L'Italia romana delle Regiones. Regio III Lucania et Bruttii
di Angelo Bottini
La regio III augustea corrisponde solo in modo approssimativo all’attuale Basilicata, anche nel suo comparto non ricadente nella moderna Calabria. Sulla base delle più recenti ricerche, a nord va escluso tutto il saliente gravitante sul medio corso dell’Ofanto, con i siti di Melfi, Venosa e Lavello (da identificarsi probabilmente con Forentum), mentre rimane incerta la collocazione di Bantia (Banzi). A sud-est, il confine naturale costituito dal Bradano fa attribuire all’Apulia anche il comprensorio materano, con i centri di Montescaglioso e di Timmari. Al contrario, sull’opposto versante tirrenico occorre tenere presente l’inclusione del vasto territorio della Lucania occidentale, dal corso del Sele a quello del Lao. Anche sullo Ionio, infine, il confine con il Bruzio, dato probabilmente dal fiume Coscile, implica l’appartenenza di un tratto significativo del territorio sibarita, fino a lambire la città stessa.
Per le fasi più antiche meritano un cenno i rinvenimenti avvenuti lungo tutta la fascia costiera ionica e nelle valli retrostanti (in particolare nella grotta di Latronico), databili dal Neolitico all’età del Bronzo. Per quest’ultima fase è altresì da sottolineare, date le notevoli conseguenze sul piano dell’interpretazione storica, la recente scoperta di cospicue importazioni egee. Esse sono ben documentate nel sito di Broglio di Trebisacce, dove le ceramiche dal Miceneo IIIA al IIIC si correlano a livelli compresi fra il Bronzo Medio evoluto e il Bronzo Recente. Sia a Broglio che più a nord-est, sulla collina di Termitito (Matera), il contatto con i navigatori egei sembra dare avvio a una produzione locale. Nel sito citato per ultimo essa appare assai significativa anche sotto il profilo quantitativo (il riferimento è alle serie peloponnesiache del Miceneo III B2 e IIIC). Sul versante tirrenico salernitano, tali relazioni sono ben documentate dai rinvenimenti della grotta di Polla e soprattutto di Montedoro di Eboli, ricollegantisi ai precedenti dell’area urbana di Paestum. Per quanto riguarda la successiva prima età del Ferro, le ricerche più recenti hanno contribuito a porre in chiaro soprattutto due aspetti: la netta differenza di densità fra area costiera ionica ed entroterra e il precoce comparire di un’articolazione culturale (quasi di certo anche etnica), destinata poi a manifestarsi in pieno nel corso della successiva fase arcaica. Alla Fossakultur tirrenica con inumazioni supine in posizione distesa appartengono le genti da identificarsi poi con gli Enotri della tradizione storica antica occupanti la parte più interna delle due vallate meridionali dell’Agri e del Sinni e il distretto montuoso ai margini del Bruzio. A un gruppo legato invece ai confinanti Iapyges dell’Apulia, praticante l’inumazione in posizione rannicchiata, vanno ascritti gli abitati della valle del Basento, del versante destro di quella del Bradano, dell’area centrale del Potentino e di un buon tratto della costa del Golfo di Taranto (nel cui lembo più meridionale si colgono tuttavia i segni di un intrecciarsi dei due gruppi: ad es., i casi di Amendolara, col rito della deposizione distesa, e di Francavilla Marittima, con quello invece della deposizione rannicchiata). Agli inumatori in posizione rannicchiata appartengono i due villaggi protostorici più popolosi di tutta la Lucania, posti entrambi nei pressi dei siti occupati in seguito dai coloni greci: San Teodoro-Incoronata di Pisticci alle spalle di Metaponto e Santa Maria d’Anglona-Valle Sorigliano di Tursi (Matera) nel primo entroterra di Siris-Polieion, da leggersi come sito principale dei Chones noti alle fonti (soprattutto Strab., VI, I, 4).
In questo contesto, non sorprende il fatto che pressoché tutti gli abitati gravitanti sullo Ionio abbiano restituito oggetti d’importazione (ceramiche, bronzi, monili) che documentano l’esistenza di contatti riferibili a un momento precedente quello delle apoikiai. Particolarmente significativa è la coppa di fabbrica corinzia tardogeometrica, dall’insediamento dell’Incoronata di Metaponto. Sotto il profilo socioeconomico queste prime relazioni non danno avvio a processi trasformativi; l’analisi dei rituali funerari ci restituisce anzi l’immagine di comunità a base egualitaria in cui emergono solo singole figure di quei capi (sepolti con corredi particolari, talora a fianco della propria compagna), ai quali era con ogni probabilità demandato il contatto con gli stranieri. La crisi definitiva avviene solo con lo stanziamento diretto dei Greci, il cui approccio con gli indigeni, lungi dall’essere guidato da regole costanti, si concretizza invece in una gamma piuttosto ampia di comportamenti. È nota, nel caso di Sibari, la diversa sorte di Francavilla Marittima (dove sul villaggio s’impianta un luogo di culto sacro ad Atena), rispetto a quella di Amendolara, il cui abitato sopravvive ma con radicali trasformazioni e a prezzo di una subordinazione economica e politica alla polis.
Per quanto concerne i Colofoni di Siris si possiedono ora i dati relativi a varie zone-campione molto diverse fra loro. Nell’immediato entroterra il citato insediamento di Santa Maria d’Anglona tende a spegnersi rapidamente (mentre singole inumazioni di indigeni punteggiano i sepolcreti urbani a incinerazione); più a nord-est si sviluppa invece il sito dell’Incoronata (sede di eccezionali rinvenimenti a incinerazione), dai connotati non ancora del tutto definiti. Alla tesi dello scavatore, P. Orlandini, che vi vede una diretta e traumatica sovrapposizione di un nucleo ionico, aperto al contatto con altri gruppi indigeni ma in posizione di assoluto predominio, si contrappone infatti quella di chi preferisce ipotizzare la convivenza delle due comunità. Del tutto diverso è invece il quadro relativo al profondo retroterra enotrio; in queste aree il consolidarsi della presenza coloniale greca agisce infatti in modo piuttosto positivo.
La conseguenza più evidente è costituita da una progressiva crescita demografica, documentata dalle numerose necropoli, con tombe ricche di vasellame della serie “principale” della produzione geometrica e subgeometrica bicroma, la cui sintassi decorativa si riallaccia direttamente a quella del basso Materano del tardo VIII sec. a.C. Su questa situazione fondamentalmente favorevole si innesta inoltre, in modo molto precoce, il consueto meccanismo di articolazione sociale, di cui gli scavi permettono ora di cogliere i tratti più salienti. È il caso della vastissima necropoli di Alianello di Aliano (nella media valle dell’Agri, Matera), dove un lembo dell’area è riservato alle sepolture, in tombe notevoli anche sotto il profilo esteriore, di una serie di individui dalla condizione di chiaro privilegio, particolarmente evidente nella componente femminile. Mentre gli uomini esibiscono solo il particolare ruolo guerriero attraverso la grande spada, le donne ostentano infatti l’accumulazione dei beni sotto forma di parures ornamentali – con metalli e ambra – di grande complessità (forse l’abbigliamento nuziale?) e di oggetti d’importazione.
A fianco di ceramiche corinzie o di tipo corinzio ma di fabbrica coloniale (fra le più antiche un aryballos ovoide protocorinzio medio e una kylix del tipo Thapsos “senza pannello”), compaiono così prodotti di lamina di bronzo (lebeti, bacili, phialai baccellate) assegnabili piuttosto alla metallurgia etrusca. La particolare intensità di queste relazioni appare dunque attribuibile, più che al consueto meccanismo coloniale di scambio di beni primari contro manufatti e produzioni agricole pregiate, al fatto che gli abitanti di queste grandi vallate potevano svolgere una preziosa funzione di intermediazione fra il polo greco sullo Ionio e quello etrusco-campano sul Tirreno, come testimonia anche la presenza di buccheri. La conferma dell’importanza di questo particolare ruolo svolto per circa un secolo dagli Enotri (e anche della conseguente duplice dipendenza culturale) ci viene dalle risultanze degli scavi condotti in un altro sitochiave della zona, Chiaromonte, nella valle del Sinni (Matera). Le tombe maschili dell’avanzato VII e dei primi del VI sec. a.C. documentano infatti l’approfondirsi del processo di sviluppo dell’organizzazione sociale (adozione piena del rituale del banchetto) e militare (gli esponenti più elevati recano nella sepoltura panoplie complete, come mostra il bronzetto italiota noto col nome di Cavaliere di Grumentum).
Le fortune della colonia ionica non sembrano peraltro durare molto più a lungo di questa fase iniziale del VI secolo, epoca in cui si contrae in modo vistoso la documentazione offerta sia dalle necropoli che dai non molti lembi di abitato arcaico riportati alla luce nell’area urbana di Policoro e che inducono ormai a ritenere certa la coincidenza fra Siris e la successiva Heracleia. La città continua a vivere, come indicano per esempio tutte le aree di culto finora indagate, seppure in condizione di subalternità nei confronti delle confinanti poleis achee, probabilmente di Sibari in particolare.
Il crollo definitivo di questa parte dell’Enotria gravitante sullo Ionio si verifica non prima dei decenni iniziali del V sec. a.C., in sincronia quindi con la scomparsa di quest’ultima città, della cui capacità di organizzare anche l’entroterra indigeno è chiara testimonianza l’ordinato insediamento di Amendolara. In ogni caso, a partire dagli anni che vedono l’eclissarsi della potenza sirite, nell’entroterra la funzione di tramite inizia a essere svolta da un diverso gruppo indigeno, cioè dalle genti (forse i Peuketiantes menzionati da Ecateo, fr. 57) insediate lungo il corso del Basento, nell’area dell’acrocoro potentino, fino all’alto corso dell’Ofanto (dal quale è agevole il transito nell’opposta valle del Sele, tramite la Sella di Conza). A fungere da terminale non sono quindi più gli Ioni e gli Etrusco-Campani, bensì le due città, per molti versi gemelle, di Metaponto e Posidonia. Mentre sul versante tirrenico la fondazione della seconda non provoca contraccolpi rilevanti (avvenendo in un territorio assai poco frequentato), la nascita di Metaponto appare tutt’altro che indolore per le genti insediate sulla costa ionica e sulla prima linea delle retrostanti colline.
Rivelatrice, in questo senso, è la repentina scomparsa dell’insediamento dell’Incoronata e di quello che sembra essere un piccolo nucleo abitato sorto sul sito prescelto per la nuova fondazione. Nell’entroterra, l’ascesa di Metaponto determina invece reazioni del tutto paragonabili a quelle descritte a proposito dell’Enotria della fase precedente. Il sito che meglio di ogni altro esprime questa nuova realtà è quello posto sulla sommità del Monte Serra, nel comune di Vaglio, nel cuore del Potentino. In luogo del precedente villaggio di capanne sorge, nel corso della prima metà del VI secolo, un abitato con strutture via via più complesse, in cui vengono utilizzate terrecotte architettoniche di tipo metapontino, presto imitate anche in loco.
La fase iniziale di questo processo è rappresentata dalla sistemazione, attorno a un’area lastricata posta all’esterno dell’insediamento, probabile luogo d’incontro e di scambio, di una serie di strutture decorate da un fregio fittile continuo a rilievo, del tutto analogo a quello impiegato per ornare i tetti di due fra i più antichi templi metapontini: quello urbano di Atena (Tempio C) e quello del santuario di S. Biagio alla Venella, nella valle del Basento. L’equilibrio così instauratosi non viene posto in discussione per l’intero VI sec. a.C. e per gran parte del successivo. Lungo questo itinerario più interno finiscono anzi per convogliarsi anche i traffici con la Campania, come testimoniano soprattutto i bronzi tardoarcaici ottenuti a fusione e alcune antefisse (dei tipi nimbati e a protome silenica), diffusi nel Nord della regione e nell’area daunia adiacente. Al pari dei materiali greci (fra cui si segnalano, dopo il 440 a.C., le ceramiche a figure rosse “protolucane” almeno in parte di certa produzione metapontina), questi beni si concentrano nelle mani delle varie élites locali che manifestano invece una minore propensione per forme di acculturazione di tipo strutturale. Solo Serra di Vaglio sembra infatti conoscere un progressivo sviluppo in direzione di forme protourbane, attorno a una serie di edifici di grandi dimensioni.
La struttura arcaica per piccoli nuclei affiancati ciascuno dalla propria necropoli rimane inalterata anche nei siti più prossimi alla stessa polis, come nel caso di Pisticci. Qui, grazie a un recente rinvenimento epigrafico, si può postulare la presenza, già in età tardoarcaica, di un nucleo di efebi inviati a prestare servizio militare en tais eschatiais. La crisi dell’intera organizzazione arcaica della regione sopravviene nel corso della seconda metà del V secolo, in conseguenza del processo di etnogenesi della nuova compagine, quella dei Lucani. In proposito, mirando a innovare rispetto all’impostazione tradizionale del problema – strettamente vincolata alle fonti, concordi nel sottolineare l’origine sannita dei Lucani –, la più recente indagine archeologica ha spesso posto in rilievo gli elementi di continuità nei confronti delle popolazioni indigene precedenti che sembrano giunte, nell’area tirrenica di influenza sibarita, a forme di organizzazione sociopolitica di qualche complessità (si veda l’epigrafe di Castelluccio di Lao, datata agli inizi del V sec. a.C.). Non sembra si possa tuttavia dubitare della piena storicità del fenomeno migratorio delle genti di lingua osca dalla fascia montuosa in direzione delle paraliai, esteso peraltro all’intera dorsale appenninica centro-meridionale. A guidarlo sono con ogni probabilità ristrette aristocrazie dalla connotazione spiccatamente militare e più precisamente equestre (si vedano le raffigurazioni tombali pestane del “ritorno del cavaliere”, documentate già nel secondo quarto del IV sec. a.C.), che si affermano anche sul complesso delle comunità esistenti e al cui predominio va connesso pure il forte sviluppo del fenomeno del mercenariato.
Sul piano degli avvenimenti, l’affermarsi del nuovo ethnos è marcato dalla conquista di Posidonia (ultimo quarto del V sec.), perfettamente leggibile nella profonda trasformazione del rituale funerario precedente. Il passaggio sotto controllo italico, per quanto comprensibilmente sentito come un evento catastrofico da parte greca, non determina alcun fenomeno di decadenza. Al contrario, la città – in cui viene preservata la funzionalità non solo dei templi ma anche di strutture di specifica funzione politica come l’edificio assembleare a pianta circolare – continua a svolgere un ruolo preminente nei confronti dell’intero territorio, anche quale sede di attività artigianali legate alla committenza aristocratica. Anche nella chora circostante si colgono i segni di processi di trasformazione analoghi a quelli che caratterizzano le coeve campagne delle poleis greche (così, ad es., nella Metaponto della seconda metà del IV sec. a.C.), con il sorgere di un sistema di insediamenti rurali che presuppongono, più della tradizionale cerealicultura, l’introduzione delle culture arboree della vite e dell’olio.
Il peso di queste attività primarie connesse alla proprietà terriera sembra riflettersi anche nella scelta dei soggetti dei cicli pittorici funerari (e, almeno nel caso della grande tomba bisoma di Moio di Agropoli, nel corredo stesso): accanto al ruolo guerriero del cavaliere viene infatti posto in evidenza quello della donna, signora dell’oikos. Il punto di approdo di questo che appare essere il settore più evoluto del mondo lucano è attestato infine da un gruppo di megalografie successive alla breve ed effimera parentesi di ripresa ellenica dovuta ad Alessandro il Molosso (334-331 a.C.), decoranti le tombe della contrada Spinazzo. L’articolazione del ruolo maschile fra iuvenes e senes, così come la perdita d’importanza della simbologia guerresca, sembra indicare infatti il definito affermarsi di un’organizzazione politica fondata su un sistema di magistrature, attestate anche dai documenti epigrafici. Una funzione analoga a quella di Paestum ha probabilmente svolto il secondo centro urbano costiero tirrenico, Laos, il cui sviluppo urbano sembra anzitutto da ascriversi, secondo le indicazioni degli scavi, alla fase lucana della seconda metà del IV secolo.
La conferma di questo prevalere in termini di sviluppo della Lucania occidentale ci viene anche dallo studio di un sito d’altura rientrante quindi appieno nella tipologia degli abitati italici fortificati, come Roccagloriosa, posto ai limiti del territorio di Velia (una vicinanza probabilmente non priva di peso in termini di acculturazione). Qui alle grandi case dotate di sacra domestici corrispondono le ricche tombe “emergenti” in cui ricompare anche il rituale, di lontane origini “eroiche”, dell’incinerazione.
La mesogaia appenninica vera e propria, fino ai limiti dei territori delle poleis greche dell’arco ionico sfuggite anche se a fatica alla sottomissione, conosce un’organizzazione meno complessa. Assenti del tutto le città, si possono annoverare solo pochi centri preminenti per dimensioni o articolazione di strutture; come nel caso, ancora una volta, di Serra di Vaglio. Per il resto, attorno a un’ampia rete di centri fortificati (non dissimili da quelli distribuiti lungo tutta la catena appenninica e come questi aventi in prevalenza la funzione di semplici luoghi di rifugio) si distribuisce una serie cospicua di fattorie o borgate agricole, quasi sempre a noi note solo attraverso le relative necropoli. In circostanze di normalità il compito di fungere da luogo d’incontro e di scambio sembra invece devoluto a santuari di ampie dimensioni, indipendenti (anche in questo caso secondo un modello centro-italico) dagli abitati e collocati invece in luoghi salienti sotto il profilo topografico.
In tutta la gamma delle strutture qui enumerate (in quelle militari in modo particolare) il debito nei confronti delle tecniche greche appare manifesto; diversamente da quanto avvenuto per le genti indigene di età arcaica, il mondo lucano del IV sec. a.C. non si pone in posizione di dipendenza strutturale nei confronti degli Italioti, ma ne assimila cultura e technai in funzione di un chiaro antagonismo politico, non mitigato neppure da fenomeni di grande rilievo sotto il profilo ideologico come l’adesione alla dottrina pitagorica da parte di esponenti dell’aristocrazia italica. Sotto il profilo archeologico il processo di romanizzazione, in atto almeno dai primi del III secolo, si configura come un momento di ulteriore profonda ristrutturazione socioeconomica della regione, che conserva comunque il suo aspetto di distretto rurale correlato a un numero ridotto di centri urbani, per lo più periferici rispetto alla sua estensione. Significativa appare soprattutto la concentrazione che si registra nella Lucania occidentale dove, oltre a Paestum, colonia nel 273 a.C., si contano le civitates foederatae (al pari di altre trasformate in municipia dopo il bellum sociale) di Eburum (Eboli), Volcei (Buccino), Arma (Atena Lucana), oltre all’importante centro di Forum Popillii (Polla). Nell’entroterra si possono invece annoverare solo Grumentum (Grumento), che peraltro si ricollega ancora al sistema appena menzionato, e Potentia (Potenza), insieme alla città (di cui non conosciamo pressoché nulla) che sostituisce l’indigena Serra di Vaglio. Sulla costa ionica si registra infine la continuazione delle antiche poleis: Metaponto esibisce tuttavia i segni di un’accentuata quanto precoce decadenza.
Nucleo-base dell’organizzazione territoriale divengono le villae (di cui sono esempio sul versante occidentale quelle in agro di Buccino e, nel centro del Potentino, quella della contrada Montrone di Tolve), a fronte dell’abbandono delle fortificazioni d’altura e di tutti i centri lucani di medie dimensioni, fenomeno questo che giunge a completamento nell’arco del medesimo secolo. Maggiormente significativi sono pertanto gli elementi di continuità per tutta l’età repubblicana ravvisabili in taluni luoghi di culto. Un esempio viene offerto dal santuario di Rossano di Vaglio, nei confronti del quale (come testimonia l’epiclesi “utiana” attribuita alla dea Mefite) ha forse svolto un’azione di patronato l’importante gens omonima, titolare di un grande monumento sepolcrale a Polla. Le successive vicende storiche, a cominciare dal sostegno offerto dai Lucani alla spedizione annibalica e la conseguente trasformazione di buona parte del territorio in ager publicus, non fanno che accentuare questi caratteri di disgregazione e – si direbbe a giudicare dalla ridottissima entità delle testimonianze archeologiche – di un vero e proprio spopolamento.
In questo quadro così poco documentato merita una particolare attenzione il caso di Bantia (Banzi), civitas foederata di cui, attraverso le importantissime testimonianze epigrafiche (Tabula Bantina, cippi del templum augurale) ora integrate anche dai dati di scavo, si è in grado di seguire, sullo scorcio del II sec. a.C., il processo di municipalizzazione, operato sul modello della vicina colonia latina di Venusia (Venosa), con l’adozione iniziale del tribunato della plebe. Anche in Lucania l’età di Augusto segna un momento di ripresa sia nelle città che nelle campagne, come indica l’infittirsi generalizzato degli insediamenti rurali. Il conseguente sistema di grandi villae ha lasciato cospicue tracce su tutto il territorio regionale, in analogia a quanto si riscontra in tutto il Mezzogiorno d’Italia; il caso, di recente indagato, del grande complesso di San Giovanni di Ruoti ne indica la capacità di sopravvivenza fino al termine dell’età antica.
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Per la bibliografia aggiornata relativa all’età greca si veda quanto su colonizzazione greca, Magna Grecia, e Italia preromana: voci generali e singoli siti (Serra di Vaglio, Bantia e Grumentum).
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di Elena Lattanzi
Negli ultimi venti anni, grazie ad alcuni eccezionali rinvenimenti e alle ricerche sistematiche promosse dalla Soprintendenza Archeologica della Calabria, si sono accresciute in maniera rilevante le conoscenze della storia più antica della regione, con l’apertura di nuove prospettive anche per la storia dell’arte in Grecia in età classica.
Nel Paleolitico la distribuzione dei siti mette in risalto la forte concentrazione di ritrovamenti all’estremità nord-ovest della regione, con i giacimenti di Grotta del Romito di Papasidero e di Grotta della Madonna di Praia a Mare. La conoscenza del Paleolitico, tuttavia, è ancora molto provvisoria, con ampie lacune e grandi sbalzi cronologici. Ricerche effettuate nel 1988 hanno permesso di localizzare l’insediamento più antico finora noto in Calabria, a Caselle di Maida, dove in un’ampia terrazza, a circa 100 m s.l.m., sono stati rinvenuti numerosi manufatti litici riferibili al Paleolitico superiore e inferiore (industria su ciottolo) e al Neolitico.
Il quadro dello svolgimento delle culture preistoriche dal Neolitico fino alla tarda età del Bronzo, già delineatosi sulla base delle ricerche precedenti (grotte di Sant’Angelo di Cassano Ionio, insediamento di Favella della Corte, ecc.), si è arricchito, per il Neolitico, con le indagini nella piana lametina e lungo la costa tirrenica (Curinga, Campora, San Giovanni di Amantea), che hanno localizzato circa 300 siti preistorici, rivelando un intensissimo popolamento. Nel territorio di Cassano Ionio, non lontano dalle grotte di Sant’Angelo, si è scoperta la Grotta Pavolella, con stratigrafie dal Neolitico (con corredi di inumati, vasi, accette di pietra verde, strumenti di ossidiana e selce) all’Eneolitico. Alla fase del Neolitico medio si riferisce una statuetta femminile stante, di ceramica figulina, decorata da colore bruno su fondo rossiccio, forse un’ansa di recipiente (cd. Venere di Grotta Pavolella).
Le ancor più recenti ricerche, condotte da alcuni anni a Capo Alfieri, nel Crotonese, dalla missione archeologica dell’Università del Texas, hanno restituito un sito ricco di ossidiana e di ceramica di Stentinello, che presenta una monumentale struttura di pietra, con due pavimentazioni successive di ciottoli e, all’interno, cinque asce di pietra verde. Nella vicina località di Casa Soverito Corazzo, un saggio stratigrafico nel deposito di 7,5 m ha messo in luce una sequenza ininterrotta dal Neolitico medio al Bronzo Finale - I millennio a.C.
Ancora maggiori sono le nuove acquisizioni per l’età del Bronzo, contraddistinta dai contatti con il mondo egeo per il tramite degli intensi traffici dei navigatori micenei, dal XVI al XII sec. a.C. Attestazioni della prima età del Bronzo si hanno nel Poro, a San Domenico di Ricadi (tomba a grotticella con inumati rannicchiati; nelle deposizioni del Bronzo Recente perline di vetro, insieme a ornamenti di ambra e frammento di grande spada di bronzo); a San Ferdinando di Rosarno (industria litica di ossidiana e frammento tipo Piano Conte, che documentano stretti rapporti con la Sicilia) e a Troppa (materiali dalla piazza della cattedrale, che si riferiscono alla cultura del Milazzese). Nel Crotonese è notevole il recente rinvenimento fortuito, da Roccabernarda, di due asce bronzee a margini rialzati e foro ovale al tallone, una delle quali decorata da motivi geometrici incisi, che trova confronti con analoghi pezzi dal ripostiglio di Cotronei, sempre del Bronzo Antico. A Capo Piccolo, a sud di Capo Colonna, sono stati individuati nel 1986 lembi residui di una facies del Bronzo Antico, con evidenti influssi dell’orizzonte Protoappenninico B apulo-materano e della contemporanea facies della Sicilia, con associati frammenti di tipo egeo. Le ricerche in corso dal 1979 a Trebisacce, nella Sibaritide, come quelle riprese di recente a Torre del Mordillo (Spezzano Albanese) permettono di conoscere una completa sequenza culturale preistorica, dal Bronzo Medio al Finale al Recente. Sono state messe in luce strutture difensive, frammenti di unità abitative, con rinvenimento di abbondanti ceramiche micenee riconducibili ai periodi IIIB e IIIC e di produzioni locali (ceramica grigia depurata e grandi pithoi a cordoni).
Il recentissimo ritrovamento, a Torre del Mordillo, di un pettine di osso decorato a cerchietti, noto da abitati e tombe protovillanoviane e in ambiente egeo (Enkomi, Cipro) in contesto Tardo Cipriota IIIB, testimonia correnti commerciali dalla penisola verso Cipro (L. Vagnetti). Ancora dalla Sibaritide proviene un altro frammento miceneo, sporadico, attribuito al IIIB (dal Timpone della Motta, certo in relazione con i rinvenimenti già effettuati da P. Zancani Montuoro). Nell’area del Crotonese, la presenza di impasti del Bronzo Finale sul luogo del phrourion greco di Le Castella (Isola Capo Rizzuto) e di un’eccezionale quantità di impasti della stessa epoca sotto i livelli della villa romana del I sec. d.C. a Capo Cimiti, fanno ipotizzare l’esistenza di altrettanti approdi, in posizione strategica, sulla rotta degli antichi navigatori micenei.
Sul versante tirrenico, infine, presenze riferibili al Bronzo sono state individuate nell’area del fiume Savuto, a Serra Aiello località Cozzo Piano Grande, con materiali riferibili al Milazzese. Dallo stesso sito, un saggio ha messo in luce resti di abitazioni con pareti a secco di ciottoli e tracce di intonaci, riferibili al Bronzo Medio, i primi pertinenti a un insediamento all’aperto dell’età del Bronzo sulla costa tirrenica cosentina. Nello stesso sito erano già state individuate tre tombe a grotticella artificiale, con elementi comuni alla tipologia delle tombe siciliane dell’età del Bronzo. I rinvenimenti di questi ultimi anni permettono di chiarire meglio il quadro dei secoli immediatamente precedenti l’arrivo dei coloni greci, che si presenta ancora complesso e frammentario. I ritrovamenti dell’età del Ferro sono noti a Troppa (necropoli di incineratori, in urne biconiche di tipo protovillanoviano, con bronzi nei corredi), come a Roccella Ionica, località Sant’Onofrio, ove risulta tuttavia maggiore la presenza di tombe a fossa, delimitate da ciottoli.
Nella Calabria settentrionale l’età del Ferro è più documentata, da Amendolara a Francavilla Marittima, da Toio a Broglio di Trebisacce, a Torre del Mordillo (rinvenimenti sporadici a Bisignano, Corigliano Calabro-Serra Castello, Strongoli-Murge). Le inumazioni, in fosse delimitate da ciottoli o lastre, presentano corredi comprendenti fibule, ornamenti, recipienti di impasto, poche armi (una spada ad antenne da Torano). Scarabei egizi, perle, vetro, una coppa sbalzata “fenicia” di bronzo, da Francavilla, ceramiche protocorinzie costituiscono gli oggetti di importazione. Tale cultura (dal IX all’VIII sec. a.C.) compare con le prime fondazioni greche. Recenti scoperte hanno confermato la presenza della fase del Ferro anche nell’area di Cirò, negli insediamenti indigeni di Simeri Crichi, a Tiriolo e nell’area del Poro, a Drapia-Torre Calli.
Nell’area locrese, in contrada Stefanelli di Gerace è stato individuato un insediamento con tombe a camera scavate nella roccia, con corredi di ceramiche di impasto, fibule e altri oggetti di bronzo, misti a importazioni greche; tale insediamento risulta coevo a quelli già noti dalle necropoli protostoriche di Canale, Janchina, Patariti. L’esplorazione delle colonie greche più antiche si è svolta, innanzitutto, a Sibari. Saggi in profondità hanno scoperto una successione stratigrafica dall’epoca romana fino ai primi tempi della colonia achea della città. Testimonianze di Thurii sono state rinvenute in vari cantieri di scavo. A partire dal 1972 è stata intrapresa anche l’esplorazione dell’altra grande colonia achea sullo Ionio, Crotone, sia nel santuario di Hera Lacinia a Capo Colonna, sia in città, con numerosi e non sempre fortunati interventi di archeologia urbana, nel momento della massima espansione edilizia del moderno centro. Ricerche nell’area urbana e industriale hanno permesso di individuare la topografia di una città grande tre volte il moderno centro, mettendo in luce una complessa stratificazione, dall’VIII-VII sec. a.C. fino all’età romana. La città si organizza con uno schema urbanistico preciso fin dalla fine del VII sec. a.C. con assi stradali paralleli e ortogonali che raggiungono la linea di costa, articolandosi in tre orientamenti, da nord a est.
A Caulonia, subcolonia di Crotone, sono stati affrontati due diversi obiettivi: quello di chiarire la problematica dell’organizzazione urbanistica e quello di studiare le fortificazioni del centro. A Locri Epizefirii sono state condotte sistematiche campagne di scavi, mettendo in luce, soprattutto, il quartiere ellenistico di Centocamere e indagando le fortificazioni in contrada Marasà. Passando alla costa tirrenica, a Hipponion è stata individuata e parzialmente scavata una ricchissima stipe votiva in contrada Scrimbia, nell’attuale centro urbano, con rinvenimento di numerose statuette fittili, ceramica miniaturistica votiva, frammenti di pinakes di tipo locrese, frammenti di terrecotte architettoniche, vasi di bronzo, elmi votivi di tipo calcidese con decorazioni graffite, databili tutti tra VI e V sec. a.C. La necropoli occidentale della colonia greca ha restituito numerosissime sepolture a inumazione di varie tipologie (corredi databili tra fine VI e prima metà del IV sec. a.C.). Spicca tra tutte una sepoltura della fine del V sec. a.C. per l’eccezionale presenza di una laminetta aurea con testo orfico, contenente prescrizioni per l’iniziata. Sono in corso indagini atte ad approfondire le conoscenze e a datare la fortificazione scavata da P. Orsi in località Trappeto Vecchio.
Nelle altre due subcolonie di Locri, sul Tirreno, si sono acquisiti interessanti dati per Matauros (Gioia Tauro), grazie all’esplorazione della necropoli arcaica dell’importante centro commerciale, e per Medma per quanto riguarda i capisaldi dell’impianto urbano tra V e IV sec. a.C. A Reggio, infine, è stato esplorato un settore delle fortificazioni della calcidese Rhegion sull’altura del Trabocchetto; di mattoni crudi è la cinta più antica, inglobata nella più recente, di arenaria, del IV sec. a.C. Nello stesso centro, uno scavo eseguito presso la stazione ferroviaria Lido ha portato alla scoperta di un importante palinsesto della colonia calcidese, fino alle fasi di età romana e bizantina. Sui piani di Aspromonte, in località Serro di Tavola, a circa 1000 m s.l.m. è stato indagato un phrourion databile agli inizi del V sec. a.C., probabile avamposto di Rhegion nel territorio.
Tra i siti non greci della Calabria antica sono stati oggetto di indagine i centri nel territorio di Amendolara e Francavilla Marittima nella Sibaritide, Murge di Strongoli a nord di Crotone, lo stanziamento in località Petrosa presso Scalea nell’alto Tirreno, l’insediamento di Torre Galli-Drapia nel Poro. Ad Amendolara, al centro protostorico (rione vecchio) succede l’abitato sul pendio di San Nicola che, nella prima metà del VI sec. a.C., acquisisce l’aspetto di un agglomerato urbano organizzato, con case di grandi dimensioni ai lati di strade quasi rettilinee, con alzato di mattoni crudi su zoccoli di pietre, caratterizzato da un’evidente somiglianza con il quartiere degli Stombi a Sibari. Le necropoli di Mangosa e Paladino, sotto l’abitato, presentano deposizioni in fosse rettangolari, circondate e coperte da lastroni, senza orientamento preciso. Nei corredi, accanto a recipienti locali, appaiono tazze di origine greca o coloniale. L’abitato di VII-VI sec. a.C. sorge subito dopo la fondazione di Sibari e ne segue le vicende (tesoretto di monete incuse della fine del VI sec. a.C. da San Nicola).
A Francavilla Marittima, sul Timpone della Motta, sono riprese le ricerche nel santuario scavato da P. Zancani Montuoro con il rinvenimento di un nuovo edificio sacro sull’acropoli, in uso tra seconda metà del V e fine del IV sec. a.C., e di due stipi votive, da cui proviene un notevole frammento di laminetta d’argento e oro, a sbalzo, con motivo di lotta tra un leone e un cinghiale (fine VII sec. a.C.). A Murge di Strongoli (proposta di identificazione dell’insediamento con l’antica Macalla) è stata messa in luce, in recenti campagne di scavo, una presenza ininterrotta, sul terrazzo naturalmente fortificato ma cinto da doppia cerchia di mura, dall’età del Ferro fino al IV sec. a.C. con particolare documentazione di tombe e rinvenimenti dalla fine del VII al V secolo e nella successiva fase di occupazione di IV sec. a.C. Nuovi contributi per l’identificazione di Temesa vengono dalle recenti ricerche sul piano della Tirena (Nocera Terinese) con documentazione di preesistenze di età arcaica; dal sito ove, con ogni probabilità, sorgeva la subcolonia crotoniate di Terina (Santa Eufemia Vetere, località Giardini di Rende) è stato recuperato un tesoretto di 42 bronzi, importante per lo studio dei problemi della cronologia della monetazione romana e della circolazione monetale nel Bruzio. Non ancora nota, invece, è l’ubicazione dell’antica Laos, subcolonia dei Sibariti sul Tirreno, mentre appare ormai certa l’attribuzione dei resti dell’impianto urbano di tipo ippodameo, messi in luce a Marcellina-Santa Maria del Cedro, a Laos Lucana (importanti rinvenimenti, tra cui la zecca lucana).
Si registrano notevoli progressi delle indagini archeologiche sulle popolazioni italiche, soprattutto sui Bretti, tra XI e IV sec. a.C. I centri più indagati sono gli abitati fortificati di Castiglione di Paludi e di Torre del Mordillo, le fortificazioni di Muraglie di Pietrapaola, gli abitati a nuclei sparsi di Tiriolo, dell’area di Cirò Superiore. Di recente si sono avviate ricerche anche sulle fortificazioni di piano della Tirena e sul sito della metropolis dei Bretti (Cosenza). Unità abitative consistenti in strutture murarie in tecnica a doppio paramento a secco, in un contesto databile tra IV e III sec. a.C. sono state messe in luce nei sotterranei dell’ex seminario vescovile, come sotto Palazzo Sersale, nel moderno centro. Necropoli sono state scavate a Cariati, località Salto (tomba a camera ipogea con ricco corredo di ceramiche, armi di bronzo, resti di un focolare, databile nel terzo quarto del IV sec. a.C.) e a Cirò Marina e Superiore (in località Franza e Spatoletto, con rinvenimento, in quest’ultima località, di una monumentale tomba a camera, già manomessa, con resti di ricco corredo, tra cui foglie dorate di un diadema, splendidi orecchini, un alabastron, una moneta romanocampana). A Tiriolo è ripresa l’esplorazione, insieme all’abitato in contrada Donnu Marco, anche della necropoli del III sec. a.C. con tombe costruite con struttura a tegole sovrapposte.
Un insediamento rurale è stato scavato a Montegiordano, in località Menzinaro (metà IV - primi decenni III sec. a.C.) a nord della tradizionale linea di confine tra Lucani e Bretti; la conferma che gli abitanti della fattoria appartenevano all’ethnos lucano è data da due graffiti sul fondo di vasi acromi, attestanti un nome osco in lettere greche. Di un’altra popolazione italica, i Taureani, ci forniscono notizie scavi recenti in località Mella di Oppido Mamertino, con la testimonianza di bolli con l’etnico sulla condotta d’acqua che corre lungo una strada selciata. Unità abitative provviste di ambienti termali, in corso di scavo, si datano tra III e inizi del I sec. a.C.
Per l’età romana le ricerche si sono concentrate, spesso per motivi di tutela, su alcuni importanti centri del Bruzio, da Vibo Valentia a Scolacium (Squillace), da Crotone a Petelia-Strongoli, da Copia a Reggio Calabria. A Vibo Valentia sono stati rinvenuti ambienti di età imperiale con pavimenti decorati da mosaici policromi; alcuni sono certamente pertinenti a un grandioso complesso termale, nell’area di Sant’Abe, in uso dalla fine del II al V o VI sec. d.C.; altri potrebbero appartenere a una domus, in corso di esplorazione (vano con decorazione musiva con emblema raffigurante Anfitrite o Nereide su ippocampo, databile tra II e III sec. d.C.). Nel sito di Scolacium, nel territorio del comune di Borgia, intorno alla basilica normanna della Roccelletta, è stato affrontato prima lo scavo del teatro, con rinvenimento di varie statue di marmo rappresentanti personaggi togati, tre con teste-ritratto del I sec. d.C., mentre più di recente è stato esplorato un edificio absidato, con tracce di più fasi di vita, prospettante sul foro, anche questo messo in luce parzialmente di recente.
Dall’edificio absidato, probabilmente destinato al culto della famiglia imperiale, proviene un altro gruppo di statue di togati, uno dei quali recante la testa-ritratto di Germanico, un secondo raffigurante il Genius Augusti, con cornucopia. A Crotone le necropoli della colonia romana si sovrappongono ai resti dell’abitato di Kroton fortemente contrattosi. A Reggio Calabria il già ricordato scavo presso la stazione Lido ha restituito testimonianze di un grandioso progetto di sistemazione urbanistica di età imperiale, in un’area precedentemente utilizzata fino al II sec. a.C (resti di una grandiosa scaenae frons, con sequenza di nicchie e di ambienti absidati, con prospetto sul mare). In seguito, nei secoli IV e V d.C. l’area è occupata da un modesto quartiere artigianale (canalizzazioni e vaschette, forse per lavorazioni di pelli o di pesce). A valle dell’abitato di Petelia-Strongoli è stata esplorata una necropoli datata tra I e II sec. d.C. in località Fondo Castello, con monumenti funerari lungo una strada basolata, con volte a botte e nicchia centrale.
Carattere eccezionale ha il rinvenimento, inserito nel contesto di un abitato presso il torrente San Pasquale, a Bova Marina (probabile statio itineraria tra Locri e Reggio) dei resti di una sinagoga, che conserva parzialmente il pavimento musivo dell’aula, con raffigurazioni entro riquadri alludenti a precisi simboli del culto giudaico (mĕnōrāh), in uso tra IV e V sec. d.C.
Numerose ville romane di età imperiale sono diffuse in Calabria (tra I e IV sec. d.C., talvolta con fasi tardorepubblicane e rifacimenti successivi), dalla sontuosa villa di Casignana-Palazzi, con ambienti termali decorati da pavimenti musivi policromi e rivestimenti di marmi pregiati, a quella di Gioiosa Ionica (cd. Naniglio), nella zona di Locri, alle ville rustiche di Monasterace-Fontanelle e di Falerna-Pian delle Vigne. Le ville di Nicotera-località Mortelleto e Malvito-Pauciuri è probabile facessero parte di nuclei abitati, di stationes itinerariae in punti nodali di grandi arterie di comunicazione. La villa di Roggiano Gravina, località Larderia, presenta, come le altre, un nucleo più antico di età augustea, mentre il ciclo dei mosaici si riferisce alla seconda fase, tra I e II sec. d.C.
Per il periodo tardoromano e bizantino si ricordano le ricerche eseguite a Tropea, in piazza della Cattedrale (necropoli di V-VI sec. d.C. con corredi e iscrizioni funerarie), gli scavi nel complesso di Quote San Francesco, presso Locri, e nei loci cassiodorenses, tra Squillace e Stalettì. Alcune recenti scoperte contribuiscono a documentare la storia economica della Calabria antica, sia in età tardorepubblicana che in epoca tardoimperiale: due aree di immagazzinamento di anfore sono state messe in luce a Trebisacce, località Chiusa (II-I sec. a.C.) e a Santa Maria di Ricadi (I sec. a.C.) entrambe presso il mare. Un impianto produttivo di anfore è stato scavato a Pellaro, località Lume (IV sec. a.C.) proprio alle porte di Rhegium Iulium. Altre scoperte, relative a relitti e carichi di marmi asiatici, si sono verificate soprattutto nel mare di Crotone (a Punta Scifo, presso Capo Colonna). Nel mare di Vibo Valentia, invece, proseguono le indagini delle strutture portuali presso la fiumara Tramiti.
Alcuni importanti rinvenimenti di reperti archeologici verificatisi in Calabria negli ultimi anni hanno portato un contributo fondamentale agli studi sulla scultura greca, non solo coloniale. Dal mare di Riace, infatti, provengono le due ormai famose statue note come Bronzi di Riace, esposte nel Museo Nazionale di Reggio Calabria. Altro rinvenimento di eccezionale rilievo è quello della statua di personaggio anziano barbato (il cd. Filosofo, dal mare di Porticello-Villa San Giovanni) la cui presenza nel carico di un relitto della fine del V sec. a.C. ha modificato le nostre conoscenze sul ritratto greco. Dal santuario di Hera Lacinia a Crotone proviene la bella testa di stile severo pertinente alla decorazione frontonale del tempio. Ancora un cenno merita il rinvenimento a Locri, contrada Marasà, di sime a testa leonina di calcare locale, riutilizzate in contesto ellenistico, databili nella seconda metà del V sec. a.C. e attribuibili alla contemporanea ricostruzione del tempio ionico di Marasà.
Opera coloniale è anche una lastra di rivestimento fittile frammentaria, dal Timpone della Motta di Francavilla Marittima, con scena di proegetès e coppia di muli, già nota da un esemplare di Metaponto (stessa matrice). Tra i ritratti romani, invece, oltre i già segnalati da Scolacium, si ricorda un bel ritratto da Vibo romana, dalla zona di Sant’Abe, raffigurante Agrippa, riconducibile al tipo Gabi al Louvre.
Opere di sintesi recenti sulla ricerca archeologica in Italia meridionale (e sulla Calabria in particolare):
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La rassegna delle attività di scavi e ricerca in Calabria è pubblicata in CMGr e Klearchos, mentre una bibliografia recente e analitica è in E. Lattanzi, s.v. Lucania et Bruttii, in EAA, II Suppl. 1971-1994, III, 1995, pp. 438-45.
Per la bibliografia aggiornata relativa all’età greca si veda nella sezione Greci - colonizzazione e Italia preromana: voci generali e singoli siti.
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