente da fonti manoscritte (dette appunto lute books o virginal books), a partire dalla fine del Cinquecento e per tutto il secolo successivo. Il più importante virginal book cinquecentesco è il My Ladye Nevells Book, che contiene 42 composizioni di Byrd.
Nella seconda metà del secolo si sviluppa tuttavia anche l’editoria: in questo periodo la vita musicale inglese è caratterizzata dalla competizione per il monopolio dell’insegnamento e delle esecuzioni musicali pubbliche, tra musicisti di corte e musicisti cittadini, questi ultimi sostenuti da una utenza privata di estrazione nobiliare, che coltiva anche la pratica musicale. A questo pubblico è dedicata la produzione di alcuni trattati che hanno la particolarità di non essere concepiti per gli addetti ai lavori, ma di avere un intento meramente divulgativo, volto a incoraggiare il consumo domestico di musica.
Tra i generi musicali stranieri che dominano la seconda metà del Cinquecento si distinguono l’air de cour francese e il madrigale italiano; quest’ultimo deve principalmente il suo successo alla celebre raccolta di Nicholas Yonge Musica transalpina (1588), un’antologia di madrigali italiani tradotti in inglese.
Malgrado la grande influenza esercitata dalla musica vocale italiana (madrigali, canzonette, balletti), quella inglese trova una sua espressione peculiare attraverso due grandi compositori pressoché contemporanei: Thomas Morley e John Dowland.
Morley è allievo di Byrd, compie i suoi studi a Oxford ed esordisce come organista a Londra; nel 1592, di ritorno da un incarico diplomatico in Olanda, viene nominato gentleman della Royal Chapel. E’ amico di William Shakespeare e compone un song per la commedia As You Like It. Anche lui, così come il suo maestro, ottiene dalla corona un privilegio di stampa di 21 anni e dal 1598 il suo editore è William Barley.
Nonostante l’influsso del modello italiano, particolarmente presente nelle prime raccolte di Madrigalls e Canzonetts, Morley è uno degli artefici dell’affermazione di un’espressione melodica tipicamente inglese.
Le sue composizioni vocali appaiono estremamente cantabili e di facile ascolto; la loro esecuzione è inoltre agevolata, in alcune raccolte, da una riduzione dei brani originariamente a quattro voci per canto e liuto.
Più complesse appaiono le fantasie strumentali, particolarmente congeniali al compositore, a due, tre, quattro parti, fra cui una bella serie concepita per due viole. Nel 1599 esce il First Booke of Consort Lessons, la prima pubblicazione in assoluto di musica da camera per una specifica formazione strumentale.
Morley scrive anche musica liturgica, svariati anthems e quattro services; è inoltre il primo a musicare il servizio funebre, con testo desunto dal Prayer Book. Egli dà inoltre alle stampe un’opera teorica, concepita per tutti coloro che coltivavano la musica a livello amatoriale: la Plaine and Easie Introduction to Practicall Musicke (1597), ristampata con successo fino al XVIII secolo.
Se Morley rappresenta la figura del musicista “integrato”, John Dowland si colloca in una posizione defilata rispetto alla cultura ufficiale. Non sappiamo niente della sua formazione musicale; sappiamo però che in giovane età egli entra a servizio dell’ambasciatore inglese a Parigi, ma poco più che ventenne torna in Inghilterra, ove ottiene il baccellierato al Christ College di Oxford (1588) e in seguito a Cambridge.
Il posto a corte verrà negato a Dowland a causa del suo credo cattolico (requisito che non era stato però di ostacolo ad altri compositori); egli si vedrà quindi costretto a cercare lavoro all’estero, come compositore, liutista, cantante. Il duca di Brunswick lo chiama in Germania e lo manda poi in Italia: egli si reca a Venezia e a Firenze, dovrebbe poi raggiungere Roma per studiare con Luca Marenzio, ma l’incontro avuto nella città toscana con esuli inglesi e la paura di essere estromesso per sempre dal suo Paese lo convincono a un repentino rientro in patria e all’abiura del credo cattolico.
La conversione non sortisce gli effetti desiderati, tanto che Dowland lascia nuovamente l’Inghilterra per porsi, come liutista, al servizio di Cristiano IV di Danimarca. Licenziato da questi probabilmente a causa della sua vita disordinata, torna ancora una volta a Londra e nel 1612 ottiene finalmente un posto a corte; questo incarico non gli impedisce di viaggiare fino agli ultimi anni della sua vita: nel 1623 lo troviamo infatti in Pomerania, a servizio del duca di Wolgast.
La prima raccolta di songs e ayres di Dowland (1597, cui ne seguiranno altre due, rispettivamente tre e sei anni dopo) ha probabilmente 6 edizioni, e tuttavia la fama delle sue musiche è soprattutto attestata dalla presenza di trascrizioni dei suoi brani su numerose fonti manoscritte.
Nel rispetto di una tradizione ormai affermata in tutta Europa, degli stessi brani si possono trovare la versione a 4 voci, quella monodica, che prende impulso in Inghilterra proprio con i primi tentativi di Dowland, e quella per gruppo strumentale (consort).
Dowland si distingue dagli altri compositori inglesi per il grande numero di brani per liuto che ha lasciato. La scelta delle composizioni è vastissima: fantasie a struttura contrappuntistica oppure danze nelle quali vengono inseriti elementi virtuosistici e ornamentali.
Nelle sue prime opere vocali egli ricalca oppure riproduce le melodie di tradizione popolare, mentre la produzione più matura risente dell’influenza del madrigale italiano, e sfrutta una tecnica compositiva tesa all’uguaglianza delle parti. La sua ultima raccolta, A Pilgrim’s Solace, si colloca in una posizione conflittuale e volutamente anacronistica: in essa si legge tutta l’amarezza per lo scarso credito che la cultura ufficiale del suo Paese gli aveva accordato.
Su tutta la musica di Dowland aleggia tuttavia un’inconfondibile vena dolente (il suo più famoso brano è la pavana Lachrimae, adattata successivamente anche come song), i testi dei suoi brani sono spesso malinconici o funerei, egli stesso si definisce, non senza un certo compiacimento, “semper dolens”, oppure “l’infelice inglese”. Proprio per questa sua attitudine egli riscuote molto successo fra i nobili dilettanti: un nuovo tono espressivo, il patetico comincia così ad affermarsi nella musica.