La ludicità
In sede storiografica il termine/concetto «ludicità» ha trovato spazio soltanto in tempi piuttosto recenti e dall’ambito della ricerca storica sta entrando nella lingua italiana dove viene registrato come neologismo, passando poi ad altre lingue nelle forme ludicité, ludicidad, ludicidade, ludicity. La sua introduzione nel lessico degli studi è legata alla necessità di cogliere in modo unitario un sistema di comportamenti e fenomeni sociali che in passato sono stati oggetto di analisi ma usualmente nella loro specificità, per es. come storia del gioco (o di singoli giochi) o degli sport o della festa, dei tornei, del tempo libero, della ricreazione culturale e altro ancora. In sostanza, si tratta di recuperare a un sistema organico quelle manifestazioni che nel vivere quotidiano rappresentano la fase della distensione e dell’uscita dal tempo del lavoro, dell’impegno e (pur con forti commistioni) del sacro. Diventa così possibile cogliere l’effettiva importanza di un complesso di fenomeni di indubbio rilievo ma per lo più trascurati.
Il concetto può trovare illustri antecedenti, per es. nella eutrapelia dell’Etica Nicomachea di Aristotele: la virtuosa giocosità a cui secoli dopo Tommaso d’Aquino fece riferimento nella Summa theologica, traducendola come iocunditas, intesa come virtù morale dell’individuo che non può rinunciare al sollievo necessario per il corpo affaticato, ma anche per l’anima che pure ha bisogno di rilassamento e quiete. Tuttavia, per cogliere il senso della dimensione ludica serve forse meglio la semplicità della favola (Fedro, III, 14): «presto romperai l’arco se lo terrai sempre in tensione». Gli antecedenti nella storiografia possono trovarsi senz’altro nel pionieristico lavoro di J. Huizinga, Homo ludens (1938), con l’analisi della natura specifica e dei caratteri fondamentali del gioco, e con il recupero dei suoi legami con la sfera del sacro e del ruolo avuto nello sviluppo della civiltà e delle culture. Insieme si può ricordare l’opera di R. Caillois, Les jeux et les hommes: le masque et le vertige (19582), di carattere non propriamente storico ma piuttosto virata verso sociologia e antropologia. In forma più problematica ottimi stimoli possono derivare pure dagli assunti di N. Elias e soprattutto dalla sua teoria della civilizzazione.
Nell’attuale congiuntura storiografica i passi decisivi nella riflessione sulla ludicità risalgono agli anni Novanta del Novecento e si legano specialmente a due periodici di cadenza annuale. Anzitutto si trattò di Homo ludens, uscito dal 1991 al 2000 con l’appoggio dell’Università Mozarteum di Salisburgo. Nel 1995 uscì Ludica. Annali di storia e civiltà del gioco, sostenuta dalla Fondazione Benetton studi ricerche, rivista che si pose come punto di raccordo anche per convegni, borse di studio, libri dedicati alla materia specifica. Si tratta di iniziative che hanno stimolato le ricerche sul tema a livello internazionale e oggi è possibile suggerire una prima sintesi di storia della ludicità, individuandone le diverse fasi in larga misura collimanti con le grandi periodizzazioni della storia generale. In proposito conviene partire dal primo radicale passaggio ben documentabile, maturato nel 3°-4° sec. con la crisi della società tardoantica. La grande depressione seguita in particolare al progressivo tracollo dell’impero di Roma aveva aperto la via a nuovi equilibri lasciando il campo a realtà profondamente mutate, dando fra l’altro spazio, in parallelo alla decadenza della cultura di tradizione greco-romana, all’affermarsi della nuova cultura cristiana, portatrice di valori decisamente diversi.
Come esempio delle forti novità, può servire il drastico cambiamento di giudizio sull’otium. L’onorevole distrazione intellettuale del rispettabile cittadino romano, lodata fra gli altri da Cicerone (nel De oratore) o da Seneca (nelle Epistolae ad Lucilium, 82, 3), era destinata a divenire il padre di tutti i vizi e l’origine di ogni male. Non sarebbe più stato il nutrimento del corpo e il conforto dell’anima (come affermava Ovidio nelle Epistulae ex Ponto, I, 4, 21) e anzi fu il negotium a diventare un valore, mentre il concetto di labor perdeva le connotazioni penose se non degradanti del passato. Su un altro piano, a segnare il passaggio si può indicare nel 393 la cessazione dei giochi di Olimpia, dopo secoli in cui durante il loro svolgersi venivano persino sospesi i conflitti armati. Dalla cultura dell’arena, del circo, del teatro, dell’otium si era passati a più severe attitudini e la trionfante cultura cristiana ora proponeva nuovi e più austeri orizzonti per l’universo ludico. Dal testo biblico (primo fondamento della cultura medievale) si cavavano passi come quelli dell’Ecclesiaste (2.2) che, a proposito della gioia, si chiedeva «questa a che serve?», o del Vangelo di Luca (6, 26) che proclamava «Guai a voi che ora ridete, perché vi lamenterete e piangerete». Ed era la danza blasfema di Salome a essere ricordata, piuttosto che quella gioiosa e trionfante di re David. Il mutamento del clima culturale era ormai compiuto quando Isidoro di Siviglia (560 ca.-636) nelle Etymologiae, la più celebrata fra le enciclopedie medievali, condannava ogni forma di ludus, salvando a malapena quello ginnico che aveva a sostegno i molti passi biblici (soprattutto dell’apostolo Paolo), in cui la gara e la lotta erano assunte a simbolo del conflitto con il male.
Su queste premesse si è portati a ritenere che l’Alto Medioevo abbia fatto i conti con un’opera di repressione o esclusione dei comportamenti ludici, ma bisogna piuttosto insistere su come la ludicità nei nuovi assetti del periodo stesse perdendo la collocazione tradizionale fra le pratiche socialmente riconosciute, senza che se ne precisasse una nuova. Nelle situazioni dissestate dal tracollo del tardo impero i problemi urgenti erano altri e la ludicità passava in subordine rispetto alle questioni più serie della fede e della morale, ma pure del riassetto economico, del degrado istituzionale, del sistema sociale crollato, dei bisogni fondamentali di un duro vivere quotidiano. A fronte di tutto ciò il gioco, l’otium, la festa (le cose «non serie») passavano in subordine, relegate in una fascia di ambigua e sospetta marginalità. Com’è ovvio la durezza dei tempi non spegneva le pulsioni ludiche ma le metteva in ombra piuttosto che impegnarsi veramente a reprimerle. Non a caso una nuova attitudine sarebbe fiorita soltanto con la grande ripresa al passaggio del millennio.
Nelle condizioni allora mutate la ludicità ritrovava un suo spazio, funzionale al nuovo impianto della società. Furono soprattutto giuristi e teologi a impegnarsi nel riassegnarle un ruolo effettivo con dichiarazioni quasi sorprendenti, come quella di maestro Ugo di San Vittore che nella prima metà del sec. 12° collocava il gioco fra le attività pienamente legittime, con un posto fra le arti meccaniche, spiegando che «il calore naturale dei corpi si alimenta di un movimento ben equilibrato e la gioia ristora lo spirito». Indicava pure l’utilità sociale della sua presenza e della sua organizzazione (Didascalicon, II, 22-27). Il recupero della ludicità fra le manifestazioni proprie del vivere quotidiano, nel nuovo ordine del tardo Medioevo significava tanto maggiori concessioni quanto più rigide norme. Il gioco è legittimo ma si richiede che sia ordinato. La iocunditas deve essere disciplinata, dignitosa, lontana da ogni violenza o trasgressione, tale da non turbare l’ordine costituito. Si definiva anche una gerarchia di rispettabilità degli svaghi: dai degnissimi scacchi, giù, sino all’indecenza dell’azzardo, mentre peraltro le autorità si impegnarono tanto con sanzioni più precise e severe quanto con maggiori concessioni.
Dopo le fasi della classicità e dell’Alto Medioevo, si era aperta una nuova stagione per la festa, lo spettacolo, il gioco. L’interesse dei pubblici poteri percepiva ormai con chiarezza il valore politico di celebrazioni, pali, tornei, gare, feste utili a coinvolgere la comunità consolidando gli equilibri esistenti. Intanto si preannunciava l’età dell’etichetta e delle buone maniere. Gli sviluppi furono forti e trovarono momenti di accelerazione scoprendo anche nuovi strumenti. Si pensi sul finire del Trecento alla diffusione delle carte da gioco, con forme nuove di socialità a tutti livelli: dalle corti alle bettole. O si pensi fra Quattrocento e Cinquecento al diffondersi delle lotterie. I giochi di guerra diventavano rituali e giostre e tornei non furono più pratiche di addestramento bellico ma un modo per mostrare il proprio status. I passatempi letterari proponevano nuove raffinatezze. Intanto la cura del corpo e il diporto fisico erano oggetto di studio per giungere nel sec. 16° al fondamentale volume di Girolamo Mercuriale Artis gymnasticae libri sex (1569).
A partire dai secc. 12° e 13° la posizione della ludicità era decisamente mutata e per giungere davvero a una svolta analoga a quella prodottasi dopo la ripresa dell’anno Mille, si dovranno attendere la Rivoluzione industriale e il 19° sec., con la «invenzione del tempo libero». Intanto l’evoluzione del sistema ludico aveva coinvolto le sue varie componenti in un percorso comune e lineare nonostante le molte peculiarità. Dopo il successo dei giochi scientifici (a partire dai Problèmes plaisants di C.G. Bachet de Méziriac editi nel 1612), dopo gli svaghi letterari, ma anche dopo il trionfo delle lotterie e della nuova cultura teatrale e dello spettacolo, dopo, infine, le esperienze illuministiche che trovarono nell’Encyclopédie la loro legittimazione attraverso le ricche voci dedicate all’ambito ludico, è in pieno Ottocento che la vera modernità del gioco esplode in termini tuttora attuali.
Anche qui è possibile solo qualche esempio, ma si pensi alla nascita dello sport moderno e all’uso di misurarne i risultati, per cui il record non conta meno dell’essere primo o secondo. E cresce il ruolo del gioco quale funzione diretta dello Stato, gestita dai governi con mezzi sempre più efficaci. Nascono le società ginniche sia sul modello del Turnen tedesco, per cui l’esercizio fisico si associa ai motivi della bellezza e dell’unità nazionale, sia su quello dell’athleticism britannico, con il rispetto delle regole e dell’avversario. Sul piano finanziario le entrate del gioco pubblico di denaro (dal lotto alle lotterie istantanee ai prelievi sulle slot-machine) diventano per i bilanci statali una voce rilevantissima rispetto al passato. Nasce l’industria del tempo libero. Il settore dello spettacolo si evolve utilizzando le nuove tecnologie. Sorgono le associazioni turistiche. Il pubblico delle manifestazioni ludiche si moltiplica con il perfezionarsi dei mezzi d’informazione. Sono sviluppi che, spinti dai progressi della tecnica, continuano lungo tutto il sec. 20°, fino alla vigilia di una nuova fase della ludicità che si preannuncia nel segno del perfezionamento del gioco elettronico e della diffusione delle reti informatiche, con cui si aprono altre forme di socialità ludica, totalmente nuove rispetto al passato, aperte al futuro.