Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’Europa centrale, dopo la pace di Westfalia, è rappresentata da ciò che resta del Sacro Romano Impero. Comprende tutti gli Stati tedeschi e i domini asburgici. Ma qualcuno vi include anche i Paesi Baltici e la Polonia (Mitteleuropa), oltre agli Stati costituitisi dopo la dissoluzione dell’Impero asburgico. L’Europa orientale propriamente detta è costituita all’incirca da quello che era l’impero degli zar. Ma secondo un altro sentire ciò che sta oltre l’Oder Neisse e la catena dei Monti Carpazi può essere denominato Europa orientale, intendendo il territorio che sta tra l’Europa centrale e l’Europa orientale della pace di Westfalia. La ragione della scelta è che il XVIII secolo si presenta come il periodo di tempo in cui gli Stati limitrofi della confederazione, a occidente (Prussia) e a oriente (Russia), ma anche a settentrione (Svezia) e mezzogiorno (Austria), cercano di eliminare questo spazio di frizione cancellandolo dalla carta geografica, come di fatto avverrà alla fine del Settecento.
Il punto di partenza per entrare nella storia dello spazio centro-orientale dell’Europa è costituito dalle conseguenze della pace di Nimega (1678). La politica francese delle “riunioni” porta all’incorporamento della Franca Contea, dell’Alsazia e di diversi vescovadi renani, provocando una fibrillazione che diviene particolarmente acuta in Austria quando i Turchi, che contano su un’alleanza implicita con Luigi XIV e stanno riorganizzando tutta la loro iniziativa europea, portano il loro esercito alle porte di Vienna (1683). Lo schema di comunicazione politica adottato dalle potenze europee, che si definiscono come associate in una “lega santa” e rappresentano l’avanzata del gran visir come un attacco mortale all’Europa cristiana, ha successo. La battaglia campale dell’11-12 settembre viene combattuta da un esercito composto da truppe polacche, austriache e di vari Stati tedeschi, sotto il comando di Jan Sobieski, re della confederazione polacco-lituana. Se non fosse per la partecipazione di alcune truppe luterane (i sassoni di Giovanni Giorgio III), si potrebbe pensare a una sorta di grande alleanza cattolica dell’Europa centro-orientale, e come tale essa venne rappresentata. La battaglia di Vienna produce effetti moltiplicatori di potenza per gli Asburgo: incoronazione dell’imperatore a re ereditario d’Ungheria (1687) e conquista di Belgrado, insieme a vasti territori, dopo la battaglia di Zenta vinta da Eugenio di Savoia, a conclusione della guerra austro-ottomana iniziata nel 1683. La pace di Carlowitz del 1699 costituisce il sigillo della supremazia asburgica nei Balcani, avendo l’Impero ottomano prodotto nel documento finale la rinuncia a quella parte di Europa che, a partire dal Cinquecento, è stata oggetto di penetrazione e conquista. Ma la vittoria asburgica produce anche un’immagine dell’impero come difensore dell’ordine e della civiltà europea. Questi “ideali” sono incarnati dalla religione cattolica e resteranno come capisaldi dell’autorappresentazione di Leopoldo I.
Per quanto riguarda la confederazione polacco-lituana di Jan Sobieski (che resta sul trono dal 1674 al 1796), le conquiste territoriali sono soddisfacenti e i riconoscimenti morali esaltanti. Ma il processo di decadenza e indebolimento del regno non può essere arrestato dal successore, Federico Augusto, elettore di Sassonia, che prende il nome di Augusto II. La scelta del candidato tedesco contro quello proposto dalla dieta è in realtà un’imposizione derivante dall’accordo delle tre potenze. Augusto II, dopo appena tre anni dall’incoronazione, vienecoinvolto nella seconda guerra del nord in alleanza con la Russia di Pietro il Grande e la Prussia di Federico I Hohenzollern. La Polonia viene invasa dalle truppe di Carlo XII re di Svezia, il quale obbliga Augusto II ad abdicare (1706) in favore di Stanislao Leszczynski. L’iniziativa successiva di Pietro il Grande, che a Poltava sbaraglia il re svedese obbligandolo a chiedere asilo in Turchia, comporta di conseguenza il ritorno di Augusto sul trono polacco. Questa seconda fase è contrassegnata dalla volontà del sovrano di imporre alla Polonia una politica di stampo “assolutistico”, prendendo a modello quello che accadeva contemporaneamente in tutta Europa, e particolarmente in Russia e in Prussia. Il comportamento della grande nobiltà, stretta attorno ai due principali partiti legati alle famiglie dei Czartoryski e dei Potocki, rende impossibile ogni sforzo di Augusto II per introdurre delle riforme che rafforzino il potere dello Stato. L’elemento che si staglia con preoccupante prospettiva sulla repubblica nobiliare, ridotta perfino ad accettare una limitazione degli effettivi del suo esercito, è che il territorio è sempre più sotto tutela. Perfino le minoranze religiose ortodosse e riformate ottengono il patrocinio di Russia e Prussia. La sola convergenza tra i due partiti dominanti, convinti che inserire Luigi XV tra la Russia e la Prussia avrebbe riportato un po’ d’indipendenza, avviene nel campo della politica estera. Ciò significa, alla morte di Hohenzollern, riprendere in considerazione la possibilità di richiamare alla guida del Paese Stanislao Leszczynski. Ma, dopo appena tre anni, viene imposto il figlio Augusto III, che rimane sul trono dal 1736 al 1763 facendo governare Heinrich von Brühl. A questo nobile formatosi alla corte dell’elettore di Sassonia vengono affidati immediatamente diversi dicasteri, che lo portano a rivestire nel 1746 la carica di primo ministro. Sono anni in cui, dopo la morte di Pietro, i sovrani russi indeboliscono la loro politica estera, sicché non è difficile a Brühl imporre l’egemonia sassone. Questa si manifesta soprattutto nelle due guerre in cui egli coinvolge il suo Paese d’origine e che provocano la sua emarginazione fino all’arresto, dopo la conclusione della guerra dei Sette anni, con l’accusa di essersi appropriato di beni pubblici nel corso delle sue funzioni.
Se alla morte di Augusto II non si arriva alla scomparsa della Polonia, ormai quasi incapace di resistenza e con una dieta ridotta alla paralisi, è solo perché alla volontà di Caterina II, che vuole l’incorporamento del territorio nel suo impero, si oppone quella di Federico di Prussia, favorevole alla spartizione. L’accordo tra le due potenze rivali porta sul trono Stanislao Augusto Poniatowski. È questo il periodo più complesso della storia polacca del Settecento, quando può sembrare addirittura che si possa invertire il processo di dissoluzione dello Stato. Poniatowski, uomo di notevoli capacità politiche, è legato (anche per relazioni familiari) ai Czartoryski, che nell’interregno avevano fatto votare alla dieta delle misure anticrisi di una certa rilevanza e che operavano per conservare una qualche indipendenza. Ma egli si orienta verso la Russia, di cui è stato perfino ambasciatore in Sassonia. Poniatowski non riesce a dare continuità ai disegni “riformatori” dei Czartoryski, anche se mette ordine nell’amministrazione delle finanze e impianta una riforma dei quadri dell’esercito e anche se favorisce la pubblicazione di un giornale di simpatie illuministiche e s’interessa attivamente alla creazione di un apparato industriale e minerario. Cerca di limitare il ricorso al principio fondamentale dell’anarchia istituzionale polacca, il liberum veto, in nome del quale le possibili decisioni d’autorità del sovrano sono invalidate, restando in vigore il devastante principio “feudale” del rifiuto d’obbedienza alle leggi regie. L’ambasciatore russo riesce a coinvolgere l’opposizione nella confederazione di Radom (1767), e a impedire il cambiamento di quelle che sono chiamate “libertà costituzionali” e si rivelano invece essere strumenti che, nelle mani dei due sovrani contendenti, portano alla “servitù”. Si tratta di un intervento molto pesante nella cultura polacca, visto che il protettorato russo si richiama alla tradizione politica del Paese per impedire ogni cambiamento in senso funzionale. L’anno successivo, alla confederazione di Radom si contrappone la confederazione di Bar. Essa dà vita a una vera e propria insurrezione di nobili che coinvolge perfino i contadini e si attira simpatie da parte di diversi Stati (Francia, Turchia, Austria), i quali temono sempre di più il potere della Russia nella sua volontà espansiva verso occidente e dunque inviano aiuti militari. Non sembra che Poniatowski fosse lontano dal cercare un compromesso con i congiurati di Bar. Anzi. Alcune fonti sostengono che egli fosse pronto a sostenerne le rivendicazioni, del resto non molto chiare. Ma venne dichiarato decaduto facendo precipitare la situazione. Poniatowski si appella allora ai Russi che piegano la rivolta, espansasi in diversi territori, e ripagano la fedeltà di del sovrano imponendogli, in accordo con Federico II e l’imperatore asburgico, la prima spartizione del Paese. La Polonia perde territori per circa un terzo e subisce di conseguenza un notevole calo di popolazione.
Nella storia della storiografia polacca la questione dell’insurrezione di Bar è controversa e i giudizi sono contrapposti. Vanno dall’accusa ai congiurati di avere provocato la spartizione fino al riconoscimento che si tratta del gesto originario di una resistenza che sarebbe rimasta clandestina fino all’epoca risorgimentale. C’è però anche un’altra tendenza se si esamina più da vicino l’opposizione delle istituzioni rimaste a governare il Paese e se si mette in rilievo come le loro scelte vadano lette come parte integrante della cultura polacca: cercare nel “tesoro” del cattolicesimo le forze per il risanamento morale, modellato sempre di più dai Gesuiti, i quali s’insediano nel sistema scolastico essendo stata abolita la compagnia, ma non estinta la capacità di governo spirituale della nobiltà. La mutilazione del territorio e l’amputazione della popolazione aggregano così il Paese e si comincia a pensare che le condizioni in cui è caduta la Polonia dipendano dalle mancate “riforme”. Entra così in campo la parola d’ordine della cultura illuministica. L’inizio di una attività pubblicistica nelle mani di uomini che hanno una conoscenza non disprezzabile delle idee circolanti in Europa consente la diffusione di discorsi sulla condizione dei contadini privi di ogni libertà personale, sulla necessità di far entrare nella vita politica anche le borghesie abolendo il monopolio nobiliare di accesso al governo della cosa pubblica, sul bisogno di istituire delle rappresentanze parlamentari. Una parte delle resistenze della grande nobiltà ad accettare le riforme sono ridotte attraverso uno strumento imprevedibile: il consiglio permamente voluto dai Russi per affiancare il sovrano, ma che il sovrano trasforma in breve in un congegno di riforme (da quelle economiche a quelle militari).
La tutela russa si affievolisce improvvisamente a causa delle guerra che Caterina muove alla Turchia e questo consente alla dieta di ratificare la costituzione del 3 maggio del 1791. La Polonia adotta un testo che la pone nel quadro degli Stati moderni: abolizione del monopolio politico della nobiltà e accesso della borghesia delle città alla dieta con propri rappresentanti, mentre le istituzioni passano dalla monarchia elettiva a quella ereditaria; cancellazione dei resti medievali di governo dello Stato come il liberum veto e diritto dei magnati alla rivolta, quando ritengano che il sovrano leda i loro diritti; sistema di camere legislative con un esecutivo rafforzato. Per la Russia è un gesto intollerabile e Caterina, sollecitata da un insieme di magnati che non intende accettare la costituzione, mette insieme un esercito di enormi dimensioni che ha facilmente ragione dell’armata polacca. Il re, obbedendo a Caterina, si allea ai magnati ribelli. Ma la sua fedeltà ai Russi viene ripagata con la seconda spartizione (1793), che riduce la Polonia a un paese di 215 mila chilometri quadrati e poco più di quattro milioni di abitanti. Le insurrezioni che seguono, guidate da Tadeusz Kosciuszko, sono ben presto represse e, nel 1795, si giunge alla terza spartizione. La confederazione polacco-lituana, erede di uno degli Stati medievali più importanti e potenti dell’Europa orientale, viene così cancellata dalla geografia politica dell’Europa.