L'Italia romana delle Regiones. Regio VI Umbria
Nella divisione augustea la regio VI occupava un territorio, corrispondente ad ampie sezioni delle attuali regioni Umbria, Romagna e Marche, fortemente condizionato nella parte più interna dalle dorsali appenniniche tosco-romagnola e umbro-marchigiana. Gli insediamenti romani sono influenzati dalle caratteristiche geografiche e morfologiche del territorio e quindi naturalmente condizionati dai precedenti insediamenti indigeni. La persistenza sugli stessi siti di centri medievali occupati ininterrottamente fino all’epoca attuale ha reso spesso complicata un’accurata documentazione topografica e archeologica.
Di particolare rilievo sono le grandi vallate dell’Umbria meridionale: quelle formatesi intorno ai fiumi Tevere e Clitunno, la vallata di Gualdo Tadino e quelle che si estendono nell’Umbria nord-orientale lungo una serie di diramazioni create da alture e corsi d’acqua in un sistema a pettine (nord - nord-ovest/sud - sud-est) che, scendendo dal centro della catena appenninica verso l’Adriatico, condiziona la distribuzione degli insediamenti.
La tradizione fa risalire al 310 a.C. i primi contatti (foedus aequum) tra i Romani e i Camerti, una delle popolazioni che abitavano entro i confini della regione (Liv., IX, 36). La decisiva battaglia di Sentino (295 a.C.) e quella del Lago Vadimone (283 a.C.) dà ai Romani la possibilità di accedere alla regione medioadriatica e di occupare il territorio dei Galli Senoni fra l’Esino e il Rubicone (ager Gallicus). Poco dopo (290-288 a.C.) vengono fondate le colonie marittime di Sena Gallica (Senigallia) e di Ariminum (Rimini), quindi (299 e 241 a.C.) quelle di Narnia (Narni) e Spoletium (Spoleto). Il processo di romanizzazione, già avviato nell’agro gallico (nel 247 viene dedotta la colonia romana di Aesis, Iesi), si estende presto pure al resto della regione, accelerato anche dalle iniziative legislative promulgate da C. Flaminio. La nascita della città di Suasa (tra San Lorenzo e Castellone di Suasa) e della vicina Ostra (Ostro Vetere) in seguito alla Lex Flaminia de agro Gallico et Piceno viritim dividundo del 232 a.C. porta a una massiccia presenza di coloni romani in questo settore della penisola e alla conseguente necessità di riorganizzare l’assetto del territorio. Vengono così costituiti nuovi centri, non necessariamente urbani, che fungono da punti di riferimento sociale, politico e amministrativo. Le colonie già esistenti sono perciò affiancate da nuove deduzioni e, in particolare, viene creata una fitta rete di praefecturae, molte delle quali destinate a divenire in seguito municipia nel corso del I sec. a.C., all’indomani della guerra sociale. È possibile che anche Suasa e Ostra siano sorte come praefecturae in appoggio alla colonia di Sena Gallica e abbiano successivamente raggiunto dignità amministrativa.
Poco dopo, l’apertura della via Flaminia (220 a.C.), realizzata a opera di C. Flaminio, mette in comunicazione Roma con la costa adriatica, attraverso Ocriculum (Otricoli), Narnia, Carsulae, Mevania (Bevagna). Si ricongiunge a Fulginiae (Foligno), Spoletium e Trebiae (Trevi), prosegue verso Nuceria (Nocera), Tadinum (Gualdo Tadino), Suillum e arriva alla costa adriatica, attraversando la vallata del Metauro e Forum Sempronii (Fossombrone), fino a raggiungere Fanum Fortunae (Fano) per proseguire verso nord fino ad Ariminum. La realizzazione della strada consolida in realtà antichi tracciati già esistenti.
Durante gli anni della guerra annibalica la regione rimane fedele a Roma collaborando con essa, fugando il nemico nella battaglia presso il Metauro nel 167 a.C. e fornendo aiuti (Camers) a Scipione in partenza per l’Africa (Liv., XXVIII, 45). Subito dopo lo scontro Roma riprende la sua politica coloniale nella regione: del 184 a.C. è la colonia di Pisaurum (Liv., XXXIX, 44, 10; Vell., I, 15, 2). In seguito gli interventi romani sono collegati alla politica sociale di Gaio Gracco. Di questi anni è anche la fondazione di Forum Sempronii e alla stessa cronologia si può ricondurre la presenza di un cippo di restitutio agrorum rivenuto presso Fano (CIL XI, 6331). È inoltre da ricordare il contributo delle due coorti di Camerti alla vittoria sui Cimbri, che Mario premia con il dono della cittadinanza romana (Cic., Balb., 20, 46; Val. Max.,V, 2, 8; Plut., Mar., 28).
Cesare, traendo vantaggio dall’accoglienza a lui favorevole in senso antisenatoriale, si impadronisce della regione nel 49 a.C. e deduce leve dalle diverse città. Alla sua scomparsa seguono ripetute sommosse, cui partecipano anche le città dell’Umbria. Le leve vengono rinnovate anche dopo la sua morte, così come dopo la battaglia di Perugia. Città appartenenti alla stessa regione si trovano schierate su fronti contrapposti: Sentinum (Sentino) viene assediata, vinta e saccheggiata per essersi trovata dalla parte di Antonio; Hispellum (Spello) vede ampliato il suo territorio (la zona delle fonti del Clitunno) per essersi trovata dalla parte di Augusto durante la guerra di Perugia.
Le politiche di colonizzazione attuate dai triumviri e da Augusto per ripagare i propri soldati e poter creare lavoro con le assegnazioni agrarie arrecano gravi conseguenze dal punto di vista della gestione del territorio e del suo equilibrio sociale. Divengono oggetto di deduzioni coloniarie in età triumvirale Tuder (Todi), Pisaurum (Pesaro), Fanum Fortunae (Fano), Hispellum (Spello), mentre il territorio di altre città, secondo il Liber coloniarum, viene sottoposto a distribuzioni viritane. Le nuove deduzioni e le conseguenti immissioni di nuove genti di varia origine, che beneficiano di assegnazioni di terre a scapito delle comunità locali, risultano determinanti per l’assetto territoriale. Con il I sec. a.C. il processo può dirsi ormai definitivamente concluso con la concessione della cittadinanza e la realizzazione di ordinamenti municipali amministrativamente autonomi.
La completa romanizzazione si attua con Augusto. In seguito solo raramente l’Umbria è ricordata dalle fonti nel I, nel II e nel III secolo d.C. e la documentazione si avvale spesso soltanto dell’apporto dei rinvenimenti archeologici. Nel 253 d.C. sappiamo di uno scontro avvenuto tra i tre imperatori Volusiano, Treboniano Gallo e Decio a Terni. Durante la restaurazione dioclezianea la regio VI entra a far parte della Tuscia et Umbria. Il maggiore documento dell’inizio del IV secolo è costituito da un’epigrafe, il Rescritto costantiniano (CIL XI, 5265), fondamentale per la comprensione dell’importanza religiosa del centro di Spello in epoca tardoantica.
Della realizzazione delle numerose città romane presenti nella regio VI non conosciamo perfettamente tutte le varie fasi costruttive ed edilizie conseguenti alla colonizzazione latina prima e alla romanizzazione poi. Attraverso vecchi e più recenti rinvenimenti si può in ogni caso mettere a fuoco, con sufficiente realismo, la formazione di centri con edilizia stabile. In una prima fase di impatto con i colonizzatori, compresa tra la fine del IV e la prima metà del III sec. a.C., vediamo alcuni centri ancora liberi munirsi di mura: valga per tutti l’esempio di Spoleto, il cui oppidum si circonda in questo periodo di una cinta in opera poligonale, dotandosi inoltre di un impianto idrico di notevole portata. Per gli insediamenti urbani materialmente più consistenti possiamo ricordare la realizzazione di Tadinum: lo scavo di parte del centro abitato realizzato con capanne e disposto su comode terrazze colma il vuoto archeologico e documentario che le Tabulae Iguvinae ci facevano intuire per la vicina Iguvium (Gubbio). Tracce di capanne si sono trovate in scavi dell’ultimo decennio anche a Spoleto (zona di S. Nicolò) e materiali dello stesso periodo sono presenti presso la chiesa di S. Andrea a Spello.
Nel III-II sec. a.C. esiste una fase edilizia di tipo finalmente stabile, meglio documentata per un numero maggiore di centri urbani (Spello, Gubbio, Assisi, Spoleto, Bevagna), anche se gli elementi organici dell’urbanizzazione risultano assai semplificati. Possiamo dire che normalmente il castelliere in zona urbana viene sostituito dall’acropoli. Esistono inoltre diversi tipi di situazioni di città: la più comune è la città terrazzata di tradizione ellenistica esemplificata da Gubbio, Sestino, Sarsina, Spoleto, Spello, Trevi, ecc., ma non sono rare le città costruite in pianura: Bevagna, Tifernum Tiberinum (Città di Castello), Foligno, Carsulae, Otricoli.
In generale per il materiale da costruzione o per scolpire fregi o rilievi viene utilizzato il tufo o l’arenaria in età repubblicana; in età imperiale è preferito a tutti gli altri materiali il calcare, presente in molte cave della regione, e il laterizio; il marmo, importato, è quello di Luni e spesso, nella zona nord-orientale, quello rosso di tipo veronese. Si ha tradizione di mura di età repubblicana eseguite in laterizio solamente per Bevagna.
Ancora piuttosto sfuggenti appaiono i rapporti tra le varie città e il territorio, anche se i più recenti studi (in particolare quelli di L. Mercando, di M. Luni e delle due Soprintendenze Archeologiche per le Marche e per l’Umbria) hanno riempito in parte questo vuoto. Nell’esame del territorio, se di grande rilievo sono i due rami della Flaminia e dei suoi diverticoli, non dobbiamo dimenticare le viabilità minori (la Amerina, la Plestina, l’attacco con la Nursina a Spoleto), che permettono il collegamento dei vari centri tra loro e con le regioni circonvicine: Latium, Aemilia, Etruria, Sabina.
Per l’età repubblicana la documentazione archeologica non è ricchissima: Iesi ha attestazioni produttive per le fasi più antiche delle prime colonie, con la presenza di un impianto artigianale per la fabbricazione di ceramica a vernice nera attivo tra la fine del III e gli inizi del II sec. a.C. Contemporanea alla colonizzazione o di pochi decenni successiva è la monumentalizzazione dei templi, spesso realizzati, ma non sempre, sia all’interno dei centri urbani sia in zona appena extraurbana, sullo stesso sito in cui sorgevano i santuari indigeni d’epoca arcaica: a Urvinum Hortense, a Bettona, a Gubbio, a Spello, ad Assisi. Come deduciamo dai materiali archeologici di contesto, in particolare dalle terrecotte architettoniche, la maggior parte di questi santuari continua a essere frequentata ancora in epoca tardoimperiale: si veda il caso di Montefortino d’Arcevia, o quello del Lucus Pisaurensis (località Santa Veneranda).
È da ricordare inoltre come caso specifico la documentazione offerta dalla lex Spoletina e il culto di Giove in essa menzionato, che risale già alla seconda metà del III sec. a.C. Entrambi i luci di Spoleto e Pesaro, e i relativi santuari, sembra debbano ricollegarsi con la fondazione delle rispettive colonie. Per il periodo più antico, oltre alla documentazione epigrafica concernente essenzialmente i luci sacri di Spoleto e Pesaro (rispettivamente seconda metà del III e II sec. a.C.) e ad alcune iscrizioni dedicate a divinità (Spoleto), abbiamo documentazione di una faina d’oro dal territorio di Iesi, di terrecotte architettoniche provenienti dai templi, o dalle stipi votive di Urvinum Hortense, Spoleto, Gubbio, Bettona.
Naturalmente assai numerosa è la presenza, soprattutto nei centri urbani ma anche nelle necropoli, di documentazione stratigrafica di ceramica a vernice nera o falisca (Spello, Spoleto, Gubbio), talora associata a materiale dell’età del Ferro, il che ci indica proprio la cesura creata dall’avanzata, anche commerciale, dei Romani all’interno di un mondo di genti italiche profondamente immerso sino ad allora in una realtà tribale, di ben diverso peso e relazioni politiche dal punto di vista economico-sociale.
Sono da ricordare inoltre le fabbriche di ceramiche megaresi di Popilius e di Lapius a Bevagna e a Otricoli, il cui spostamento e il cui commercio sono certamente facilitati dalla via d’acqua tiberina, così come successivamente lo sarà l’esportazione di laterizi ocricolani di Iulius Paulinus fino a Roma. È quindi facilmente comprensibile lo sviluppo e l’importanza assunta dai porti fluviali, presso Torgiano, presso Bevagna, presso Otricoli, oltreché da quelli marittimi (Senigallia, Fano, Pesaro), in questa regione.
In connessione con la colonizzazione va menzionata l’esistenza di alcune rare zecche di monete (Gubbio, Todi) e la tesaurizzazione di gruppi di altre (aes rude, aes grave e aes signatum in un tesoretto della seconda metà del III sec. a.C. in loc. La Bruna, Spoleto). A Bevagna (Porta Guelfa) è stata parzialmente indagata un’area pubblica databile tra la metà del III e l’inizio del I sec. a.C.: è stato esplorato un ninfeo e si è ritrovato anche un tesoretto monetale di 250 denari (databili tra il 268 e l’89 a.C.), il secondo che viene alla luce nella città, dopo che un altro di 911 denari repubblicani, compresi nello stesso arco cronologico, era stato rinvenuto nel 1929. La data finale ha fatto ritenere che il loro abbandono sia legato alle vicende connesse con la guerra sociale.
Per quanto riguarda la scrittura, numerosi sono i legami tra le due sponde del Tevere ed è da ricordare che in questo periodo l’area umbra (Gubbio in particolare) è fortemente influenzata dalla scrittura etrusca tipica soprattutto di Cortona e Perugia. Il corpus umbro di epigrafi di carattere pubblico o religioso è assai modesto, ma si ricorda a questo proposito la scoperta di una meridiana con iscrizione umbra in località Madonna del Core alla periferia di Bevagna: l’iscrizione occupa la facciata inferiore del blocco e ricorda due quaestores far(r)arii, che hanno rammentato agli studiosi gli homonus duir puri far eiscurent di Gubbio (tavola Vb, 8118). Per l’orologio solare è stata proposta una datazione tra la fine del II e gli inizi del I sec. a.C. L’itinerario preferenziale della via Flaminia, accanto a quella etrusca, introduce tipi diversi di grafia latina e quasi simultaneamente l’uso progressivo della lingua stessa (come testimonia la lex Spoletina).
A Spello recenti rinvenimenti hanno messo in luce, agli estremi limiti meridionali del centro antico, una tomba a fossa con inumato, in località via Baldini (inizio III sec. a.C.), entro un circolo di pietre, con materiali di importazione falisca e più genericamente etrusca (Orvieto) e materiali d’impasto locale. Poco lontano (loc. Portonaccio) è stata scavata una necropoli dello stesso periodo, con olle di incinerati, tombe a fossa e corredi di un certo rilievo contenenti bronzi, monete, materiale a vernice nera di produzione locale e urbana. Assai interessante la posizione delle necropoli lungo la direttrice Spoleto-Assisi, a riprova dell’esistenza del percorso stradale in età repubblicana. Anche a Gubbio (loc. San Biagio) sono presenti tombe a circolo con uno o più inumati, in una necropoli che dal VI sec. a.C. iniziale perdura almeno fino al II sec. a.C. Sono stati rinvenuti, in vecchi e nuovi scavi, fulcra di almeno due letti funebri ad Arna, mentre un letto – completo di fulcra, rivestimenti delle gambe, elementi del telaio, parti bronzee di rivestimento – è stato messo in luce in epoca recente in località Fontevole a Gubbio: entrambi i ritrovamenti sono databili al II sec. a.C.
Nel descrivere l’Umbria, Strabone (V, 2, 10) conclude la sua illustrazione rilevando che la regione, “pur un po’ troppo montuosa” (si vedano gli esempi di Camerino, Sestino e Iesi), è fertile e adatta a ogni tipo di coltura, ma soprattutto agli alberi da frutta più che ai cereali (Strab., V, 4, 2). Le fonti sottolineano inoltre che il territorio nutre gli abitanti col farro e col grano (Strab., V, 2, 10; Plin., Nat. hist., XVIII, 27, 106): si è così pensato che il frumento si coltivasse più nelle zone pianeggianti che nella fascia costiera. Tra i prodotti necessari all’alimentazione sono menzionate alcune viti tipiche della zona: la itriola, la bananica, la palmensis (Plin., Nat. hist., XIV, 4, 37; Colum., III, 2, 25). Per quanto riguarda la zootecnia, la notizia pliniana di formaggi prodotti nell’alta valle dell’Esino (Plin., Nat. hist., XI, 42, 97) può rimandare ad allevamenti di ovini.
La natura del territorio è caratterizzata da un contesto produttivo assai condizionato dall’ambiente geografico, in cui la netta prevalenza di terreni collinari e montuosi sembra aver determinato un’attività economica basata essenzialmente sullo sfruttamento delle risorse create dalle numerose foreste e dal relativo legname e inoltre sulla pastorizia e sull’allevamento. In particolare l’economia della selva acquista sempre maggior rilievo in rapporto ad altre forme di sfruttamento del territorio, legato a un crescente fabbisogno di legname usato sia per la carpenteria sia come combustibile, per il riscaldamento o per la preparazione di calce e laterizi e soprattutto come materiale per la costruzione. Un sostanziale ampliamento dei consumi deve essersi verificato con le aumentate necessità costruttive derivate dal processo di urbanizzazione, nel periodo che segue la guerra sociale: si pensi che nella regione si possono contare almeno una cinquantina di centri urbani documentati archeologicamente tra municipi, fora e vici e la stessa cosa si può evincere anche dai cambiamenti nella scala di redditività delle colture così come ci viene presentata da Catone, Varrone e Columella.
Oltre alla viabilità terrestre la regione può sfruttare, con grandi vantaggi economici, una serie di fiumi navigabili, o meglio viae aquae, in particolare il Tevere, il Clitunno e il Chiascio, che consentono il trasporto a Roma di legname, di derrate alimentari, di animali (si ricordino i buoi delle campagne intorno a Bevagna che, utilizzati per i sacrifici nell’Urbe, vengono trasportati sulle chiatte lungo il fiume Clitunno). In particolare per ciò che riguarda il Tevere, sappiamo che esso ha costituito una possibilità di trasporto privilegiata che da Città di Castello – dove è ben documentata dai recenti scavi la Villa di Plinio in Tuscis in località Colle Plinio – permetteva l’arrivo di legni e derrate alimentari a Roma. Particolarmente interessante appare a questo proposito la recente lettura di un’iscrizione (della metà del II sec. a.C.) che ricorda, presso Urvinum Hortense, uno schiavo qualificato come magister navium, carica che ricopre normalmente colui che, interessandosi anche del rifornimento della nave, cura la sicurezza delle derrate e dei passeggeri trasportati dall’imbarcazione.
L’allevamento, assai praticato nella regione, si configura come transumante tra i pascoli montani, sfruttati nel periodo estivo, e le pianure costiere sia adriatiche sia tirreniche utilizzate durante la stagione invernale (Cic., Div., I, 41, 92 e 42, 94). Alcuni indizi nelle fonti hanno fatto pensare che una sostanziale crisi abbia investito i centri montani nel I secolo, anche a causa dei provvedimenti augustei di riordino amministrativo della regione con l’allargamento del territorio di alcuni municipi sia costieri sia interni a danno di quelli montani. Successivamente la vasta fioritura di collegi di centonari, di dendrophori e di fabri (a Urvinum Mataurense e a Ostra, a Suasa, a Tuficum) e l’attività evergetica di ceti locali con ampie disponibilità finanziarie hanno fatto ipotizzare una ripresa delle attività economiche connesse al pascolo e allo sfruttamento delle risorse delle foreste.
Nella seconda metà del I sec. a.C. compaiono, in buona parte dei municipi, numerosi ritratti spesso di marmo (Gubbio, Spello, Bevagna, Sarsina, Todi). Le nuove fondazioni e le ristrutturazioni urbanistiche talvolta radicali dei municipi si esprimono in forme monumentali, consone all’ideologia del principato. Strumento privilegiato per l’ottenimento del consenso politico diventa l’instaurazione a livello locale del culto imperiale, di cui viene solennizzata e divulgata l’immagine. Ai ritratti (una testa femminile di marmo, cd. Ottavia, a Fano; a Pesaro ritratti di marmo di Gaio Cesare, di Livia, di Augusto giovane; ritratti della dinastia giulio-claudia a Fossombrone; a Sarsina una Livia; a Fano una statua marmorea di Claudio, una testa di Ottavia, un ritratto maschile di età giulio-claudia; a Iesi, ritratti di età giulio-claudia da San Floriano; ritratti della dinastia giulio-claudia e di Adriano a Fossombrone; una testa colossale di Claudio a Carsulae; una testa di grandi dimensioni giulio-claudia, a Sestino) si aggiungono i cicli statuari, conservati per lo più nelle terme, nelle basiliche o nei teatri. Sono note anche numerose basi di statue (per Elio Vero a Fossombrone; a Sestino un cippo iscritto dedicato a Marco Aurelio, del quale rimane un piede di bronzo scalzo) e di statue loricate (Fossombrone; Sentino).
Per ciò che riguarda l’artigianato, a Bevagna, dopo la concessione della cittadinanza romana agli Italici, si sviluppa una produzione di urne cinerarie decorate a rilievo e con iscrizioni latine, caratteristica della zona, che continua fino alla fine del I sec. a.C. e si ricollega all’ambiente della vicina Perugia. È anche da rilevare il fatto che in tutti gli scavi, in generale, compare la ceramica aretina (Sestino, Gubbio, Spoleto) mentre non esiste o quasi presenza di sigillata africana. Meno rara è la presenza di sud-gallica.
L’interessamento degli imperatori nei confronti delle comunità locali aumenta nel corso del I e del II sec. d.C., come attestato essenzialmente dalla testimonianza dell’institutio alimentaria (ad es., a Sestino; Pitinum Mergens; Tifernum Mataurense; Urbino; Pesaro) e dalla presenza dei ritratti imperiali. Secondo un’ipotesi che ha suscitato qualche perplessità, l’incremento agricolo di queste città potrebbe essere visto come supporto all’economia delle città dalmatiche prive di un incremento produttivo autosufficiente per la loro sussistenza.
Tra III e I sec. a.C. nelle cinte murarie all’opera poligonale (Amelia e Spoleto) si sostituisce l’opera quadrata (Bettona, Spoleto, Urvinum Hortense, Urbino) e successivamente l’opera vittata (Spello). Dopo la guerra sociale e più precisamente a cavallo tra il secondo triunvirato e l’età augustea, si gettano le basi progettuali dell’urbanizzazione di più di 40 città, mentre anche le più vecchie colonie latine (Narni, Spoleto) e i centri dove è documentata archeologicamente un’urbanizzazione già nel III-II sec. a.C. (Spello, Assisi, Gubbio) vengono completamente riprogettati e realizzati ex novo.
Gli impianti urbani sono allo stato attuale sufficientemente individuabili così come il pomerium o le mura relative (Otricoli, Bevagna, Spello, Assisi, Trevi, Spoleto, Terni, ecc.) che subiscono talvolta modifiche, restauri, o meglio ampliamenti rispetto alla cinta primitiva (è probabilmente il caso di Gubbio). A questo periodo o a un periodo di poco successivo appartengono anche le emergenze monumentali: le porte (Spello, Fano, Trevi, Urbino, solo per citare alcuni casi) e i principali edifici pubblici come i templi (valga per tutti l’esempio di Assisi, tempio di Minerva, e di Spoleto, cd. “tempio di S. Ansano”), i numerosissimi teatri (Pitinum Mergens, Gubbio, Carsulae, Spoleto, Bevagna, Spello, Otricoli, Assisi, Terni, Mevaniola, Ostra, Todi; talora documentati solo epigraficamente: Mons Fereter, Pesaro, Urbino), gli anfiteatri (Spoleto, Spello, Urvinum Hortense, Suasa, Todi), le domus, spesso adorne di mosaici di pregevole livello (Pesaro, Amelia, Spoleto, Gubbio), le terme (Spoleto, Gubbio), gli acquedotti (Spoleto, Spello, Sestino) e i resti di altre opere idrauliche, per lo più cisterne poste prevalentemente nell’area del foro (Todi, Amelia, Narni).
Importanti lavori di adduzione dell’acqua, che coinvolgono sotto diverse forme e formule l’evergetismo municipale, sono ricordate a Terni (CIL XI, 421), ad Assisi (CIL XI, 5390), a Città di Castello (CIL XI, 5942), a Spello, a Sestino (CIL XI, 6016, che attribuisce la cura ai tre fratelli Voluseni), a Urbino (CIL XI, 6068). Non si tratta di opere d’ingegneria troppo complicate: la sorgente captata è spesso vicina e le condutture idrauliche modeste; le adduzioni d’acqua hanno quindi un’ideazione e una prassi assai semplice. Sono noti anche collettori fognari disposti lungo il sistema viario cittadino (Spello, Spoleto, Fano, Fossombrone).
Accanto a quella principale, più nota, anche la viabilità secondaria è sufficientemente documentata: si ricordano a questo proposito i tratti di viae glareatae messi in luce negli ultimi anni a Bevagna (loc. Sant’Agostino), Trevi (loc. Santa Maria di Pietrarossa), Spello (Porta Consolare e via del Mausoleo), Foligno (loc. Sant’Eraclio e Santa Maria in Campis), Forum Flaminii. In questa rinnovata opera edificatoria sono da comprendere anche le opere di sostruzione della via Flaminia, restaurata da Augusto (comuni di Nocera e Valtopina, loc. Capannacce, loc. Le Spugne; comune di Massa Martana), i viadotti (Foligno, loc. Pieve Fanonica; Nocera, Maestà del Picchio) e i ponti (oltre a quelli più noti di Narni e di Spoleto sono da ricordare quelli sul torrente Caldaro, il Ponte Fonnaia, il Ponte del Diavolo presso Bastardo, il Pontecentesimo, in comune di Foligno, in loc. San Giovanni di Fossato di Vico, in loc. Colle di Nocera, in loc. Palazzolo di Fossato, il Ponte Spriano a Sigillo, oltre ai ponti documentati sul versante nord-orientale).
Negli anni compresi tra la guerra sociale e l’epoca augustea si ha un notevole riassetto del territorio, anche sulla base della centuriazione (Fano, Spello, Spoleto), ben documentata dal Liber coloniarum, in parte dovuto alla riorganizzazione augustea e alla nuova divisione in regioni. Approfondendo i rapporti tra città e campagna e la stessa urbanizzazione delle città di nuova e vecchia formazione, si nota nell’Umbria meridionale e nord-orientale una prevalenza di impianti rustici e produttivi databili tra la fine del I sec. a.C. e l’età augustea – abbandonati spesso con un intervallo di vita nel II sec. d.C. – una ripresa nel III sec. d.C. e un ulteriore nuovo abbandono dopo il IV - inizi del V sec. d.C. Considerata la morfologia del territorio e una certa diversificazione tra la fascia meridionale e quella nord-orientale, si è rilevata una concentrazione del popolamento lungo le fasce collinari (in pendio, su una terrazza, o sulla sommità) prospicienti i fondi vallivi, che vengono lasciati liberi per le coltivazioni. Gli insediamenti sparsi, testimoniati dalla presenza di piccoli sepolcreti o dal ritrovamento di epigrafi isolate, risultano distribuiti sulle aree libere fino a una certa altezza. Addensamenti più circoscritti e omogenei si notano nelle immediate vicinanze dei centri urbani, ubicati quasi sempre nei fondovalle e in corrispondenza delle arterie viarie principali e secondarie. In taluni casi è possibile ipotizzare la presenza di vici, suggerita da una fitta concentrazione di insediamenti in specifiche situazioni territoriali.
Si può ipotizzare che le maggiori e più importanti coltivazioni siano state dedicate a viti e olivi, come deve essere avvenuto nella villa suburbana di via Baldini a Spello, della quale sono documentate le fasi di I-II sec. d.C., presso la quale è stata rinvenuta una fornace che ha permesso la ricostruzione di un tipo di anfora locale ribattezzata proprio con il nome di questa località. In epoca augustea sembra esservi il tentativo di rivitalizzare la piccola proprietà, ma esso deve essere stato di breve durata e non supera il cinquantennio. Nel II sec. d.C., infatti, già è evidente un forte declino produttivo negli impianti di ville e strutture rustiche e si ha un veloce diradarsi degli insediamenti.
Le testimonianze tardoantiche, anche se meno numerose di quelle delle epoche storiche precedenti, ridisegnano la mappa dell’occupazione, della vitalità urbana (in particolare per i casi di Gubbio, Spello, Spoleto, Fano) e del territorio, basandosi sulle necropoli, tombe sporadiche (Gubbio, Spoleto) e su qualche raro testo epigrafico. In pochi casi (Spello) sono sufficientemente documentati restauri delle mura della città. Il Rescritto di Costantino (CIL XI, 5265) del 333- 335 d.C. è da rivedere sulla base delle ricerche più recenti sul santuario extraurbano in località Villa Costanzi-Fidelia a Spello. A Pesaro, dove l’abitato subisce distruzioni con la guerra gotica (Procop., Bell. Goth., III, 11) le mura vengono restaurate da Belisario. È inoltre da mettere in relazione con opere di ripristino della via Flaminia uno dei cippi miliari di Fano che ricorda l’imperatore Costanzo; un altro cippo ricorda gli imperatori Valentiniano, Valente e Graziano (370 d.C. ca.); altri ancora Costantino, Valentiniano e Valente. Sempre a Fano è stato rinvenuto un tesoretto di 42 monete d’oro che vanno da Teodosio a Valentiniano III.
Nel territorio gli insediamenti rustici testimoniano, in modo particolare nella parte meridionale della regione e specialmente nelle vallate e nei pianori che circondano il Tevere, una discreta vitalità intorno al III-IV sec. d.C. (Amelia, Spoleto). Una particolare estensione d’impianto sembra notarsi nel III sec. d.C. nel territorio costituito dalla grande vallata umbra che si allarga di fronte a Spoleto, documentata da monumenti funerari di notevoli dimensioni (loc. Cortaccione, loc. Camposalese) e da ampie fasce di materiali ceramici.
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Epigrafia:
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Viabilità:
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Corso del Tevere:
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C. Mocchegiani Carpano, in Tevere, un’antica via per il Mediterraneo, Roma 1986, pp. 142-43, 153- 54.
Aspetti artistici:
- architettura:
L. Sensi, La palestra di Fanum Fortunae, in AnnPerugia, 20 (1982-83), pp. 425-61.
A. Ambrogi, Monumenti funerari di età romana di Foligno, Spello e Assisi, in Xenia, 8 (1984), pp. 27-64.
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L. Sensi, Un edificio termale di Forum Flaminii, in BFoligno, 10 (1986), pp. 377-81.
H. von Hesberg, Zur Datierung des römischen Ehrenbogens am Forum von Spoleto, in KölnJbVFrühGesch, 23 (1990), pp. 109-16.
- scultura:
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L. Sensi, Il ciclo di ritratti giulio-claudi di Jesi, in Studi in onore di Filippo Magi, Perugia 1979, pp. 227-39.
G. Dareggi, Il ciclo statuario della Basilica di Otricoli: la fase giulio claudia, in BdA, 66 (1982), pp. 1-36.
A. Faustoferri, Una testa di Domiziano nel museo civico etrusco romano di Todi, ibid., pp. 143-52.
M. Menichetti, Il ritratto di Claudio, in AnnPerugia, 21 (1983-84), pp. 181-226.
L. Sensi, I ritratti romani di Spoleto, ibid., 22 (1984-85), pp. 227-76.
Bronzi dorati da Cartoceto. Un restauro (Catalogo della mostra), Firenze 1987.
Il volto di Germanico. A proposito del restauro del bronzo (Catalogo della mostra), Roma 1987.
- mosaici:
D. Monacchi, I mosaici romani di Amelia nel contesto urbanistico antico, in AnnPerugia, 22 (1984- 85), pp. 195-224.
- materiali vari:
O. Galeazzi - C. Giacometti, Ex voto anatomici dalle Marche, in Picus, 2 (1982), pp. 786-91.
M.T. Paleani - A.R. Liverani, Lucerne paleocristiane conservate nel Museo Oliveriano di Pesaro, Roma 1984.
M. Bergamini, Una produzione umbra di lucerne al tornio, in AnnPerugia, 22 (1984-85), pp. 65-76.
S. Faust, Fulcra. Figürlicher und ornamentaler Schmuck an antiken Betten, Mainz a.Rh. 1989.