Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il termine informale viene utilizzato per la prima volta nel 1951 da Michel Tapié per definire una serie di ricerche pittoriche sul segno e sulla materia sviluppatesi in Europa negli anni Quaranta e Cinquanta. L’informale si caratterizza per il netto rifiuto della forma a priori e della creatività come atto razionale e progettuale. Privilegia il gesto e il segno come tracce della relazione con la materia. Tra i più noti artisti informali possiamo citare Fautrier, Dubuffet, Tàpies, Burri e Fontana.
“Non capisco il senso preciso di questo termine: arte informale. Ho paura che questo termine non si applichi a qualcosa che possa veramente essere ben definita e circoscritta” (Jean Dubuffet, in Crispolti, L’informale. Storia e poetica, 1971). Se oggi con informale si identifica un certo tipo di ricerca pittorica sviluppatasi intorno agli anni Quaranta e Cinquanta in Europa, sicuramente l’espressione ha creato non poche perplessità soprattutto per la vastità e, in certo modo, la vaghezza del significato. Volendo definire una cronologia, potremmo dire che l’Informale inizia a Parigi intorno al 1945 con le mostre della Galleria René Drouin. È qui che nel 1944 Jean Dubuffet realizza la sua prima personale, nel 1945 Jean Fautrier espone gli Otages e Otto Wols (1913-1951) i propri lavori. Un decennio più tardi, la presa di posizione di Michel Tapié – in Esthétique en devenir, 1956 – contro la parola informale (da lui stesso coniata nel 1951), fa sì che si consideri la ricerca pressoché conclusa nonostante siano proprio gli anni Cinquanta a registrare la grande diffusione dell’informale fuori dalla Francia, anche per la disponibilità del termine a coprire molte esperienze. In questa variegata vicenda artistica possiamo rintracciare tre grandi tematiche: la problematica dell’uso del vocabolo stesso, gli elementi comuni di una ricerca che, in realtà, si muove in termini spesso individuali e soggettivi e la questione culturale da cui prende avvio la ricerca informale. Il carattere individualista dell’informale renderebbe, invece, frammentaria un’analisi di tipo geografico. Il termine informale, che tra i vari utilizzati è quello che ha riscosso il maggior successo e la maggiore diffusione, non avrà vita facile prima di imporsi, ma il fatto che abbia potuto indicare molte esperienze diverse, fa sì che sia stato utilizzato per tutte le espressioni di tale ricerca. Viene utilizzato per la prima volta da Michel Tapié nel 1951 in occasione della mostra Véhémences confrontées alla Galleria Nina Dausset a Parigi, è assente negli Stati Uniti dove prende il nome di action painting o espressionismo astratto. Il dibattito si inserisce in un clima piuttosto vivace. Già nel 1947, Jean-José Marchand utilizzava il termine abstraction lyrique presentando la mostra L’imaginaire alla Galerie du Luxembourg, alla quale sono presenti opere di Arp, Atlan, Brauner, Hartung, Mathieu, Picasso e molti altri. L’impiego della parola abstraction diventa però piuttosto controverso. Il concetto di astrazione si situa, infatti, agli antipodi delle ricerche informali, perché segna per certi aspetti anche un movimento di allontanamento dalla materia e dall’esistenza. Nel 1952 sempre Tapié in Un art autre definisce tutti i moventi e i temi della sua ricerca critica sull’Informale: “non può esistere arte, oggi, se essa non è in qualche modo stupefacente […] non ci si muove contro le nozioni di Bellezza, Forma, Spazio, Estetica ma al di fuori di queste. […] nella misura in cui la nostra arte è altra, si elabora un nuovo protocollo, un nuovo rituale che non è miglioramento dei vecchi principi, ma che è esso stesso totalmente diverso, tanto nei suoi postulati come nelle sue scale di valori. [L’arte è tesa a esprimere] niente altro che il suo totale divenire, la condizione umana con tutto ciò che essa ci propone di fantasticamente meraviglioso [...]”. Nel 1953 Pierre Guéguen utilizza il termine tachisme (da tache, cioè “macchia”) in senso dispregiativo. Nel 1954 Charles Estienne lo riprenderà cambiandone, con un certo successo, il senso. Lo svantaggio del termine tachisme è quello di operare in un settore limitato delle ricerche non riuscendo a comprendere chi opera sul versante “segnico” più che “materico”, come Henri Michaux, Camille Bryen, Georges Mathieu.
Per informale si intendono, quindi, una serie di ricerche soprattutto pittoriche sul segno e sulla materia che hanno portato a una rivoluzione totale del fare pittura. L’informale si sviluppa solo in Europa e con caratteristiche diverse, soprattutto nella matrice delle opere, da ciò che nasce contemporaneamente negli Stati Uniti. Nonostante le molteplici differenze, però, informale e abstract expressionism presentano un approccio simile e stupisce la vicinanza dei risultati teorici e formali a cui gli artisti sono giunti. Innanzitutto, si deve definire l’informale non come una corrente o un movimento, ma come una sorta di clima culturale. L’opposizione radicale a una forma data a priori, il rifiuto di ciò che è precedente e progettuale rispetto all’azione della pittura, il rifiuto, almeno in parte, della figurazione, il potere liberatorio della materia, la perdita e la dissoluzione quasi totale dell’immagine figurativa di qualunque tipo, sono alcune delle caratteristiche comuni agli artisti che si sono avvicinati all’informale. “Questa crepa nel marciapiede è uno dei miei disegni. È qualcosa di vivo. Si ingrandisce, cambia ogni giorno come un fiore [...] un artista deve vedere al di là di ciò che salta agli occhi” (Wols, in Ballo, Russoli, Aspetti dell’informale, 1971).
Nelle ricerche di questi artisti si risente, frequentemente, del tentativo di levare ogni mediazione fra l’essere del soggetto e il fare della pittura, cosa di cui essi stessi sono fortemente consapevoli. Non si parte più dall’idea per raffigurarla ma le emozioni, le linee, i colori, vengono messi sulla tela così come arrivano. Conta “non solo la dimensione delle forme e dei colori, ma quella delle assenze, degli sdoppiamenti, dei ricordi, delle ambivalenze psichiche e fisiche” o, ancora, nelle parole di Hans Hartung: “Una semplice linea – violenta, impetuosa, contorta, spezzata, o, al contrario, calma, regolare, uniforme – traduce ciò che noi sentiamo. Essa corrisponde alla nostra vita [...]”. In questa nuova concezione del reale, a volte instabile e angosciante, è presente la traccia di una memoria esistenziale e, al di là dell’inquietudine, la macchia, il segno e il gesto sono gioia di vivere e leggerezza del fare, non solo furore gestuale.
In Europa si assiste inoltre a una polarizzazione della ricerca che è praticamente assente negli Stati Uniti: la divisione tra informale “segnico” e informale “materico”. Non si tratta di una divisione netta e univoca, non sempre gli artisti si affidano a una sola indagine e le interferenze sono continue, così da rendere tale divisione più uno strumento teorico e critico che un modo per distinguere correnti. Se consideriamo i due “padri” dell’informale, Fautrier e Dubuffet, la prevalenza viene accordata alla materia, mentre i maggiori esponenti dell’Informale segnico sono: Hans Hartung, Pierre Soulages, Mathieu, Wols e André Masson. Questi artisti non hanno mai formato un gruppo, né redatto un manifesto, il loro “segnismo” è evidente, ma individualmente perseguito, e solo una forzatura critica potrebbe raggrupparli. La stessa cosa si può dire per gli appartenenti all’area “materica”: Nicolas de Staël, Antoni Tápies, Jean Paul Riopelle, Asger Jorn e Karel Appel. È proprio l’informale “materico” a costituire l’elemento di maggior distinzione rispetto all’informale statunitense dove non esiste la dimensione della materia intesa come elemento temporale della memoria, dell’appartenenza, la dimensione storica oltre che esistenziale.
Le origini dell’informale si possono rintracciare nel dada, nel cubismo analitico, che ha segnato l’irruzione del caos nella pittura e nel surrealismo, soprattutto nella sua versione non figurativa. L’informale è il primo movimento dell’arte contemporanea europea che ha cercato di tagliare i ponti con il passato, anche se con uno spirito assai differente dall’ironia caustica del dadaismo e con motivazioni ben diverse da quelle del cubismo o del futurismo.
Ma altrettanto importanti sono certe influenze del campo letterario e filosofico che pure presentano tratti fortemente anti intellettuali o anti letterari. È nella letteratura di Céline, Sartre, Miller che troviamo già tutti gli elementi che verranno poi espressi dalle opere informali: l’idea della corporeità come “marmellata” (Céline), la fisicità degradata, l’unico riscatto individuato nella tensione creativa, come nelle riflessioni dell’esistenzialismo o della fenomenologia che in Francia vanno appuntando importanti pagine di osservazioni della realtà. Rilevante sull’immaginario figurativo di questi anni è inoltre l’influenza di alcune invenzioni tecnologiche: dall’introduzione del microscopio elettronico alla televisione, dai primi lanci spaziali fino all’esplosione terrificante della bomba atomica.
In Italia le esperienze informali, che hanno visto confrontarsi artisti molto diversi tra loro, subiscono uno slittamento cronologico, dato che è necessario attendere l’inizio degli anni Cinquanta (1954-1955) per considerare l’informale italiano uniformemente diffuso. La ricerca prende avvio dall’opera di Lucio Fontana, il quale nel 1946 pubblica il Manifesto blanco, e di Alberto Burri che possono essere ricondotti l’uno a una ricerca di stampo “segnico”, l’altro a un ambito più densamente “materico”. Tra queste due polarità si inseriscono Mandelli, Moreni, Morlotti, Raccagni, Vacchi, per quanto riguarda il percorso “materico”; Carla Accardi, Giuseppe Capogrossi, Gastone Novelli, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo e Cy Twombly per quello “segnico”. Nell’intero panorama italiano è assente l’impeto gestuale che contraddistingue la tensione di un americano come Pollock. Negli artisti italiani, infatti, resta incancellabile la memoria storica della produzione artistica dei secoli precedenti. L’attenzione al disegno, così come al colore e alla forma sono comunque le basi da cui parte tutta l’arte italiana di questi anni.