La fortuna di Gentile fuori d’Italia
La statura europea del pensiero di Giovanni Gentile è stata tematizzata da ottimi lavori di studiosi italiani (Natoli 1989; Severino 2014), i quali hanno mostrato come molti dei temi espressamente presenti nella riflessione gentiliana si trovino in dialogo ideale con decisive correnti della filosofia europea. Nella prospettiva di queste ricostruzioni, l’attualismo, pur non avendo goduto della rinomanza e della fortuna che invece hanno arriso ad altri indirizzi di pensiero, configura una filosofia schiettamente europea, in quanto inserita a pieno titolo nel generale movimento speculativo della filosofia moderna che da Cartesio giunge a noi attraverso Immanuel Kant e Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Siffatte ricerche si articolano sul piano eminentemente speculativo, assumendo come presupposto che l’attualismo sia rimasto di fatto all’interno dei confini geografici della cultura italiana, venendo poi trascurato nel dopoguerra anche dalla stessa filosofia italiana. In altri termini, la persuasione da cui queste ricerche prendono le mosse è che il pensiero di Gentile, nonostante la sua caratura teorica schiettamente europea, non abbia storicamente interagito con le correnti filosofiche europee, che esso, cioè, non sia di fatto penetrato fuori d’Italia.
Ora, queste pagine muovono da un presupposto contrario: da un lato, vogliamo infatti mostrare che l’attualismo abbia bensì conosciuto una, ancorché limitata, fortuna storica al di fuori dei confini nazionali; e, dall’altro, miriamo a illuminare le forme secondo le quali tale ricezione si è concretamente attuata. Si tratta, allora, di indagare le tracce, talvolta assai minute ma filologicamente verificabili, che l’attualismo ha lasciato nel dibattito filosofico del Novecento. Geograficamente, ci concentriamo sulla letteratura filosofica tedesca, anglosassone e francese con un particolare riguardo per la prima; cronologicamente, consideriamo la diffusione dell’attualismo a partire dagli anni Venti sino a oggi, suddividendo l’intervallo temporale in due periodi, distinti dal 1944, data di morte del filosofo di Castelvetrano. Tale periodizzazione ha il suo fondamento teoretico in ciò: se fino al 1944 la ricezione del pensiero gentiliano si caratterizza globalmente per il tentativo di comprendere l’attualismo come sistema filosofico in sé consistente, nei decenni successivi emerge la tendenza a trattare la filosofia di Gentile in chiave storiografica, facendo del pensiero gentiliano non più il fine della ricerca, ma piuttosto il mezzo per comprendere l’ideologia del fascismo italiano. Infine, della vastissima produzione gentiliana prediligiamo tre ambiti: la filosofia teoretica, la filosofia dell’arte e la pedagogia. Tale opzione è certo in parte arbitraria, ma, da un lato, offre il vantaggio di cogliere l’importanza della figura di Gentile nella sua forma filosoficamente più pura – cioè liberandola da quelle interpretazioni che la riducono a riflesso teorico di un circoscritto momento storico –, dall’altro, consente di aprire l’orizzonte della nostra ricerca su taluni episodi della fortuna di Gentile ancora non indagati.
Muoviamo innanzi tutto dalle traduzioni tedesche delle opere di Gentile. Se tutte le opere principali di Benedetto Croce hanno conosciuto una traduzione in lingua tedesca, lo stesso non può dirsi di Gentile. L’unica opera sistematica gentiliana che sia stata integralmente tradotta è la Filosofia dell’arte (1931), pubblicata a Berlino nel 1934. Nel 1931 erano uscite per l’editore Mohr di Tubinga due conferenze di Gentile, riunite in un volume dal titolo Der aktuale Idealismus. Un ulteriore contributo di Gentile, l’articolo Der Begriff der Natur im modernen Idealismus, compare nel 1931 nello italienisches Heft della rivista «Logos», in cui vengono presentati alla scena filosofica tedesca contributi di alcuni tra i più rappresentativi filosofi italiani del tempo. Nel 1970, infine, è pubblicata a Paderborn l’antologia Giovanni Gentile. Philosophie und Pädagogik, a cura di Kurt Gerhard Fischer, in cui si presentano alcuni dei luoghi più significativi della dottrina gentiliana dell’educazione. Come si vede, né le principali opere sistematiche né le opere storiografiche di Gentile hanno destato in Germania l’interesse degli editori. E tuttavia, la letteratura tedesca sull’attualismo si riferisce anche proprio al Sistema di logica come teoria del conoscere (1° vol., 1917; 2° vol., 1923) e alla Teoria generale dello spirito come atto puro (1916), operando un’esegesi di tali opere che attinge direttamente alle fonti in lingua italiana.
Se procediamo cronologicamente, il primo e decisivo intervento in merito al pensiero di Gentile è il saggio di circa ottanta pagine Giovanni Gentiles aktualistischer Idealismus redatto dallo psicologo e filosofo svizzero Carlo Sganzini (1881-1948), professore all’Università di Berna, apparso nel 1925 su «Logos», rivista cui collaborano fra gli altri, come è noto, Edmund Husserl ed Ernst Cassirer. Punto di partenza dell’analisi di Sganzini è la singolare circostanza per cui il pensiero di Gentile – che a suo dire costituisce il «tentativo più coerente, coraggioso e radicale che mai sia stato intrapreso di comprendere la realtà come pura, originaria ed eterna soggettità [Subjekthaftigkeit]» (Sganzini 1925, p. 166) – venga interpretato superficialmente come un «rimasticamento [Wiederkauen] di pensieri hegeliani» e dunque misconosciuto nella sua reale potenza:
Un adeguato apprezzamento di questo neoidealismo italiano, che noi giudichiamo come una fase altamente significativa dello sviluppo del pensiero filosofico in generale, è stato impedito – fuori d’Italia, ma anche occasionalmente in Italia – dal fatto che questo neoidealismo apparve come neohegelismo o che esso si lasciò trattare come tale […]. Si ritiene che la filosofia hegeliana sia definitivamente conclusa e non suscettibile di sviluppo – opinione che, per altro, pare dimostrata dal destino degli epigoni di Hegel – così che “neohegelismo” può solo significare un rimasticamento di pensieri hegeliani (pp. 164-65).
Scopo del saggio di Sganzini non è, dunque, quello di fornire un’esposizione scolastica dell’attualismo, bensì di prendere posizione rispetto a esso, esibendo al lettore tedesco, da un lato, l’appartenenza dell’attualismo al movimento speculativo della filosofia moderna e, dall’altro, la sua intrinseca originalità proprio rispetto alla tradizione filosofica discendente da Kant e da Hegel. In tal senso, Gentile
è Berkeley, Kant, Fichte e tutte le più recenti declinazioni del principio dell’immanenza nella coscienza […] depurato da tutto ciò che costituisce una precondizione o, in qualche modo, un prius rispetto al pensiero in atto (p. 170).
Il punto centrale da cui Sganzini legge la filosofia teoretica gentiliana è la dicotomia fra pensiero pensante e pensiero pensato, fissata da Gentile nel Sistema di logica:
questa distinzione fra pensiero pensante e pensiero pensato è il cardine dell’intero sistema gentiliano, dove è da evidenziare con forza che il pensiero pensato (il contenuto di pensiero, l’oggetto del pensiero, il senso, il significato considerati in sé) non condiziona mai il pensiero attuale (p. 178).
Tale distinzione consente a Sganzini di illustrare come l’idealismo di Gentile, lungi dall’essere un «rimasticamento di pensieri hegeliani», deve giungere piuttosto a una critica radicale di Hegel. Infatti, poiché
l’idealismo è innanzitutto la negazione di ogni realtà che, come oggettività, stia di fronte al pensiero quale presupposto di questo, ma è anche negazione dello stesso pensiero come attività pensante, là dove questo venga inteso come realtà già data e sussistente in sé al di fuori del proprio dispiegamento (p. 181),
allora Gentile deve obiettare a Hegel di non aver tenuto fermi i propri stessi principi e di essere ricaduto, nella sua logica, in una forma di obiettivismo platonico, in cui le forme costituiscono un sistema categoriale chiuso ed esterno all’autocoscienza. Con Gentile «il panlogismo è inserito in un radicale soggettivismo (non empirico, bensì integralmente trascendentale)» e ciò, secondo Sganzini, «conduce l’intera sovrastruttura della logica hegeliana al crollo [zum Stürzen]» (p. 170). In positivo Sganzini ritiene che l’attualismo costituisca una creazione filosofica autonoma e originale, rispetto alla quale egli pronuncia un fondamentale apprezzamento:
Che l’attualismo sia una creazione originale e fortemente connotata lo ammettono anche i suoi critici non prevenuti. Da un punto di vista storico, esso costituisce di fatto una nuova posizione che si distingue in modo inconfondibile dalle altre posizioni filosofiche con le quali è legato o che lo precedono […] Agostino, i nominalisti, Descartes, gli empiristi inglesi, Kant-Fichte-Hegel possono essere facilmente riconosciuti come passaggi intermedi rispetto a questo obiettivo finale (p. 231).
Le pagine di Sganzini – per il prestigio della sede in cui sono apparse, per la loro estensione e profondità – costituiscono il documento più rilevante della fortuna di Gentile in Germania e configurano, a nostro giudizio, la più autentica introduzione all’attualismo mai apparsa in lingua tedesca. Esse hanno il merito di condurre un’analisi immanente della filosofia di Gentile, disponendosi quindi dentro l’edificio teorico gentiliano e all’altezza teoretica di esso: da tale prospettiva il pensiero di Gentile viene giudicato e apprezzato nel suo contenuto originale.
Gentile viene recensito anche in un’altra sede prestigiosa. Le «Kant-Studien» dedicano, infatti, al filosofo siciliano un’attenzione diretta, pubblicando alcune recensioni a singole opere, e un’attenzione indiretta attraverso la pubblicazione di articoli, come quello di Guido Calogero nel 1934, in cui si delineano le correnti filosofiche allora prevalenti in Italia, fra le quali spicca, ovviamente, l’attualismo. Nel 1931 Werner Peiser (1895-1970), accademico e diplomatico ebreo tedesco, redige una breve presentazione dell’attualismo. Anche questo lavoro si prefigge lo scopo di fornire una presentazione del contenuto teorico dell’opera di Gentile che sia il più possibile immanente all’opera stessa e che ne mostri al lettore tedesco l’originalità. In proposito, Peiser afferma all’inizio:
Originale e nuova è la linea tracciata da Gentile: da Giordano Bruno attraverso Spinoza, in cui confluirebbe l’intera filosofia dai tempi di Talete […]. Il rovesciamento della dottrina monistica di Spinoza dall’oggetto al soggetto e il superamento della fuga intellettualistica costituiscono secondo Gentile il compito di tutti i filosofi da Kant, Fichte, Schelling e Hegel fino a Spaventa [...]. La filosofia di Gentile si fonda nel superamento di ogni posizione intellettualistica. Egli identifica la filosofia con la storia della filosofia e si adopera per un essenziale rinnovamento dell’idealismo contemporaneo (Peiser 1931, pp. 358-59).
Peiser si concentra, come già Sganzini, sull’uso antihegeliano che Gentile fa del principio dell’immanenza, mostrando come Gentile possa obiettare alla logica di Hegel di configurare una posizione intellettualistica e astratta, e dunque prehegeliana.
Possiamo ora concentrarci sui contributi che vertono non già sui fondamenti teorici del sistema, bensì su regioni specifiche di esso: la pedagogia e la filosofia dell’arte. In riferimento alla pedagogia, è da menzionare innanzi tutto il documentatissimo studio in volume Giovanni Gentile’s Philosophie und Pädagogik (1935) di Johannes Baur. Esso è suddiviso in cinque capitoli che affrontano la pedagogia e la riforma gentiliana in prospettiva sia sistematica sia storica. L’autore ripercorre il legame organico fra la filosofia teoretica di Gentile e la teoria dell’educazione, mentre nel primo e nell’ultimo capitolo si analizzano rispettivamente le teorie pedagogiche pregentiliane e la concreta struttura del sistema scolastico attuato dalla cosiddetta riforma Gentile.
Assai rilevante è un’approfondita analisi, lunga più di cinquanta pagine, degli studi gentiliani di pedagogia apparsa nel 1934 sulla rivista «Die Erziehung» a firma del pedagogista russo di formazione tedesca Sergius Hessen (1887-1950). Hessen non si limita a restituire i lineamenti fondamentali della teoria generale dell’educazione nel suo rapporto organico con i principi dell’attualismo, ma opera anche un sistematico confronto fra la pedagogia di Gentile e le teorie dell’educazione allora dominanti in Germania, soprattutto quelle di ispirazione positivistica e herbartiana, mostrando come la filosofia di Gentile, posta in dialogo ideale con la cultura pedagogica tedesca, si opponga efficacemente tanto ai principi teorici quanto alle conseguenze pratiche delle dottrine educative al tempo più diffuse.
Il quadro teorico delineato da Hessen lascia chiaramente emergere la forza teorica dell’attualismo e della sua dottrina dell’educazione: nella deduzione rigorosa della dottrina pedagogica dall’unità dei principi primi del sistema, l’attualismo si pone – nello studio di Hessen – come confutazione di un intero paradigma teorico e come una dottrina che conosce molteplici punti di tangenza – questa una delle tesi del lavoro di Hessen – con la pedagogia antiherbartiana di Paul Natorp.
Dopo aver mostrato l’originalità e la fecondità della pedagogia di Gentile, Hessen ne elabora infine una ponderata valutazione critica, che si incardina intorno al monismo della dottrina gentiliana. Nella visione di Hessen, infatti, la pedagogia di Gentile si mostra «particolarmente efficace nella critica della vecchia Scuola» e
il suo indubbio merito consiste nell’aver provato a tutti i livelli dello sviluppo spirituale l’unità della problematica pedagogica; tale unità è del tutto sufficiente per una pedagogia che si proponga un compito negativo – quello di sciogliere le contraddizioni della dottrina tradizionale. Ma alla costruzione di un sistema positivo di pedagogia appartiene necessariamente anche la differenziazione della problematica pedagogica (Hessen 1934, pp. 484-85).
Un ulteriore aspetto della filosofia gentiliana che ha conosciuto echi in Germania è la filosofia dell’arte. In tale ambito si distinguono due contributi: il primo, più rilevante, appare nel 1937 sulla «Zeitschrift für Ästhetik» per opera dello studioso austriaco Friedrich Kainz (1897-1977), mentre il secondo esce nel 1938 sui «Blätter für deutsche Philosophie», rivista della Deutsche philosophische Gesellschaft, la società filosofica tedesca, che propugna sino al suo scioglimento nel 1945 posizioni fortemente nazionalistiche, le quali rispecchiano peraltro l’impostazione generale del neokantiano Bruno Bauch, uno dei fondatori nonché direttore della Deutsche philosophische Gesellschaft sino al 1942. Il saggio di Kainz prende le mosse dalle cognizioni che intorno alla situazione della filosofia italiana poteva avere in quegli anni uno studioso tedesco di filosofia, il quale – così argomenta Kainz – ritiene certamente che sia Benedetto Croce il massimo rappresentante della cultura filosofica italiana. Ora, secondo Kainz,
Croce deve la sua posizione di monopolio [Monopolstellung] certo innanzi tutto alla circostanza che le sue opere, attraverso la loro traduzione, sono state avvicinate al pubblico tedesco, laddove tale onore non è toccato ad altri pensatori di rango non certo inferiore. E così Croce vale come il più grande poiché egli, per i tedeschi, è in realtà l’unico (Kainz 1937, p. 178).
Il saggio di Kainz si prefigge lo scopo di fornire un’esposizione della teoria estetica gentiliana e nel contempo di additare al lettore tedesco la forza teorica di questa filosofia, la cui fama appare ingiustamente inferiore sia rispetto a Croce sia, soprattutto, rispetto all’intrinseca qualità del pensiero:
La traduzione in tedesco di questo libro [La filosofia dell’arte] è da accogliere in termini assolutamente positivi: essa rende accessibile ai lettori tedeschi un’opera cui non seguirà presto una seconda che possa informare egualmente bene circa la situazione filosofica italiana – e molto al di là della problematica particolare dell’estetica e della filosofia dell’arte […]. Qui un grande antagonista di Croce mostra le inconseguenze dell’idealismo di costui, ovvero le sue frequenti ricadute realistiche, e inoltre mette in luce le contraddizioni intellettualistiche della filosofia crociana del sentimento nonché le crepe e le mancanze nell’elaborazione crociana del concetto di intuizione e di contemplazione. Tutto ciò si compie con una acutezza e con un rigore del pensiero che non facilmente troveranno eguali. Ma naturalmente questo libro non è per noi rilevante solo per la sua parte critica e negativa. Esso, nelle parti costruttive, è così tanto originale e innovativo che verrà letto con profitto e interesse anche da colui che non condivida l’assunto iniziale dell’autore o che non possa condividere alcune estreme conseguenze che discendono dal punto di vista teorico qui adottato (pp. 178-79).
D’altra parte, il giudizio fondamentalmente positivo espresso da Kainz non deve indurre a ritenere che egli offra qui una lettura meramente apologetica dell’attualismo. Al contrario, l’autore si diffonde ampiamente su tutti gli aspetti che a lui appaiono come limiti dell’opera, sebbene in conclusione venga chiarito che le obiezioni «non possono e non debbono eliminare la forte impressione del valore di questo libro e nemmeno intaccarla» (p. 191).
Il secondo contributo è invece di Hermann Glockner (1896-1979), il grande studioso di Hegel. L’esposizione offre una sintesi della Filosofia dell’arte e muove ancora dal contrasto fra la qualità dell’opera di Gentile e la sua minore fama rispetto a Croce, nuovamente ricondotta all’accessibilità dell’opera crociana in lingua tedesca. In merito a Gentile, Glockner esplicita all’inizio il suo giudizio complessivo:
Prima di discutere l’impostazione fondamentale e lo svolgimento concettuale dell’opera, sia reso chiaro in via preliminare che da molto tempo la filosofia dell’arte non aveva dato un contributo che potesse misurarsi, per profondità e originalità, con le ricerche di Gentile. E perciò bisogna accogliere con viva soddisfazione il fatto che sia stata realizzata una traduzione tedesca. Alcune teorizzazioni presenti in questo libro, le quali provengono originariamente dalla filosofia tedesca, ritornano a noi, ma trasformate nel medium di un diverso carattere nazionale e talora molto svecchiate (Glockner 1938, p. 336).
Con la recensione di Glockner concludiamo la prima fase della ricognizione della fortuna gentiliana in Germania e spostiamo ora l’attenzione verso la letteratura filosofica in lingua inglese. Si è visto che il contatto della cultura tedesca con Gentile risulta talora impedito dalla mancanza di traduzioni delle sue opere sistematiche, la Teoria generale e il Sistema di logica. Diversa, ancorché solo parzialmente, è la situazione in riferimento alla cultura filosofica anglosassone che dal 1922 dispone della Teoria generale nella traduzione di Wildon Carr, uscita presso MacMillan con il titolo The theory of mind as pure act, e amplissimi stralci del Sistema di logica, contenuti nello studio di Roger Holmes sulla logica di Gentile, pubblicato nel 1937 con il titolo The idealism of Giovanni Gentile. Il ruolo di mediazione svolto da quest’ultimo testo è centrale e viene riconosciuto anche in Germania: nel 1938 sulla rivista «Die Tatwelt» fondata da Rudolf Eucken si legge che non essendoci
ancora alcuna traduzione tedesca del Sistema di logica, tanto maggiore è il significato del lavoro di Holmes il quale, seppur in inglese, rende possibile ad una cerchia più larga di lettori di familiarizzarsi con le dottrine gentiliane (M.L. Gräfin Strachwitz, Der Idealismus von Giovanni Gentile, «Die Tatwelt», 1938, 1, p. 96).
Tuttavia, l’importanza del trattato di Holmes non si esaurisce nel semplice fatto di aver tradotto in inglese ampi luoghi del Sistema di logica. Esso si rivela determinante anche per il metodo di analisi, divenendo paradigmatico di un’ermeneutica ispirata all’empirismo che, come si vedrà dappresso, costituisce la cifra di una buona parte della ricezione dell’attualismo in lingua inglese.
Lo studio di Holmes si lascia tematicamente suddividere in due parti. La prima costituisce un commentario al Sistema di logica; la seconda si configura come un esame critico delle acquisizioni del testo gentiliano: se la prima parte dice poco della posizione filosofica dell’autore, la seconda ne è invece rivelatrice. Holmes, nelle sue obiezioni a Gentile, assume l’attualismo come massimo rappresentante della filosofia idealistica in generale e, al netto di critiche a nostro avviso poco rilevanti sul piano strettamente teoretico (conduce un’analisi del linguaggio gentiliano, ravvisando imprecisioni nella terminologia e suggerendo correzioni), tenta di dimostrare come l’idealismo, scontrandosi irrimediabilmente con il dato del common sense, sia destinato a capitolare. Holmes pone in tensione il principio attualistico gentiliano, che riconduce la realtà all’attività tetica del pensiero, con l’evidenza sensibile dell’esperienza naturale, concludendo che l’idealismo di Gentile crollerebbe dinanzi al senso comune:
Gentile afferma che il pensiero crea non solo il mondo della natura, ma anche tutte quelle entità che rientrano sotto la denominazione generale di non-io. Di primo acchito ciò appare essere pura bizzarria. Affermare che una teoria non si accordi con il senso comune non costituisce necessariamente una seria accusa, naturalmente. E tuttavia c’è una molteplicità di esperienze quotidiane che determina continuamente un senso comune quotidiano il cui valore pratico, quando non anche teoretico, non può essere negato in favore di una qualche metafisica. Di tale carattere è la nostra esperienza quotidiana della natura. Ci costringe alla credenza per cui i fenomeni della natura sono uniformi, e di un’uniformità indipendente dal pensiero. Il pensiero potrà anche crearsi un mondo in cui l’acqua risale il pendio ma, nonostante tutto il suo potere creativo, il pensiero è in qualche modo costretto a ‘creare’ il mondo nel quale viviamo, dove l’acqua discende il pendio (Holmes 1937, p. 114).
Non spetta a noi stabilire quanto tale critica colpisca l’edificio teorico gentiliano. Interessa solo rilevare, sul piano metodologico, che in Holmes opera un’ermeneutica in cui l’idealismo assoluto di Gentile viene costantemente misurato sul common sense e su una nozione empiristica della verità, e proprio in forza di tale confronto sostanzialmente rigettato. Non meraviglia allora che con siffatta ermeneutica, fondamentalmente estranea alla metafisica idealistica, si possa concludere che l’attualismo «contraddice anche le più sicure credenze del common sense e senza troppe scuse mette da parte in quanto non filosofico ogni studio empirico del cosmo […]. La posizione di Gentile è certamente instabile» (p. 240).
Ora, tale approccio al testo di Gentile costituisce in generale la cifra di una buona parte della ricezione anglosassone dell’attualismo. A tal proposito sono interessanti alcuni contributi apparsi sul «Journal of philosophy» fra il 1926 e il 1931. In un breve articolo dal titolo significativo Giovanni Gentile and the hegelian invasion of Italy George Boas, professore della Johns Hopkins University, polemizza nel contempo con Hegel e con Gentile – ma anche con Aristotele e soprattutto con Plotino – poiché costoro avrebbero a vario titolo operato una «svalutazione» (disparagement) della materia. Gentile sarebbe dunque sommamente colpevole, elaborando egli una filosofia che, per un lato, è hegeliana in quanto fa della logica «the lord of creation» e che, per un altro, mescola Hegel con il «neoplatonismo di Bruno e Vico». In conclusione, si afferma che «il più grande significato [dell’attualismo] è storico, poiché esso costituisce il culmine di quella brama per il capriccio [yearning for caprice] dominante negli anni Venti». Non è strano che esso doveva diventare la filosofia del fascismo (Boas 1926, p. 188). La polemica di Boas contro l’idealismo di Gentile torna nel 1931 sempre sulle pagine del «Journal of philosophy», ora nel contesto di una recensione alla Filosofia dell’arte. Boas riprende ancora la sua critica empiristica e materialistica al neoplatonismo e conclude:
La filosofia di Gentile – come quella di Croce, di Fichte, di Schelling e forse di Hegel, come quella di Schopenhauer e certamente come quella di Bergson, come quella di tutti i neoplatonici e neopitagorici – è una sorta di intuizione lirica, che andrebbe giudicata per la sua bellezza piuttosto che per la sua verità, dove verità indica la corrispondenza con il fatto [correspondence with fact]. In qualità di mito affascinante, i cui personaggi sono termini astratti, essa [la Filosofia dell’arte di Gentile] rientra fra i migliori e, se fosse espressa con meno livore, la si potrebbe leggere con il piacere che deriva dal leggere un poema filosofico […]. A dispetto delle sue pecche, Gentile è comunque capace di scrivere con schiettezza e spontaneità e, sebbene dal suo libro si possa apprendere poca filosofia, si può godere di una o due settimane di divertente lettura (Boas 1931, pp. 698-99).
Dobbiamo fare menzione di una modalità di ricezione della filosofia dell’atto, che pure si oppone radicalmente all’attualismo, ma muovendo da differenti presupposti teorici rispetto a quelli di Holmes e Boas: la ricezione cattolica, presente in Inghilterra e in Francia nell’arco cronologico sinora considerato. Come si vedrà in conclusione, tale riferimento non discende solo da un interesse documentario, ma possiede una giustificazione nella natura peculiare dell’esegesi operata da parte cattolica sui testi di Gentile.
Sulla «Revue philosophique» del 1924 compaiono due saggi su Croce e Gentile di Camille Schuwer e nel 1925 la Teoria generale esce in traduzione presso Alcan con il titolo L’esprit, acte pur, a cura di Aline Lion. Una discussione realmente critica dell’attualismo si ha tuttavia soltanto da parte cattolica e con lo studio di Charles Boyer Note sur l’idéalisme de M. Giovanni Gentile, apparso nel 1932 su «Archives de philosophie». Prendendo le mosse da una prospettiva antipositivistica, l’autore vuole «additare le ragioni fondamentali per cui la concezione del mondo propostaci da Gentile è veramente inammissibile» (Boyer 1932, p. 276).
La prima sezione dello studio è un’esposizione fedele del pensiero di Gentile, guidata dall’idea che l’attualismo costituisca «uno sforzo di rendere l’idealismo integralmente logico e veramente assoluto» (p. 264). Ma se da un lato si riconosce a Gentile il merito di «aver combattuto efficacemente il positivismo materialista e di aver dato nuovamente rilievo alla metafisica» (p. 281), la seconda parte del saggio critica l’immanentismo gentiliano dalla prospettiva di Agostino e di Tommaso d’Aquino, i quali
sanno che l’universo è uno e che la verità è identica per tutti, ma lo spiegano attraverso la partecipazione di tutti gli esseri creati e di tutte le intelligenze con l’essere e con la luce di un dio trascendente (pp. 281-82).
In Inghilterra la ricezione cattolica dell’attualismo è testimoniata da due articoli di studiosi italiani apparsi nel primo lustro degli anni Venti sullo «Hibbert journal». Gli autori sono il filosofo Angelo Crespi (1877-1949) e il politico e teologo Romolo Murri (1860-1944). Il contributo di quest’ultimo si configura come una meditazione condotta sui Discorsi di religione, dei quali il terzo costituisce, secondo Murri, «il più interessante e innovativo contributo di Gentile alla filosofia» (Religion and idealism as presented by Giovanni Gentile, «The Hibbert journal», 1921, 2, p. 258). Boyer si concentra sugli aspetti più teoretici del pensiero di Gentile, per es. il problema della verità, mentre Murri e Crespi si interessano prevalentemente ai riverberi dell’attualismo sulla filosofia pratica: qui esso, a loro avviso, approda all’annientamento della morale nell’immanenza dell’atto creatore, e cioè al relativismo.
Le pubblicazioni in lingua tedesca successive al 1944 si fanno molto sporadiche e si rileva che la valutazione dell’attualismo subisce un mutamento. Da una discussione di esso come filosofia vivente, ancora feconda, si passa a una considerazione rigorosamente storiografica, incentrata su singoli aspetti dell’attualismo, fra i quali spicca la pedagogia gentiliana, cui viene dedicata la già menzionata raccolta antologica curata da Kurt Fischer.
In Germania gli interventi sull’attualismo ruotano direttamente e indirettamente intorno alla figura di Hans Georg Gadamer (1900-2002). Direttamente: nel 1997 Gadamer evoca Gentile nell’introduzione al volume di Kuno Fischer Logik und Metaphysik oder Wissenschaftslehre (1852), individuando a buon diritto nel filosofo siciliano il momento più alto della fortuna del pensiero di Kuno Fischer fuori dalla Germania. Per quanto concerne, invece, il rapporto indiretto di Gadamer con Gentile, occorre rifarsi alla rivista fondata dal primo, la «Philosophische Rundschau», che nel 1957 pubblica due interventi di Joachim Ranke – in cui, rispettivamente, si recensiscono il volume di Vito Bellezza L’esistenzialismo positivo di Giovanni Gentile e le Note sul pensiero di Giovanni Gentile di Ugo Spirito – e, ancora, il lungo contributo di Valerio Verra Die italienische Philosophie von 1945-1955 im Überblick.
La prospettiva di questo lavoro è particolarmente rilevante: esso, documentando la crisi dell’idealismo in Italia, vuole in verità documentare la fine di un’intera epoca filosofica. Con la morte di Gentile e di Croce lo scenario filosofico italiano muta radicalmente, poiché, afferma Verra,
non vi è oggi in Italia una filosofia, un linguaggio, un indirizzo filosofico fondamentale che sia dominante e al quale si potrebbe riferire, come obbiettivo polemico, anche colui che non lo seguisse (Verra 1957, p. 243).
L’intento di Verra non è tuttavia meramente documentario: si propone piuttosto di mostrare al lettore tedesco come il declino dell’idealismo italiano si riverberi in una riconfigurazione dei rapporti tra la filosofia italiana e la filosofia europea. Lo studio di Verra trae infatti il suo senso dall’assunto iniziale, per cui l’idealismo di Croce e Gentile aveva, da un lato, unificato la cultura filosofica nazionale; dall’altro, aveva attirato sull’Italia l’attenzione del mondo filosofico internazionale. Un discorso sulla crisi dell’idealismo italiano, esposta al lettore della «Philosophische Rundschau», si risolve per Verra nella descrizione di una crisi interna ai confini italiani, che nel contempo coincide con l’indicazione della necessità, per la comunità filosofica tedesca, di elaborare una nuova rappresentazione della cultura filosofica italiana – non più, quindi, associata ai soli nomi di Gentile e di Croce. La ricerca di Verra assume dunque la fisionomia di una ricognizione della cultura filosofica italiana per saggiare, in una prospettiva europea, ciò che è vivo e ciò che è morto dell’idealismo italiano. L’esito dell’indagine è che l’eredità di Croce si mostra ancora viva, laddove il pensiero di Gentile appare invece irrimediabilmente in crisi: «la maggior parte degli allievi di Gentile parla apertamente di una crisi dell’attualismo […] oggi predominano i tentativi di uscire dall’attualismo battendo nuove strade» (Verra 1957, p. 247). Con la presa d’atto di una crisi dell’attualismo, qui emblematicamente testimoniata dalle riflessioni di Verra, l’interesse teoretico della cultura tedesca per il pensiero di Gentile dilegua.
Possiamo ora volgerci brevemente alla letteratura anglosassone che segue cronologicamente la morte del filosofo siciliano: essa è particolarmente rivelativa dell’evoluzione delle forme della ricezione dell’attualismo. Nel 1970 Henry Harris traduce Genesi e struttura della società e nel 1972, per l’editore Cornell University Press, esce la traduzione della Filosofia dell’arte. Per quanto concerne la letteratura secondaria spiccano tre saggi in volume: la ricerca del già ricordato Harris, The social philosophy of Giovanni Gentile, il saggio del 2001 di Anthony James Gregor Giovanni Gentile: philosopher of fascism e, infine, il testo di Myra Moss Mussolini’s fascist philosopher. Giovanni Gentile reconsidered (2004). Il saggio di Moss è suddiviso in cinque parti e vuole saldare uno studio storico di Gentile – come tale concentrato sulla persona e sul suo ruolo politico – con una ricognizione del suo pensiero, colto nei tre momenti della teoria dello Spirito come atto puro, della pedagogia e della filosofia dell’arte. Il libro intende «fornire al lettore di lingua inglese una nuova e originale introduzione all’idealismo attuale di Gentile inteso come sistema» (Moss 2004, p. XV).
La maggior parte degli studi concernenti Giovanni Gentile apparsi nel dopoguerra in lingua inglese trova in ciò la sua caratteristica fondamentale: esplicitamente o implicitamente l’attualismo viene ricondotto a ‘filosofia del fascismo’ e quindi dell’attualismo si studiano fondamentalmente gli aspetti che consentano di gettare luce sul fascismo (pedagogia, filosofia del diritto, dottrina dello Stato).
La presente ricerca si prefiggeva un triplice scopo, e precisamente di verificare: che una ricezione di Gentile fuori d’Italia si sia effettivamente compiuta; perché tale ricezione sia rimasta, nel complesso, meramente episodica e sporadica; come tale ricezione si sia concretamente realizzata.
Ora, abbiamo mostrato che tale diffusione c’è effettivamente stata e nel contempo si è spiegato in che misura tale ricezione si sia attuata. Appare evidente che non si prospetta all’estero una corrente di pensiero direttamente ispirata all’attualismo, né sono esistite figure di filosofi o scuole filosofiche attualistiche, come invece accade, sia pur in forme peculiari, nel caso di Croce. Se però ci fermassimo a tale conclusione, la presente ricerca avrebbe un interesse solo antiquario e si arresterebbe dinanzi a una mera constatazione fattuale, adempiendo soltanto al primo dei tre scopi sopra esposti.
È necessario allora interrogarsi circa il perché di questa mancato incontro fra Gentile e la filosofia europea. Forse ciò dipende da una intrinseca limitatezza del pensiero gentiliano, che viene dunque reputato irrimediabilmente inferiore per qualità e potenza a quello crociano? Nel corso della nostra esposizione, soprattutto in riferimento alla ricezione tedesca, abbiamo potuto rilevare come tutti coloro che ‘hanno preso sul serio’ l’attualismo – che cioè si sono disposti all’interno del suo movimento speculativo, anche per condurne poi una critica –, abbiano teso a mostrare che la forza speculativa del sistema gentiliano non è inferiore proprio a quella di Croce. Ecco che forse la ragione della più grande fortuna in Germania di quest’ultimo risiede nella maggiore accessibilità delle sue opere in lingua tedesca. In effetti, anche in ambito anglosassone, e in anni a noi molto più vicini, si è giunti a siffatta conclusione:
Nonostante l’importanza di Gentile come filosofo neohegeliano italiano […] molto poco è apparso in lingua inglese intorno al suo pensiero. Le ragioni di ciò hanno a che fare con le poche traduzioni in inglese della sua opera, con una de-enfatizzazione, tipicamente angloamericana, delle filosofie neohegeliane insieme con una concentrazione sull’analisi astorica del linguaggio (Moss 2004, p. 1).
E tuttavia, non è solo un problema linguistico. Infatti, la rappresentazione di un nesso inscindibile tra la filosofia di Gentile e il fascismo ha certamente contribuito in misura rilevante alla riduzione dell’attualismo a filosofia fascista della ‘provincia’ italiana. Ma che siffatta riduzione, sul piano strettamente speculativo, sia immeritata, che cioè essa attenga a circostanze esteriori rispetto all’essenziale qualità del pensiero di Gentile, è formalmente indicato dall’opinione dei recensori tedeschi e anglosassoni, ed è materialmente dimostrato dalla nostra indagine. Le opere principali di Gentile, là dove siano state seriamente discusse, hanno suscitato riflessioni profonde, mai apologetiche: che un tale processo di ricezione sia accaduto in misura soltanto sporadica non esclude che – sul piano strettamente qualitativo – l’attualismo si sia affermato, sia pure in modi limitati, come filosofia genuinamente europea.
Veniamo infine al come della ricezione di Gentile fuori d’Italia. Uno sguardo retrospettivo segnala che la letteratura filosofica in lingua inglese ha espresso un numero di contributi maggiore di quello riscontrabile in Germania o in Francia. Tuttavia, nonostante questo primato quantitativo, colpisce come la ricezione tedesca sia riuscita a spingersi più a fondo dentro la struttura concettuale dell’attualismo. Ciò è tanto più notevole, quando si consideri, da un lato, la comune situazione politica di Germania e Italia; dall’altro, il peso della tradizione che inevitabilmente grava sulla riflessione degli interpreti tedeschi del pensiero di Giovanni Gentile. In effetti, tratto caratteristico della ricezione in Germania è la sostanziale assenza sia di un acritico elogio dell’attualismo, più o meno motivato da ragioni politiche, sia di un rifiuto di esso sulla scorta di un pregiudizio che, misurando Gentile sui grandi autori della filosofia classica tedesca, ne sancisca, con orgoglio nazionalistico, la mancanza di originalità. In Germania, insomma, la filosofia di Gentile non viene giudicata né in quanto fascista né in quanto banale neofichtismo:
In questo confronto fra pensieri gentiliani e fichtiani – confronto che non voleva essere in alcun modo esauriente – abbiamo voluto mostrare che non senza ragione è stato affermato che Gentile sia più fichtiano che hegeliano […]. In realtà però Gentile non può essere detto né fichtiano né hegeliano. Gentile è troppo ostinatamente autonomo, la sua filosofia è troppo profonda, troppo solida, troppo fortemente sviluppata, perché essa sia una mera ripetizione di pensieri fichtiani o hegeliani (Baur 1935, p. 121).
Se ci rivolgiamo alla ricezione anglosassone, rileviamo che essa, a prescindere dal dato quantitativo, è rimasta essenzialmente estranea al ‘sistema’ dell’idealismo attuale, colto nella sua radice metafisica come idealismo integrale o come – per dirla con Gentile – «formalismo assoluto». Se Sganzini può affermare che
ogni decisa presa di posizione nelle domande fondamentali della filosofia produce inevitabilmente scandalo nel senso comune […] e colui che non ardisce fino alle estreme conseguenze, colui che non ha il coraggio di essere unilaterale, non è vero filosofo (Sganzini 1925, p. 234),
e se egli, in forza di tale principio, può concludere in favore dell’alta statura filosofica di Gentile, Harris – autore del più classico saggio in lingua inglese sull’attualismo – ritiene, al contrario, che proprio l’urto dell’attualismo contro l’immediatezza dell’esperienza costituisca, in ultima analisi, la prova della sua falsità.
Un punto comunque risulta chiaro. Prima di poter giudicare un sistema filosofico è necessario entrarvi: la filosofia di Gentile costringe l’interprete a disporsi da subito all’altezza della grande metafisica e a mettere fra parentesi le credenze del senso comune. Solo così è possibile entrare nell’edificio teorico gentiliano e criticarlo: ogni obiezione che stazioni al di qua di questa soglia rimane essenzialmente inferiore al suo oggetto e la critica manca il bersaglio. Paradossalmente, una critica è tanto più radicale quanto più essa si appropria dei principi fondamentali del sistema che vuole confutare.
C. Sganzini, Giovanni Gentiles aktualistischer Idealismus, «Logos. Internationale Zeitschrift für Philosophie der Kultur», 1925, 14, pp. 163-240.
G. Boas, Gentile and the hegelian invasion of Italy, «The journal of philosophy», 1926, 23, pp. 184-88.
G. Boas, Review of Giovanni Gentile’s “Filosofia dell’arte”, «The journal of philosophy», 1931, 28, pp. 698-99.
W. Peiser, Rezension zu Giovanni Gentiles “Riforma della dialettica hegeliana” und “Teoria generale dello spirito come atto puro”, «Kant-Studien», 1931, 36, pp. 358-60.
C. Boyer, Note sur l’idéalisme de M. Giovanni Gentile, «Archives de philosophie», 1932, 3, pp. 263-82.
S. Hessen, Die Pädagogik Giovanni Gentiles, «Die Erziehung», 1934, 9, pp. 401-22 e 479-90.
J. Baur, Giovanni Gentile’s Philosophie und Pädagogik, Langensalza 1935.
R. Holmes, The idealism of Giovanni Gentile, New York 1937.
F. Kainz, Giovanni Gentiles Kunstphilosophie, «Zeitschrift für Ästhetik», 1937, 31, pp. 178-91.
H. Glockner, Giovanni Gentiles Philosophie der Kunst, «Blätter für deutsche Philosophie», 1938, 3, pp. 336-40.
V. Verra, Die italienische Philosophie von 1945-1955 im Überblick, «Philosophische Rundschau», 1957, 5, p. 247.
S. Natoli, Giovanni Gentile filosofo europeo, Torino 1989.
M.E. Moss, Mussolini’s fascist philosopher. Giovanni Gentile reconsidered, New York 2004.
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