Metternich-Winneburg, Klemens Wenzel Lothar, conte, poi principe di
Politico austriaco (Coblenza 1773-Vienna 1859). Frequentò dal 1788 l’università di Strasburgo e, dal 1790 al 1792, quella di Magonza. Gli anni successivi li trascorse a Bruxelles; quindi, dopo un breve viaggio in Inghilterra, si stabilì a Vienna. Nel 1795 il matrimonio con la principessa Eleonora Kaunitz (m. 1825), nipote del cancelliere, lo introdusse negli ambienti dell’alta nobiltà e gli consentì di ottenere quegli importanti incarichi ai quali ambiva. Nel 1801 entrò in diplomazia accettando la sede di Dresda. Nel 1803 passò, come rappresentante dell’Austria, a Berlino: riuscì a convincere la Prussia a entrare, con il Trattato di Potsdam (nov. 1805), nell’alleanza austro-russa contro Napoleone, ma senza trarne alcun vantaggio, essendo intervenuta la sconfitta di Austerlitz. Nell’agosto 1806 divenne ambasciatore a Parigi. Le relazioni personali con Napoleone non furono prive di periodi di tensione, in corrispondenza dei momenti più critici intervenuti nei rapporti franco-austriaci; così nelle trattative diplomatiche che condussero al Trattato di Fontainebleau (ott. 1807) e poi nell’estate del 1808, allorquando l’Austria, sperando di trarre profitto dall’insurrezione antifrancese in Spagna, preparava la propria rivincita. Precipitata la situazione e rotti gli indugi da Napoleone con la sua campagna del 1809, M. si ritirò a Vienna, dopo la battaglia di Wagram, e, assunto l’interim del ministero degli Affari esteri, fu costretto ad apporre la sua firma all’oneroso Trattato di Schönbrunn (14 ott. 1809), da lui non negoziato. Ma già nell’aprile dell’anno successivo, mediante il matrimonio dell’arciduchessa Maria Luisa, figlia dell’imperatore Francesco I, con Napoleone, M. riusciva ad assicurare al suo Paese quella pausa di cui aveva urgente bisogno per rimarginare le molte e profonde ferite infertegli dalla guerra; nel frattempo, avocata a sé definitivamente la direzione del ministero degli Esteri, riusciva poco dopo ad alleviare, limitatamente al pagamento dell’indennità di guerra, le onerose condizioni del Trattato di Schönbrunn con la sua missione speciale a Parigi. La campagna di Russia, iniziata da Napoleone nel 1812, segnò l’inizio della riscossa austriaca. Dapprima M. acconsentì alla partecipazione di un esercito austriaco di trentamila uomini contro la Russia (che però non si impegnò mai in combattimento), assicurandosi in caso di vittoria francese la restituzione della Slesia; ma quando avvertì il fallimento del piano napoleonico offrì la mediazione austriaca ai belligeranti. Fallito il Congresso di Praga, svoltosi nel luglio 1813 con la partecipazione tanto degli alleati quanto di Napoleone, l’Austria aderì all’alleanza antinapoleonica. Preoccupato per le ambizioni russe e per il risveglio patriottico tedesco, M. cercò un accordo con l’imperatore francese promuovendo gli Accordi di Châtillon-sur-Seine (febbr.-marzo 1814); il rifiuto di Napoleone di tornare alle frontiere francesi del 1792 portò alla ripresa delle ostilità e alla sua sconfitta. Nel Congresso di Vienna M. si sforzò di modellare, dopo le tempeste dell’età rivoluzionaria e napoleonica, la carta politica dell’Europa secondo il suo ideale di equilibrio delle potenze, assicurando nello stesso tempo la tranquillità continentale e il predominio austriaco in Germania e in Italia. Garanti della quiete europea, nel quadro di un retrivo conservatorismo politico e sociale, dovevano essere le quattro potenze che erano state le artefici della disfatta di Napoleone: Austria, Inghilterra, Prussia e Russia (ma per volere di R.S. Castlereagh, ad Aquisgrana, nel 1817, aderì alla Quadruplice alleanza anche la Francia). Approfittando dell’agitazione liberale universitaria e dell’assassinio di A.F. Kotzebue, M. riusciva ad affermare l’egemonia austriaca in seno alla Confederazione germanica, abilmente guadagnando la Prussia e gli altri Stati tedeschi a una politica di repressione poliziesca nelle conferenze di Karlsbad e di Vienna (1819). Così la Rivoluzione napoletana del 1820 offriva al cancelliere austriaco l’occasione per ottenere lo stesso risultato in Italia, riuscendo egli nei congressi di Troppau (1820) e Lubiana (1821) ad affermare anche in quel Paese, a garanzia di eventuali tentativi di sovvertimento politico, il principio dell’intervento. Ma dal Congresso di Verona (1822) in poi le divergenze fra le cinque maggiori potenze tolsero progressivamente efficacia alla sua azione diplomatica. In Francia (1830) e poi in Belgio la politica improntata al rispetto del principio di legittimità subì un grave scacco: M. dovette riconoscere Luigi Filippo re dei francesi e Leopoldo re dei belgi. Solo la Russia ritrovò la strada dell’alleanza austriaca, ammaestrata allora dalla lezione offerta dalla rivoluzione polacca, e a M. riuscì anche di controllare la situazione tedesca e italiana, ma la frattura della pentarchia europea era un fatto compiuto: alle tre corti del Nord (Austria, Prussia, Russia) si opposero ben presto nettamente, unite nella Quadruplice alleanza del 1834, Francia e Inghilterra con Spagna e Portogallo. Dopo la morte dell’imperatore Francesco (1835), inoltre, al progressivo tramonto dell’influenza di M. in politica estera corrispose anche una diminuzione dei suoi effettivi poteri negli affari interni dell’Austria, soprattutto per il credito accordato dal nuovo imperatore al suo rivale, il ministro di Stato Franz Anton Graf von Kolowrat. Gli ultimi tredici anni del suo cancellierato (il titolo di cancelliere gli era stato conferito nel 1821) palesarono sempre più questa situazione; infine la Rivoluzione del 1848 lo costrinse alle dimissioni e al temporaneo esilio. Ritornato a Vienna nel 1851, fu prodigo di consigli al giovane imperatore Francesco Giuseppe, ma essi, sia che vertessero sull’inopportunità della politica austriaca nella questione di Crimea sia che dissuadessero dall’ultimatum del 1859 al Piemonte, non trovarono ascolto. Morì a Vienna l’11 giugno 1859. Il «sistema» di M. fu eminentemente difensivo. Convinto, dopo l’esperienza napoleonica, delle minacce derivanti all’ordine politico e sociale dall’ideologia rivoluzionaria in politica interna ed estera, ai moderni principi eversori del corpo politico e sociale esistente M. contrappose la concezione di un equilibrio politico organico, fondato sulla interdipendenza degli interessi degli Stati commisurati al principio della conservazione politica e sociale: il principio dell’intervento era la logica conseguenza di tali premesse. Nel «sistema» metternichiano l’interesse generale europeo coincideva con quello particolare austriaco: l’Austria aveva il compito di svolgere un’accorta funzione equilibratrice di fronte alle tendenze centripete della Francia e della Russia. Essa era facilitata dall’esistenza della Confederazione germanica, dalla Svizzera e dall’Italia, che fungevano da barriera a una riscossa rivoluzionaria francese. In Germania, l’Austria controllava la situazione; nella Svizzera, la neutralità sembrava costituire una sufficiente garanzia; quanto in particolare all’Italia, M. avrebbe voluto giungere alla formazione di una lega italica, nell’intento di costituirvi una specie di polizia centrale. Il disegno fallì all’indomani dei moti del 1820-21, di fronte all’opposizione di più di uno Stato della penisola. L’efficacia del «sistema» metternichiano era legata all’armonia delle potenze europee: disintegrata la pentarchia, anch’esso si sfasciò. La figura di M., nella pubblicistica europea del sec. 19°, animata da ideali nazionali e liberali, fu costantemente oggetto di esecrazione e degradata a espressione di uno spirito fanaticamente reazionario. In seguito essa è stata per certi aspetti riabilitata e la critica storica ha definitivamente riconosciuto le eccezionali doti politico-diplomatiche del cancelliere austriaco.