PENDERECKI, Krzysztof
Compositore polacco, nato a Dgbica il 23 novembre 1933. Iniziò lo studio della musica come violinista, quindi seguì i corsi di composizione alla Scuola superiore di Cracovia, dove si diplomò nel 1958, restandovi come insegnante per alcuni anni. Dal 1966 al 1968 fu professore alla Folkwang-Hochschule di Essen, e dal 1968 si è stabilito a Berlino, dopo aver vinto nel 1967 il premio Italia con la Passio et mors Domini nostri Jesu Christi secundum Lucam, per soli, recitante, cori e orchestra, e nel 1968 con il Dies Irae. Attualmente è una delle figure di maggior successo nelle avanguardie del dopoguerra, pur suscitando notevoli riserve fra i musicisti e i critici che si riallacciano alle esperienze del radicalismo di Darmstadt.
In realtà P., dopo aver aderito alla tecnica dodecafonica, ebbe contatti anche con la scuola di Darmstadt, della quale restano tracce nelle sue scelte linguistiche, le quali tuttavia rifuggono con lui da qualsiasi radicalismo strutturale e puntano agli effetti di un'immediata comunicazione espressiva. Attivo in ogni campo della composizione, i suoi lavori più significativi sono quelli in cui un'istintiva religiosità, di derivazione cattolica, imprime alle sue pagine un senso di coralità collettiva e drammatica.
Fra le sue opere principali sono da ricordare, oltre alla già citata Passio (nella quale è compreso lo Stabat Mater per tre cori a cappella del 1960), Threnos (per le vittime di Hiroshima), per 52 archi (1960); Polymorphia, per 48 archi (1961); il lavoro teatrale Die Teufel von Loudun (su proprio libretto da A. Huxley), Amburgo 1969; Utrenja, oratorio per 5 solisti, due cori e orchestra (1969); Kosmogonia, per soli, coro e orchestra (1970), Il risveglio di Giacobbe e un Magnificat, per soli, coro e orchestra (1974), e la recente opera teatrale Paradise lost, eseguita in prima mondiale a Chicago (29 nov. 1978) e in Europa alla Scala di Milano (21 genn. 1979), dal poema di Milton liberamente rielaborato da Christopher Frey, al fine di attualizzare drammaturgicamente e scenicamente, anche attraverso il balletto e una serie di simboli fonici, il problema della libertà di vita, nel bene e nel male, dell'uomo che sceglie il proprio destino; tuttavia i personaggi di P. trasmettono soltanto il desiderio di tensioni melodiche, mentre l'orchestra e il coro dicono tutto, con sicurezza ossessiva, quasi a ripetere che gl'individui sono ormai condannati alla nostalgia del passato.
Bibl.: T. A. Zielenski, Der einsame Weg des K. Penderecki, in Melos, 10, Magonza 1962; L. Pinzauti, A colloquio con K. Penderecki, in Nuova Rivista Musicale Italiana, n. 4, 1967; A. Gentilucci, Guida all'ascolto della musica contemporanea, sub v., Milano 1969; W. M. Stroh, Penderecki und das Hören erfolgreicher Musik, in Melos, 11, Magonza 1970; L. Pinzauti, in La Nazione, 5 dicembre 1978; R. Vlad, Paradise last di K. Penderecki, Milano 1979.