La civilta islamica: antiche e nuove tradizioni in matematica. Le tradizioni matematiche
Le tradizioni matematiche
Capire lo sviluppo della matematica in un periodo di sette secoli, stabilire da quali fattori sia stato regolato, definire inizi e scopi, individuare quali ostacoli la matematica abbia incontrato e quali non sia riuscita a superare: è questo in breve il vero compito di uno storico che non voglia solo riferire fatti e titoli di opere dei vari matematici o limitarsi a una galleria di ritratti. È questo un compito sempre arduo, in modo particolare nel campo che stiamo considerando nel quale ancora oggi può sembrare prematuro e presuntuoso: le informazioni sono scarse e il paesaggio storico presenta più ombre che luci. Basti pensare alla perdita, provvisoria o definitiva, di lavori di indiscutibile portata, come per esempio, quella degli scritti dei Banū Karnīb o dei Banū 'l-Ṣabbāḥ; si consideri poi che le edizioni affidabili delle grandi opere matematiche sono pochissime. Tuttavia queste difficoltà, a cui se ne aggiungono molte altre, lungi dal rimandare la realizzazione del progetto a un futuro imprecisato ne mostrano al contrario l'urgenza. Per comprendere l'attività matematica in lingua araba, in modo certamente provvisorio ma perfettibile, occorre intraprendere il cammino di analisi storica e anche epistemologica che porta alla scoperta e alla ricostruzione dei fatti. Non c'è altra strada che permetta di individuare gli assi attorno ai quali si sono formate e organizzate le tradizioni matematiche. Come abbiamo già detto nell'Introduzione, il lavoro dello storico della scienza consiste principalmente nella restituzione di queste tradizioni concettuali.
In questa presentazione ci proponiamo di descrivere per sommi capi le principali tradizioni, certamente non tutte, che percorrono la matematica araba e che abbiamo individuato nel corso delle nostre ricerche; una descrizione e la classificazione da essa richiesta, che hanno il compito di motivare la scelta dei capitoli di questa parte del volume. Tuttavia per poter capire l'emergere e la genesi di queste tradizioni concettuali occorre ricordare due eventi cruciali, che in gestazione nel corso dell'VIII sec. vedranno la luce nel secolo successivo; ci riferiamo alla diffusione, che non è una semplice trasmissione, della matematica greca in arabo e al costituirsi dell'algebra come disciplina autonoma.
Abbiamo esaminato (v. cap. II) alcuni aspetti dell'importante e massiccio lavoro di traduzione delle grandi opere matematiche greche soffermandoci in particolare su due di essi: il primo, che la traduzione non si può separare dalla ricerca attiva; il secondo, che spesso la traduzione è opera di matematici di primo piano. Si comprende quindi facilmente come tale movimento di traduzioni rappresenti già di per sé un grande momento di espansione della matematica greca in arabo. Ricordiamo l'esempio offertoci dalla carriera di Ṯābit ibn Qurra, che rappresenta per così dire il tipo ideale di questi matematici traduttori. Traslatore dell'Introduzione aritmetica di Nicomaco di Gerasa e studioso dell'aritmetica neopitagorica, Ṯābit ibn Qurra conosceva la definizione di numeri amicabili e dei primi due di questi (v. cap. XXXVI). Avendo collaborato alla traduzione degli Elementi di Euclide, conosceva anche i numeri perfetti pari e il modo di calcolarli, così come vengono presentati nel Libro IX, e non tardò quindi a elaborare la prima teoria dei numeri amicabili. Esempi di questo genere abbondano e sono una testimonianza degli sviluppi che la matematica greca ebbe in arabo quando fu tradotta; lo potremo vedere nei prossimi capitoli, a cominciare da Archimede, Apollonio, Diofanto e molti altri. Nel IX sec. non soltanto si conosceva gran parte della matematica greca, ma si trattava di una conoscenza da ricercatori e non da semplici lettori, ed era perciò una conoscenza critica e innovatrice.
Il secondo evento, altrettanto fondamentale, è il costituirsi dell'algebra in disciplina matematica distinta e autonoma nel corso dei primi decenni del IX secolo. Una delle conseguenze della nascita di questa disciplina, effetto della nuova ontologia dell'oggetto matematico che essa impone, è l'enorme possibilità, prima sconosciuta, di applicare le diverse discipline l'una all'altra: l'algebra all'aritmetica, l'aritmetica all'algebra, tutte e due alla trigonometria, l'algebra alla geometria, alla teoria euclidea dei numeri, ecc. Queste applicazioni furono sempre alla base di nuovi capitoli matematici, nuove possibilità che, per poter essere realizzate, richiedevano a loro volta nuove ricerche (v. cap. XXXVII).
Su queste due basi verranno edificate le tradizioni matematiche in arabo; ne ricordiamo le principali.
L'aritmetizzazione dell'algebra
L'avvento dell'algebra di al-Ḫwārizmī e la nuova possibilità di applicazione che essa offriva lasciavano prevedere la formazione di numerose tradizioni concettuali. Vi sono in primo luogo coloro che continuano l'opera di al-Ḫwārizmī, con qualche aggiunta ma senza modificarne lo spirito e la sostanza. Si tratta spesso di insegnanti che non sono ricercatori di primo piano e si limitano a volte a qualche commento. In compenso vi sono coloro che approfittano di questa nuova possibilità di applicazione per instaurare una duplice dialettica, tra algebra e aritmetica da un lato e tra algebra e geometria dall'altro, modificando in tal modo il quadro di una parte notevole del mondo matematico.
L'applicazione dell'aritmetica all'algebra ‒ l'aritmetizzazione dell'algebra, come avemmo modo di chiamarla una volta ‒ era pervenuta alla fine del X sec., con il matematico di Baghdad al-Karaǧī, a costituire l'algebra dei polinomi; per poter rendere possibili ricerche di questo tipo sui polinomi doveva però essere sviluppata l'analisi combinatoria. È nell'ambito dunque di questa tradizione che si affronterà lo studio algebrico delle grandezze irrazionali, l'analisi diofantea razionale, e la ricerca della soluzione per radicali delle equazioni cubiche e biquadratiche. Si deve insomma ai matematici di questa tradizione, a cominciare da Abū Kāmil e soprattutto da al-Karaǧī e dai suoi successori ‒ come al-Samaw᾽al, al-Sulamī, al-Zanǧānī, ecc. ‒ lo sviluppo del calcolo algebrico astratto e, di conseguenza, la conoscenza della struttura algebrica delle estensioni algebriche finite del campo razionale.
Con questi matematici, e con quelli che seguono la via da loro tracciata, si assiste alla nascita del ḥisāb (scienza del calcolo), che si caratterizza più per il modo in cui sono composti i testi che per un oggetto di studio proprio. Gli autori cominciano con l'esporre il sistema decimale, considerano le varie basi e i cambiamenti di base, passano quindi alle frazioni, alle operazioni aritmetiche sugli interi e sulle frazioni, aggiungendo anche alcuni elementi di algebra elementare, di calcolo geometrico, ecc. (v. cap. XXXVI). Al-Karaǧī e i suoi successori, come al-Samaw᾽al e soprattutto Ibn al-Ḫawwām, al Fārisī e al-Kāšī, sono alcuni dei nomi di coloro che hanno scritto su questa 'scienza del calcolo', distinta sia dall'aritmetica detta 'indiana' sia da quella neopitagorica.
L'applicazione dell'algebra all'aritmetica ha dato origine a molti filoni di ricerca, per esempio all'analisi numerica, che presenta vari metodi di estrazione della radice n-esima di un intero e numerosi metodi di approssimazione, algoritmi di interpolazione, e altresì la risoluzione numerica delle equazioni algebriche e la teoria classica dei numeri. Altrettanti argomenti che il lettore troverà nei capitoli successivi, trattati sia singolarmente sia assieme ad altri (algebra, teoria dei numeri, interpolazione, analisi combinatoria, aritmetica).
La geometria algebrica
La seconda tradizione concettuale nasce dall'incontro dell'algebra con la geometria. Sappiamo infatti che nel corso del IX-X sec. molti matematici tradussero in termini algebrici alcuni problemi geometrici, sia piani (Ṯābit ibn Qurra) sia solidi (al Māhānī, al-Ḫāzin, al-Qūhī, Abū 'l-Ǧūd, ecc.), e che alcuni di essi cercavano di risolvere equazioni cubiche particolari, ottenute intersecando due coniche.
Mezzo secolo più tardi, al-Ḫayyām (1048-1131) si doterà dei mezzi tecnici (unità di misura, dimensione, calcolo geometrico, ecc.) necessari per l'elaborazione di una teoria generale e per poter fondare una nuova branca di studi, il cui oggetto è la risoluzione geometrica di tutte le equazioni di grado ≤3. I mezzi teorici di al-Ḫayyām consentivano in realtà una duplice traduzione: la riduzione dei problemi geometrici solidi a equazioni algebriche, e la risoluzione di queste ultime per intersezione di due coniche; appena mezzo secolo dopo, il suo successore Šaraf al-Dīn al-Ṭūsī orienterà la geometria algebrica in senso analitico; a questa tradizione appartengono anche altri matematici, per esempio Kamāl al-Dīn ibn Yūnus (v. cap. XXXVII).
Teoria dei numeri e geometria
La terza tradizione è quella dei geometri che considerano la teoria dei numeri in modo puramente aritmetico, cioè nel senso della dimostrazione euclidea così come viene condotta nei libri 'aritmetici' degli Elementi. Al-Ḫuǧandī, al-Ḫāzin, Abū 'l-Ǧūd, al-Siǧzī e, più tardi, al-Yazdī svilupperanno l'analisi diofantea degli interi, e Ṯābit ibn Qurra, al-Baġdādī, Ibn al-Hayṯam e al-Fārisī, tra gli altri, la teoria classica dei numeri (v. cap. XXXVI).
La risoluzione dei problemi mediante sezioni coniche
Con la geometria algebrica si assiste alla genesi di un ambito di studi che non ha precedenti nella geometria greca; perché potesse vedere la luce dovevano incontrarsi una disciplina, l'algebra, anch'essa non ellenistica, una conoscenza approfondita almeno dei primi due libri delle Coniche di Apollonio, come pure degli Elementi e dei Dati di Euclide, e infine un nuovo capitolo della geometria, pensato anch'esso a partire dalle Coniche e dedicato alle costruzioni geometriche mediante coniche. In quest'ultimo caso non si tratta più come nella geometria antica ‒ quella di Eutocio per esempio ‒ di problemi isolati nati sporadicamente e risolti per intersezione di curve, coniche o altro. Questa volta si ha a disposizione un metodo che permette un'analisi dei problemi geometrici, in grande maggioranza solidi, ma eventualmente ‒ e inutilmente, potremmo dire ‒ anche piani, che si costruiscono unicamente mediante curve piane. Nel quadro di questo nuovo capitolo alcuni matematici ‒ per esempio, Ibn al-Hayṯam ‒ studiano, generalmente in modo accurato, l'esistenza di soluzioni e il loro numero; la ricerca in questo campo viene condotta per analisi e per sintesi e si basa sulle proprietà asintotiche e locali delle coniche, in particolare sui contatti (v. cap. XXXIII). Coltivata dai matematici a partire dalla metà del IX sec., questa nuova disciplina diviene un campo attivo di ricerca con gli studiosi della seconda metà del X sec. ‒ per esempio al Qūhī, al-Siǧzī, Abū 'l-Ǧūd, al-Ṣāġānī, Ibn al-Hayṯam, tra gli altri ‒, offrendo agli algebristi metodi, tecniche e soprattutto un nuovo criterio di ammissibilità. D'ora in poi in geometria sarà infatti ammissibile una costruzione mediante sezioni coniche, allo stesso titolo di quelle con riga e compasso: si tratta di un enorme passo avanti.
I matematici che si rifanno a questa tradizione partecipano con altri alla costruzione di un campo di ricerca appena sfiorato dai loro predecessori: lo studio delle trasformazioni geometriche ‒ similitudine, traslazione, omotetia, affinità, ecc. A partire dalla metà del IX sec. i matematici procedono in effetti per trasformazioni geometriche molto più frequentemente dei loro predecessori: i lavori di al-Farġānī, dei Banū Mūsā ‒ in particolare del più giovane al-Ḥasan ‒ e di Ṯābit ibn Qurra ne sono le migliori testimonianze. Ṯābit ibn Qurra darà alle trasformazioni geometriche il nome generico di al-naql (lett. spostamento). Una lettura degli scritti di Ibn Sahl, al-Qūhī, al-Siǧzī, Ibn al-Hayṯam dimostra che i geometri non si interessano soltanto allo studio delle figure, ma anche alle loro relazioni. Le trasformazioni avevano sì fatto qualche apparizione prima del IX sec., in particolare in Archimede e Apollonio, ma nel IX sec. il loro uso è molto più frequente e il campo di applicazione molto più esteso. La differenza tra studiosi antichi e moderni è che con i primi nel corso di una dimostrazione può comparire una trasformazione, come, per esempio, in Archimede; con i moderni, le trasformazioni emergono invece negli studi di geometria come un nuovo punto di vista. Conseguenza non da poco di questa nuova prospettiva sarà una diversa concezione dell'oggetto geometrico a partire dal IX secolo.
Il primo campo in cui questo nuovo orientamento si afferma riceverà presto il nome di 'scienza della proiezione' (῾ilm al-tasṭīḥ). Tale ramo della geometria, staccatosi dall'astronomia, si costituì quando in vista della costruzione di astrolabi si rese necessario fondare su basi solide i procedimenti di rappresentazione esatta della sfera. Due significativi fatti storici meritano di essere ricordati (v. cap. XXXII). Verso la metà del IX sec. i problemi di proiezione erano già oggetto di discussione, e anche di controversie, a cui prendevano parte, tra gli altri, matematici come i Banū Mūsā, al-Kindī, al-Marwarrūḏī (l'astronomo del califfo al-Ma᾽mūn), al-Farġānī, ecc. Non si è tuttavia insistito abbastanza sul fatto che si trattava di questioni sollevate e dibattute da matematici i quali erano al corrente della recente traduzione delle Coniche di Apollonio. Una tradizione matematica, contrassegnata nel IX sec. dall'opera di matematici come al-Farġānī, si svilupperà ampiamente con al Qūhī, Ibn Sahl, al-Ṣāġānī, al-Bīrūnī, e molti altri. Si tratta insomma di una nuova tradizione di ricerca in geometria, per la quale il Planisfero di Tolomeo è tutt'al più un lontano antenato, e che sarà arricchita dalle ricerche sul quadrante solare di molti geometri, tra cui Ṯābit ibn Qurra e suo nipote Ibn Sinān.
Questo studio delle proiezioni si distingue anche per il linguaggio e per i procedimenti di dimostrazione. Il linguaggio è misto; il vocabolario della teoria delle proporzioni, cioè della geometria tradizionale, si mescola a termini che contraddistinguono ormai i concetti proiettivi; le dimostrazioni sono composte da confronti di rapporti, da proiezioni e da ribaltamenti.
Il secondo campo nel quale si sviluppa l'uso delle trasformazioni è anch'esso un campo che rinasce nella metà del IX sec. in seguito, pure in questo caso, a un incontro, che avviene sempre tra una geometria delle posizioni e delle forme, quella della tradizione di Apollonio, e una geometria della misura, quella della tradizione di Archimede. Al-Ḥasan ibn Mūsā e i suoi fratelli, così come il loro allievo Ṯābit ibn Qurra, fanno uso fin dall'inizio di trasformazioni sia nell'enunciato sia nella dimostrazione di certe proposizioni; nei loro diversi lavori procedono per omotetie, per affinità ortogonali e per composizione delle due.
Nel secolo seguente Ibrāhīm ibn Sinān, nel Kitāb fī misāḥat qiṭ῾ al-maḫrūṭ al-mukāfi᾽ (Libro sulla misura di una porzione di parabola), estende notevolmente l'applicazione delle trasformazioni geometriche per ridurre il numero dei lemmi (v. cap. XXXI). Si assiste poi a una sempre più frequente applicazione delle trasformazioni in altri capitoli della geometria ‒ per esempio, le costruzioni geometriche ‒ ma anche in algebra.
Una delle principali conseguenze di questa nuova impostazione 'trasformazionista' è l'intervento de facto del movimento negli enunciati e nelle dimostrazioni di geometria; movimento non cinematico ma geometrico, si astrae cioè dal tempo impiegato a compierlo. Il movimento interviene anche nei lavori che vedono la luce in un altro ambito, oggetto di notevole impegno e imperniato sulla dimostrazione del quinto postulato (v. cap. XXVIII).
Alla fine del X sec. si presentavano quindi due ordini di questioni che i matematici di questa tradizione non potevano evitare. Il primo consisteva nel giustificare le trasformazioni geometriche stesse, cercando di caratterizzarle: come legittimare la loro applicazione a partire dai fondamenti geometrici espliciti? Le questioni del secondo gruppo vertono direttamente sull'introduzione della nozione di movimento: come ammetterla nelle definizioni e nelle dimostrazioni se la nozione stessa non è mai stata definita? Le due questioni, con tutta evidenza strettamente legate, sono a loro volta corroborate da una terza: se ormai non ci si occupa più soltanto dello studio delle figure ma delle loro relazioni, è necessario determinare il 'luogo' di queste relazioni. Non è possibile perciò lasciare in ombra la questione del luogo, e soprattutto ammettere il concetto di 'luogo involucro' sviluppato da Aristotele.
Per rispondere a tali interrogativi i matematici appar-tenenti a questa tradizione fanno entrare in gioco vari settori di ricerca. Concepiscono per prima cosa una disciplina geometrica più generale per poter riorganizzare le nozioni della geometria, o almeno un certo numero di queste, ripensandole in termini di movimento. Fu Ibn al-Hayṯam a dare impulso a questa disciplina chiamandola al-ma῾lūmāt (i noti; Rashed 2002). Viene sviluppata anche un'ars analytica per dotare questa disciplina di un metodo; questa ars è anch'essa oggetto di una ricerca assidua e continua: Ṯābit ibn Qurra, Ibrāhīm ibn Sinān, al-Siǧzī, Ibn al-Hayṯam (Rashed 2002; 2000b). Si procede infine per la prima volta alla 'geometrizzazione del luogo' (Rashed 2002), dedicandosi anche allo studio teorico e pratico dei procedimenti per riprodurre il movimento e tracciare così le coniche (v. cap. XXXIV). Costruzioni geometriche mediante le sole coniche, proiezioni, trasformazioni geometriche, tracciato continuo delle coniche, una geometria generale ‒'i noti' ‒, un'ars analytica, la geometrizzazione del luogo, sono tutti argomenti appena sfiorati dagli studiosi antichi e che alimentano i temi di ricerca di questa tradizione geometrica araba. Tuttavia, oltre a ciò occorre ricordare il rinnovamento della geometria sferica e la scoperta della trigonometria, con Abū 'l-Wafā᾽ al-Būzǧānī, al-Ṣāġānī, e soprattutto al-Bīrūnī, e, più tardi, in particolare con Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī (v. cap. XXXV). È necessario anche pensare alla grande tradizione di ricerca in geometria infinitesimale, agli 'archimedei arabi' per così dire; una delle prime tradizioni di ricerca è dovuta in effetti ai due scritti di Archimede tradotti in arabo La misura del cerchio e Della sfera e del cilindro (v. cap. XXXI). Ciò che caratterizza questa tradizione, fin dagli esordi con i Banū Mūsā, è il fatto che si leggevano i trattati di Archimede mentre si conducevano ricerche sulle sezioni coniche avendo nello stesso tempo ben presenti alcuni elementi di algebra. I Banū Mūsā, Ṯābit ibn Qurra, al-Māhānī, Ibrāhīm ibn Sinān, al-Qūhī, Ibn Sahl, Ibn al-Hayṯam indirizzeranno gradatamente la matematica archimedea in diverse direzioni. Essi ritroveranno i più importanti risultati ottenuti da Archimede in opere come la Misura della parabola o i Conoidi e sferoidi, che per ragioni relative alla storia del Corpus archimedeo non sono state tradotte in arabo. Estenderanno la ricerca in geometria infinitesimale ad altri campi non studiati da Archimede e appena percepiti prima, come le lunule, gli isoperimetri nel piano e nello spazio, e l'angolo solido, come pure alla misura di altri solidi: il paraboloide generato dalla rotazione della parabola attorno a un diametro. Altrettanto importante infine è il ricorso più frequente e massiccio alle somme aritmetiche da un lato e alle trasformazioni geometriche dall'altro. Questo capitolo della geometria infinitesimale ha cambiato non solo la propria configurazione, ma anche lo stile.
Le tradizioni che abbiamo elencato se non sono le sole costituiscono però gli assi principali della ricerca. Esiste infatti anche un filone di ricerca in geometria pratica nel quale furono impegnati sia geometri di primo piano sia algebristi (v. cap. XLI). Esistono poi ricerche di filosofia della matematica; c'è la tradizione dei commenti alle grandi raccolte di matematica, che si presentano sotto varie forme, cioè compendi, commenti esplicativi, commenti rettificativi; infine i nuovi capitoli di matematica mista o applicata. Abbiamo ricordato queste tradizioni per sottolineare quanto sia ampio lo spettro delle tradizioni e quanto vaghi e intricati siano i confini che separano le une dalle altre: restituirle tutte, con tutti i loro intrecci, resta un impegno per il futuro. Qui abbiamo perciò cercato, per quanto lo permette la ricerca storica, di descrivere i vari capitoli indicando quali sono le grandi arterie che solcano il mondo della matematica araba. E ciò è sufficiente a dimostrare l'esistenza di un quadro ricco e coerente tra il IX e la prima metà del XVII secolo.
Rashed 2000a: Rashed, Roshdi, Math. inf. III.
‒ 2000b: Rashed, Roshdi - Bellosta, Hélène, Ibrāhīm ibn Sinān. Logique et géométrie au Xe siècle, Leiden, E.J. Brill, 2000.
‒ 2002: Rashed, Roshdi, Math. inf. IV.