Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La Lettonia, oggi membro dell’Unione Europea, è una repubblica di 65 mila chilometri quadrati con una popolazione di due milioni e trecentomila unità (di cui il 30 percento russi) limitata al nord da Estonia e Mar Baltico, a sud-est da Russia e Bielorussia e a sud-ovest dalla Lituania. Indipendente dal 1920, la Lettonia viene annessa all’Unione Sovietica durante la seconda guerra mondiale dopo essere stata occupata dalla Germania nazista. Nonostante la resistenza della popolazione, la sovietizzazione continua fino agli anni Ottanta, quando la politica di perestroika lascia più spazio all’autonomia e la Repubblica di Lettonia si dichiara indipendente il 21 agosto 1991. Comincia così un riavvicinamento politico verso l’Ovest che porta all’ingresso nell’Unione Europea e nella NATO nel 2004.
Un lento processo di distacco dall’Unione Sovietica
Nonostante l’inizio del XX secolo veda il sorgere di movimenti indipendentisti, e una prima rivolta contro lo zar scoppi nel 1905, la sovranità viene ottenuta solo nel 1918 con la proclamazione della Lettonia indipendente il 18 novembre. Poco dopo, occupata dalle forze sovietiche, la Lettonia riesce a liberarsi con l’aiuto di truppe estoni prima e tedesche poi. Il trattato di Riga del 1920 sancisce l’indipendenza lettone e il suo riconoscimento da parte di Mosca. In seguito a questi avvenimenti la Lettonia viene ammessa nel 1921 nella Società delle Nazioni e nel 1922 adotta una sua Costituzione.
L’indipendenza fa sentire i suoi effetti positivi e il governo favorisce la crescita economica in settori come l’industria pesante, l’elettricità, il tabacco e il tessile. La stabilità economica non è accompagnata da quella politica: nel 1934 il primo ministro Karlis Ulmanis (1877-1942) scioglie il parlamento e nel 1936 si impone come presidente, abolendo il pluripartitismo, reprimendo i media ma cercando di mantenere la neutralità e l’indipendenza dall’URSS e dalla Germania.
Il Patto Ribbentrop-Molotov, nel 1939, significa per la Lettonia essere sottoposta all’influenza sovietica e subire la presenza di 30 mila soldati sovietici. La mossa successiva è l’elezione, nel 1940, di una classe politica appartenente in toto al partito comunista; il 21 luglio è proclamata la Repubblica Socialista Sovietica della Lettonia che chiede l’annessione all’Unione Sovietica. La Lettonia passa sotto il controllo tedesco dal 1941 al 1945, quando le forze sovietiche ne riprendono la direzione. Per piegare la resistenza lettone alla sovietizzazione, comincia una serie di deportazioni di massa, tanto che si calcola che nel solo 1949 siano stati deportati più di 40 mila lettoni.
Dopo la guerra nella Lettonia viene riorganizzata l’industria pesante che diventa prevalente rispetto all’agricoltura, incoraggiando così una immigrazione russa stimata oltre le 400 mila unità dal 1951 al 1989. I trasferimenti forzati di popolazione, l’immigrazione russa e le forti differenze linguistico-culturali si scontrano con i forti sentimenti nazionali di una popolazione che non si rassegna mai completamente alla sovietizzazione.
La morte di Stalin nel 1953 porta a una maggiore libertà tanto che i nazional-comunisti, guidati da Eduards Berklavs (1914-2000), propongono un programma di “lettonizzazione” che prevede anche la richiesta di conoscenza del lettone – e non più del solo russo – per accedere alle cariche pubbliche e riforme economiche non ben accette a Mosca, che nel 1959 purga il Paese da circa 2000 nazional-comunisti.
Dopo la purga, Arvids Pelse (1899-1983), prima, e Augusts Voss (1916-1994), poi, prendono la guida della Lettonia e, sotto l’influenza di Mosca, impongono repressioni linguistiche, sociali e culturali sconosciute nelle altre Repubbliche baltiche.
Il vento della perestrojka si fa sentire anche in Lettonia: nel luglio 1989 il Consiglio Supremo della Lettonia adotta una dichiarazione di sovranità e afferma la superiorità della giurisprudenza lettone su quella sovietica.
In seguito alla vittoria nelle elezioni del 1990 e alla dichiarazione di indipendenza lituana, il Fronte Popolare della Lettonia dichiara una separazione de jure dall’URSS, che rifiuta di riconoscerla. Nel gennaio 1991, forze militari sovietiche occupano il ministero degli Interni lettone; l’occupazione continua fino all’agosto 1991 quando, in seguito al colpo di stato fallito, il Parlameto lettone dichiara l’indipendenza del Paese (21 agosto) e mette al bando il partito comunista. Mosca riconosce l’indipendenza pochi giorni dopo, il 7 settembre.
L’indipendenza apre la strada al dialogo internazionale, che si concretizza con l’entrata nel Consiglio d’Europa e la candidatura all’Unione Europea nel 1995, ma solleva anche proteste e critiche internazionali finchè la naturalizzazione dei russi non viene facilitata da una serie di misure sulla cittadinanza adottate dal 1994 e modificate nel 1998.
La Russia ritira le ultime truppe dalla Lettonia il 31 agosto 1994, il che permette l’inizio delle trattative con la NATO. La trasformazione dell’economia centralizzata in economia di mercato avviene in maniera rapida, processo confermato dall’ingresso del Paese nel WTO nel 1999 e, infine, dopo lunghe negoziazioni, la Lettonia entra a far parte della NATO il 29 marzo 2004 e dell’Unione Europea il 1° maggio 2004.