Vedi La politica estera italiana: tra europeismo e atlantismo dell'anno: 2012 - 2013
Quando Alcide De Gasperi e Carlo Sforza decisero di sottoscrivere, nel 1949, il Trattato per la creazione dell’Alleanza atlantica, il maggiore ostacolo non fu l’opposizione social-comunista, largamente scontata, ma quella di una parte della Democrazia cristiana (l’ala ispirata da Giuseppe Dossetti) e di alcuni esponenti dei piccoli partiti democratici, molti dei quali sinceramente convinti che l’Italia avrebbe dovuto rifiutare la logica dei blocchi e fare una politica estera neutrale. De Gasperi riuscì a superare queste resistenze spiegando ai suoi compagni di partito che l’Italia sarebbe entrata nell’Alleanza insieme alle maggiori democrazie europee e che il Patto atlantico sarebbe stato quindi un passaggio necessario, quasi una sala d’aspetto, sulla strada dell’integrazione politica ed economica del continente. Per alcuni anni quindi l’Italia poté essere contemporaneamente, senza troppe difficoltà, atlantica e europeista. La Nato, vale a dire l’America, garantiva la sua sicurezza, mentre l’Europa della Ceca, della Ced e del Mercato comune dava soddisfazione alle sue ambizioni federaliste e le garantiva una sorta di parità, nonostante la sconfitta del secondo conflitto mondiale, con gli altri maggiori paesi dell’Europa occidentale. Questo doppio binario della politica estera nazionale divenne ancora più facilmente percorribile dopo la morte di Stalin, l’avvento di Chrušcˇëv e il clima di prudente coesistenza pacifica che s’instaurò, con qualche sussulto, nei rapporti fra i due blocchi. Con una politica che fu definita ‘micro-gollista’ l’Italia poté comprare il petrolio russo, commerciare con l’Unione Sovietica e creare una fabbrica d’automobili a Togliattigrad, ma continuare a essere la maggiore delle portaerei americane nel Mediterraneo. Il gioco divenne un po’ meno facile quando il generale De Gaulle, nel 1966, ritirò la Francia dalla struttura militare integrata del Patto atlantico e dimostrò in tal modo che la Nato e l’integrazione europea non erano due volti di una stessa medaglia. Anche a Washington, qualche anno dopo (il presidente era Richard Nixon, il suo principale consigliere per la politica estera Henry Kissinger), l’Europa cominciò a essere percepita diversamente. Per molti americani era un potenziale concorrente, per altri un terzo incomodo, per altri ancora un peso morto. Prima della fine della Guerra fredda vi furono divergenze e screzi politici, come la costruzione di un gasdotto per il trasporto di gas sovietico in Europa occidentale all’inizio degli anni Ottanta. Dopo la fine della Guerra fredda i contrasti furono soprattutto economici, ma sempre più frequenti, con alcuni ricorsi all’Organizzazione per il commercio mondiale (Wto) e qualche memorabile decisione di Bruxelles, come quella del commissario Mario Monti che nel 2001 bocciò, perché contraria ai principi della libera concorrenza, la fusione tra due grandi aziende degli Stati Uniti: General Electric e Honeywell. Non è tutto. Mentre l’Europa si proponeva obiettivi ambiziosi (il mercato unico, la moneta unica, il Trattato costituzionale), la Nato aveva perduto la sua funzione originale ed era alla ricerca di un ruolo. Ma restava pur sempre un simbolo dei rapporti euro-americani e il principale legame organico esistente fra le due sponde dell’Atlantico. La rottura della Nato e dell’Europa è stata sfiorata nel 2003, quando gli Stati Uniti s’imbarcarono, con l’invasione dell’Iraq, in una guerra che era visibilmente disapprovata da Francia e Germania, ma sostenuta dall’Italia e dalla Spagna. I guasti sono stati riparati dopo la costituzione del governo Merkel in Germania e l’elezione di Nicolas Sarkozy in Francia. L’Italia, nel frattempo, ha continuato a considerare la Nato, vale a dire gli Stati Uniti, come un cardine indispensabile e l’Europa come un obiettivo irrinunciabile della propria politica estera. Ma con qualche variazione d’accento, che è dipesa dalla composizione dei suoi governi. Quelli di centro-sinistra sono stati complessivamente più europei che atlantici, quelli di Silvio Berlusconi più filo-americani che europei. Ma anche nel caso di Berlusconi la politica estera italiana ha avuto un altro polo: il rapporto con la Russia di Putin, che ha perpetuato sotto altre forme il micro-gollismo degli anni della Guerra fredda. Il governo tecnico di Mario Monti, dagli ultimi mesi del 2011, ha perseguito l’obiettivo di una piena ricomposizione di queste due fondamentali direttrici, atlantismo e europeismo, a cominciare dalla nomina dei ministri.