FRAGONARD, Jean-Honoré
Pittore, nato a Grasse (Alpi Marittime) il 5 aprile 1732, morto a Parigi il 22 ottobre 1806. A Parigi (1746) fu dal 1746 allievo di F. Boucher, poi dell'Accademia degli Élèves protégés, diretta da C. van Loo (1753-56). L'anno dopo, pensionato dall'Accademia di Francia, si recò a Roma, dove rimase sette anni (1756-63). A Roma si appassionò deì mirabili decoratori del sec. XVII, specie di Pietro da Cortona. Strinse amicizia con H. Robert: è diffiìcile dire quale dei due influisse sull'altro. Nel 1760 i due passarono l'estate a Villa d'Este in Tivoli e da quel soggiorno vennero i celebri disegni (serie delle collezioni Groult e David-Weill e le sanguigne di Besançon) che fanno epoca nella storia del paesaggio, e fra l'Italia del Poussin e quella del Corot, presentano un'Italia tutta particolare, da scenario e da romanzo, con i suoi terrazzi, le sue ville, le sue fontane, i suoi cipressi: l'Italia del F. Nel 1761 i due giovani furono a Napoli; poi si spinsero fino a Parma e a Venezia. Frutto di questi viaggi furono due raccolte di studî, schizzi, impressioni, singolarissimo documento della formazione e del gusto dei due artisti.
Ritornato a Parigi (1764) il F. intraprese il grande quadro che stabilì la sua fama - esposto nel Salon del 1765, Coressus e Callirrhoe (Louvre) - e il cui pregio consiste nel sentimento che l'anima. Amante più della propria indipendenza che degli onori, il F. preferiva dipingere per un pubblico di amatori e di gaudenti, a cui adattava i suoi quadretti, sempre animati da un brio travolgente e ai quali amava lasciare il fascino dell'improvvisazione. Riuscì uno dei pittori più varî del sec. XVIII: la favola e la realtà più umile, la galanteria più arrischiata e l'intimità più borghese, Chardin e Tiepolo, Rembrandt e Greuze, la Grecia e l'Olanda, tutto si fonde nella sua arte leggiadra e incantevole. Dipinse i soggetti più equivoci e più licenziosi e quasi contemporaneamente Sacre Famiglie, scene domestiche o composizioni religiose. Ripreso dal bisogno di vita errabonda, nonostante avesse preso moglie, fu di nuovo in Italia (1773) e in molti altri paesi d'Europa.
Non è possibile enumerare le sue opere disperse nelle maggiori collezioni d'Europa e di America. Raramente il F. sembra essersi posto a un lavoro continuo: unica eccezione, dopo il Coressus, sembra fosse la decorazione assunta nel 1770-72 del Padiglione di M. me du Barry a Louveciennes, presso Versailles (ora nella collezione Frick di New York, Metropolitan) una specie di poema che riassume in cinque quadri tutti i temi di una storia d'amore. Degli altri suoi lavori decorativi è rimasto a posto solo il magnifico quadro, La fête de Saint-Cloud, appartenente alla Banca di Francia. La poesia del F. sta nella sua rapidità, nella vivacità del tocco, che gli consente di dir tutto subito, senza insistere, così come egli lo sente. Il suo pennello disegna, costruisce e colorisce a un tempo. Il F. divenne così il maggior poeta del secolo, con il Watteau, il solo che sapesse trasformare il sensualismo un po' limitato e l'amore del piacere dominante al suo tempo in motivi di emozione durevole. Lasciò perciò grandissimo segno del suo genio nei suoi disegni (raccolta del Louvre, dell'Albertina ecc.). E coi disegni fu un illustratore incomparabile (le Favole di La Fontaine, Orlando Furioso, Don Chisciotte e altri).
Nel 1790 l'artista si ritirò a Grasse per sfuggire alla Rivoluzione. Ritornato a Parigi, fu nominato conservatore del Museo del Louvre, e membro del giurì delle arti. Ma egli era ormai passato di moda. Solo da quarant'anni si è riconosciuto in lui uno dei più grandi maestri francesi e uno dei precursori dell'impressionismo.
Suo figlio Alexandre-Évariste (nato a Grasse nel 1780, morto a Parigi nel 1850), fu allievo del David.
Bibl.: A. Hallays, En Provence, Parigi 1912; R. Graul, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XII, Lipsia 1916 (con ampia bibl.); T. Borenius, The F. Exhibition in Paris, in The Burl. Mag., XXXIX (1921), pp. 94-99; P. Dorbec, L'exposition F. au Pavillon de Marsan, in Gaz. des beaux-arts, 1921, II, pp. 23-32; E. Hempel, F. au H. Robert in ihrer röm. Studienzeit, Vienna 1924 (estratto di Die graphischen Künste, XLVII, pp. 9-24); R. Mauray, À propos des scènes familiales de F., in Revue de l'art anc. et mod., XLVII (1925), pp. 154-66; L. Réau, Les Colin-Maillard de F., in Gaz. des beaux-arts, 1927, I, pp. 148-52; id., La peinture française au XVIIIe siècle, II, Parigi 1927; G. Grappe, La vie de J.-H. F., Parigi [1929]; A. Pigler, F. et l'art napolitain, in Gaz. des beaux-arts, 1931, I, pp. 192-97.