Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La storica rivalità con la Turchia condiziona in Grecia la politica dell’intero secolo, provocando l’alternanza al potere di governi autoritari, spesso alleati ma a volte in contrasto con la monarchia. Neanche la fine della seconda guerra mondiale rasserena il clima: la guerra civile tra i comunisti e le altre forze politiche, conclusa nel 1949, non consente l’instaurarsi di una stabile democrazia fino a quando nel 1974 non si insedia una dittatura militare. Nel periodo successivo al regime militare il Paese, diventato definitivamente una Repubblica, vede alternarsi al governo i partiti del Pasok e di Nuova Democrazia. La stabilità democratica non risolve però le difficili relazioni con la Turchia e con la NATO, di cui pure la Grecia è Stato membro.
Il secolare conflitto con la Turchia
All’inizio del XX secolo la politica greca è condizionata da una decisa spinta nazionalistica, in contrasto con gli interessi geopolitici delle principali potenze europee. I sovrani di Grecia appartengono a un ramo secondario della dinastia regnante tedesca e spesso sono più sensibili a non urtare gli interessi dell’area germanica che a sostenere le rivendicazioni nazionali. Giorgio I di Grecia (1845-1913), diventato re nel 1863, appoggia in un primo momento tutte le imprese militari finalizzate a estendere il territorio nazionale alle regioni confinanti abitate in prevalenza da popolazioni elleniche, salvo poi mostrare un’assoluta accondiscendenza nei confronti delle pressioni internazionali. Il contenzioso più aspro, in politica estera – e tale tensione è destinata a ripresentarsi nel corso dell’intera storia della Grecia, pur nel mutare degli scenari politici – è quello con la Turchia, allora parte dell’Impero ottomano; la contestazione riguarda l’occupazione di alcuni territori balcanici e i limiti delle rispettive acque territoriali. Il tentativo di annettere l’isola di Creta è impedito dai governi europei nel 1897 e ancora dieci anni dopo, con la fine della prima guerra balcanica (1907). Nel 1909 un colpo di Stato militare porta al potere il generale Eleftherios Venizelos (1864-1936) il quale, mentre sul piano interno promuove un moderato processo riformatore, in politica estera sostiene l’azione di forza; l’avversione del re a tale progetto provoca un attrito tra la corona e il primo ministro e conduce Venizelos su posizioni repubblicane. Un parziale successo del suo attivismo si ha con la seconda guerra balcanica (1913), nel corso della quale la Grecia aderisce a un’alleanza, la Lega balcanica, che comprende gli altri Paesi ortodossi (Russia, Bulgaria, Serbia e Montenegro); la guerra contro la Turchia coincide con la morte di re Giorgio, a cui succede il figlio Costantino I (1868-1923). Nel corso della conferenza di Londra del 1913, convocata per stabilire le condizioni di pace, contrasti sorti sulle spartizioni territoriali producono una nuova guerra tra la Bulgaria e i suoi precedenti alleati della Lega. Il trattato di Bucarest (10 agosto 1913), seguito alla sconfitta della Bulgaria, concede alla Grecia diverse annessioni: le città di Salonicco e di Gianina, già occupate nel corso della guerra, la Macedonia, il sud dell’Epiro, le isole di Chio, Lemno, Mitilene e Samo.
Ma lo scoppio della prima guerra mondiale ripropone, questa volta in modo decisamente drammatico, il conflitto fra il re e Venizelos. Quest’ultimo intende schierare la Grecia con le potenze della Triplice Alleanza, mentre il re, sostenitore per motivi dinastici degli imperi centrali, lo costringe alle dimissioni nel marzo 1915. Il voto popolare, nelle elezioni dell’agosto dello stesso anno, tuttavia, obbligherà il re a nominarlo nuovamente primo ministro. Venizelos attua allora una sorta di doppio gioco, autorizzando segretamente lo sbarco di navi alleate nel porto di Salonicco, e avanzando contemporaneamente una protesta formale. Costretto nuovamente alle dimissioni dal re, Venizelos proclama, a Salonicco, un governo repubblicano, per sostenere il quale le truppe alleate penetrano nel territorio e il 1° dicembre si scontrano con l’esercito greco. Costantino organizza allora una resistenza, che spinge gli Alleati a occupare l’intera regione della Tessaglia. L’impossibilità dell’esercito greco di respingere gli invasori, obbliga Costantino a rinunciare al proposito di appoggiare gli imperi centrali e ad abdicare a favore del figlio Alessandro I (1893-1920), il quale richiama Venizelos al governo del Paese.
I trattati di pace soddisfano solo in parte le ambizioni della Grecia: sia il trattato di Neuilly (1919) con la Bulgaria sia quello di Sèvres (1920) con la Turchia concedono generosi ampliamenti territoriali, ma la Grecia deve subire la contestazione del trattato di Sèvres da parte del leader turco Mustafà Kemal (1881-1938). La mutata situazione internazionale non vede le potenze vincitrici unanimi nel sostenere in modo incondizionato le ragioni della Grecia.
La successiva guerra contro la Turchia, dovuta anche a decisive pressioni della Gran Bretagna, trova l’ostilità della popolazione e costringe Venizelos a dimettersi e ad accettare il ritorno in patria di Costantino (plebiscito del 5 dicembre 1920). Il conflitto con la Turchia si conclude con il trattato di Losanna (luglio 1923) che prevede, fra l’altro, lo scambio delle rispettive minoranze etniche, evento dalle conseguenze sociali ed economiche fortemente destabilizzanti. Costantino è costretto nuovamente ad abdicare in favore del figlio Giorgio II, il quale però, nel dicembre 1923, lascia il Paese per sfuggire a un colpo di Stato.
Il forte nazionalismo greco nell’avvicendarsi di repubblica e dittatura
Il 25 marzo 1924 viene proclamata la Repubblica, ma in realtà inizia un periodo drammatico per la storia della Grecia: nel 1925 il generale Pankalos (1878-1952) impone di fatto una dittatura, rovesciata poco più di un anno dopo dal generale Georgios Kondylis (1878-1936). I governi che seguono cercano, attraverso il varo di una costituzione nel 1927, di rendere irreversibile la scelta repubblicana, ma nello stesso tempo non possono prendere le distanze dallo spirito nazionalista dominante nel Paese. Un trattato di amicizia con la Jugoslavia non viene ratificato dal parlamento. Nel luglio del 1928 torna a capo del governo Venizelos il quale, contrariamente alla linea seguita in passato, mitiga l’estremismo nazionalista, stabilendo trattati d’amicizia con l’Italia, la Jugoslavia e persino con la Turchia (emblematica la visita del presidente turco Ismet Inönü in Grecia nel 1931). Tale politica provoca però un crollo della sua popolarità e le sue dimissioni, seguite da un nuovo colpo di Stato del generale Kondylis, che impone il ritorno alla monarchia (ottobre 1935). Giorgio II, di nuovo sul trono, appoggia la dittatura del generale Ioánnis Metaxás (1871-1941), dal 1936 al 1941. Le principali difficoltà Metaxas le incontra in politica estera; il carattere militarista e autoritario del regime da lui instaurato lo conduce a privilegiare un’alleanza con i Paesi dell’Asse, che si rende impossibile quando l’Italia, nel corso della seconda guerra mondiale, aggredisce la Grecia. Le difficoltà incontrate dall’esercito italiano, a partire dall’ottobre 1940, costringono la Germania a intervenire (aprile 1941), per poi insediare un governo collaborazionista, guidato dal generale Georgios Tsolakoglou (1886-1948), mentre il re questa volta sceglie l’esilio, protetto dalle truppe britanniche, prima a Creta e, successivamente, al Cairo (maggio 1941). Si costituiscono allora in Grecia diverse formazioni guerrigliere di vario orientamento politico, che organizzano un’azione di resistenza, sempre più favorita dalla popolazione, esasperata dalla estrema militarizzazione imposta dagli occupanti tedeschi.
L’abbandono della Grecia da parte dei Tedeschi e il contemporaneo sbarco delle truppe inglesi (ottobre 1944) non portano alla pacificazione. Le forze comuniste della Resistenza non accettano di deporre le armi e iniziano azioni di guerriglia contro i nuovi occupanti; mentre a stroncare la nuova resistenza, guidata dal generale Markos (1906-1992), intervengono, oltre alle truppe inglesi, anche quelle statunitensi. La guerriglia comunista viene definitivamente sconfitta nel 1949. La Grecia nel frattempo ha già firmato i trattati di pace e Paolo I (1901-1964) è succeduto al padre Giorgio II. Le prime elezioni (marzo 1950) vedono prevalere il Partito Progressista del generale Nikólaos Plastiras (1883-1953) ma, successivamente, il potere torna alle destre con i due governi consecutivi del maresciallo Alexandros Papagos (1883-1955).
La politica attuata è moderata: da una parte provvedimenti economici tesi a risolvere la crisi economica del Paese (svalutazione della moneta, accordi commerciali con varie nazioni), dall’altra trattati d’amicizia con Stati storicamente rivali (Jugoslavia, Turchia, Unione Sovietica). Il partito di maggioranza relativa è l’ERE (Unione Nazionale Radicale), appoggiato in seguito anche dal centro politico, erede del repubblicanesimo di Venizelos. La situazione fino al 1961 è di relativa stabilità, con a capo del governo Kostantin Karamanlis (1907-1998), l’uomo politico di maggior rilievo dalla metà degli anni Cinquanta fino al 1995. Rispetto agli altri Paesi occidentali, la Grecia corre maggiori rischi di veder degenerare il proprio assetto istituzionale anche perché la politica anticomunista, conseguenza della lotta alla guerriglia di Markos, genera conflitti sociali: nel 1959, per esempio, la carcerazione del politico comunista Manolis Glezos (1922-) provoca numerose manifestazioni antigovernative, così come nel 1963 l’assassinio di un deputato dell’EDA, la formazione legale dietro la quale agiscono i comunisti. Emerge in questo periodo una nuova formazione politica, il Partito Liberale Democratico, guidato da Giorgios Papandreu (1888-1968) che, costituitosi nel 1959 in seguito a una scissione del Partito Liberale, provoca una crisi dell’esecutivo sfruttando la disponibilità dell’EDA ad appoggiare un governo di centro. Durante il governo Papandreu, in cui il trono passa da Paolo I (1901-1964) a Costantino II (1940-), si democratizza la vita politica, con l’introduzione delle riforme e la liberazione dei prigionieri politici. Papandreu deve però rassegnare le dimissioni (luglio 1975) di fronte all’impopolarità della sua politica verso Cipro, favorevole a un compromesso con la Turchia: non è tanto l’opinione pubblica ad appoggiare una linea di intransigente nazionalismo, quanto l’intesa tra il nuovo re e gli ambienti conservatori e militari. Il Paese torna a infiammarsi, con violente manifestazioni antimonarchiche a sostegno di Papandreu. Segue un lungo periodo d’instabilità, nel corso del quale i governi in carica tentano di reintrodurre una politica autoritaria, scontrandosi con un fronte antidittatoriale, costituito dal partito di Papandreu e dall’EDA. Nel 1967, nella notte tra il 20 e il 21 aprile, il generale Stylianos Pattakos (1912-) e i colonnelli Georgios Papadopoulos (1919-1999) e Nikolaos Makarezos (1919-2009) realizzano un colpo di Stato e impongono una dittatura militare. Costantino II abbandona la Grecia, trasferendosi a Roma, pur mantenendo contatti con il nuovo governo. La repressione contro le opposizioni è spietata. Nell’agosto 1968 fallisce un attentato contro Papadopoulos organizzato da Alekos Panagulis (1939-1976), il più celebre detenuto politico della Grecia “dei colonnelli”.
I militari al potere non riescono comunque a risolvere i gravi problemi del Paese: a livello istituzionale, mantengono in un primo tempo la forma monarchica, seppure con il re in esilio; successivamente favoriscono la stesura di due testi costituzionali che non trovano mai attuazione. Il perdurare della crisi economica produce tensioni fra gli stessi militari e Papadopoulos, dopo avere sventato un colpo di Stato monarchico (1973), consegna il governo a un civile (Spiros Markezinis, 1909-2000), pone fine alla legge marziale e fa approvare un provvedimento d’amnistia. Un colpo di Stato provoca l’arresto di Papadopoulos e la sua sostituzione con il generale Phaedon Gizikis (1917-1999).
Il crollo dei governi militari e l’avvio del processo di democratizzazione
Il governo dei militari viene totalmente delegittimato in seguito al tentativo di riaprire la questione di Cipro poiché l’intervento dell’ONU scongiura il conflitto con la Turchia e favorisce il ritorno della democrazia. Il primo governo democratico viene nuovamente affidato a Karamanlis (23 luglio 1974). La definitiva democratizzazione sul piano interno non risolve però le difficoltà in politica estera: la Grecia decide di uscire dalla NATO (14 agosto 1974), accusando l’organizzazione di mantenere un atteggiamento filoturco. Nel 1975 un referendum approva la forma repubblicana dello Stato. Il 1977 è un anno di svolta: nelle elezioni emerge un nuovo partito, il Pasok (Movimento Socialista Panellenico), guidato da Andreas Papandreu (1919-1996), destinato, insieme a Karamanlis, a essere la figura politica più rappresentativa dei successivi venti anni. Intanto, un incontro di Karamanlis con il primo ministro turco Bülent Ecevit (1925-2006) riduce le tensioni tra i due Paesi, che appena un anno prima sono stati sull’orlo della guerra. La Grecia entra inoltre a far parte della Comunità Economica Europea. Nel 1980 Karamanlis viene eletto presidente della Repubblica, mentre nel 1981 il Pasok prevale, confermandosi primo partito anche nelle due successive consultazioni. La politica di austerità attuata per affrontare la crisi economica restituisce la guida del governo, nel 1986, a Nuova Democrazia, formazione politica di centro. La politica del Pasok, inoltre, non risolve del tutto le relazioni della Grecia con gli altri Paesi occidentali: un accordo firmato nel 1983 limita la presenza delle basi militari statunitensi a scopo esclusivamente difensivo; inoltre la nazione, per protesta contro un presunto atteggiamento favorevole alla Turchia, decide di non prendere parte alle esercitazioni comuni della NATO. I rapporti con la Turchia migliorano durante il governo di Nuova Democrazia – primo ministro Costantino Mitsotakis (1918-) –: un accordo tra i due Paesi viene firmato a Davos, nel gennaio 1988 ed è suggellato da una visita del premier turco Turgut Özal (1927-1993) in Grecia. Un nuovo dissenso con i Paesi occidentali, dopo un periodo di sostanziale convergenza politica, si ha nel 1993, per il riconoscimento della Macedonia: il nome del nuovo Stato, nonché i simboli presenti sulla bandiera, sono infatti considerati parte della tradizione culturale greca. Il contenzioso si risolve solo nel 1996, con l’apertura dei canali diplomatici tra i due Paesi e la modifica della bandiera macedone. A rendere possibile tale soluzione è il primo ministro Kostas Simitis (1936-), successore di Papandreu al Pasok, il quale è favorevole a una linea politica conciliante verso l’Europa. Il partito mantiene il potere anche all’inizio del nuovo secolo, a eccezione di un periodo compreso tra il 1999 e il 2000.
A livello internazionale non sono del tutto risolte le questioni con la Turchia in merito alle acque territoriali nel mare Egeo e con l’Albania, per i diritti della minoranza greco-ortodossa presente in quello Stato. Inoltre la Grecia non partecipa alle operazioni militari della NATO contro la Repubblica Jugoslava, particolarmente avversate dall’opinione pubblica. La Grecia, in politica economica, riesce a rispettare i parametri stabiliti dal trattato di Maastricht e a entrare, nel giugno 2000, nell’Unione monetaria europea. Il dominio politico del Pasok si interrompe con le elezioni del 7 marzo 2004, che assegnano la maggioranza assoluta a Nuova Democrazia, guidata da Kostas Karamanlis, sotto il cui governo si tengono, nello stesso anno, le Olimpiadi ad Atene. Nonostante una crescita economica superiore alla media europea nei primi anni del nuovo secolo, la Grecia riceve un’ammonizione dall’Unione Europea per avere superato la percentuale del 3 percento nel rapporto tra deficit e prodotto interno lordo. Nel 2005 è eletto alla presidenza della Repubblica Karolos Papoulias, uno dei leader più popolari del Pasok.