PISTOIA, Jacopo
PISTOIA (Pisbolica, Pistogia), Jacopo. – Non si conoscono luogo e data di nascita di questo pittore, figlio di un certo Francesco (Ludwig, 1903, p. 86), attivo a Venezia attorno alla metà del XVI secolo.
Secondo Gustav Ludwig, che per primo ha raccolto e ordinato le numerose attestazioni documentarie che riguardano l’artista (1901; 1903; 1905), Jacopo Pistoia doveva appartenere a una famiglia di estrazione bergamasca, forse imparentata con un certo «Antonio Zappello, detto Pistoia» iscritto all’Arte dei pittori tra il 1584 e il 1591 (Favaro, 1975) e originario della località di Zappello, nelle Prealpi orobiche. Nonostante la parentela tra i due risulti tutt’altro che provata (Pistoi, 1976, p. 87), la sua documentata frequentazione con alcuni artefici di provenienza bergamasca, tra cui Arrigo Licinio o Giovanni Busi detto Cariani, sembrerebbe avvalorare in maniera indiretta l’ipotesi di un’origine lombarda. In quest’ottica, il cognome Pistoia si spiegherebbe piuttosto come una sorta di appellativo professionale, forse allusivo a qualche attività artigianale svolta da un familiare (vedi G. Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia 1856, s.v. Pistogio).
Nulla è noto della sua formazione artistica, attendibilmente svoltasi a Venezia tra terzo e quarto decennio del Cinquecento. Secondo Ludwig è possibile che egli abbia svolto il suo apprendistato inizialmente presso la bottega di Jacopo Palma il Vecchio, per poi passare, alla morte di questi nel 1528, nello studio del suo erede e seguace Bonifacio de’ Pitati (1901, pp. 199 s.). Il fatto che Giorgio Vasari lo ricordi in coda alla breve biografia di Bonifacio nell’edizione del 1568 delle sue Vite («un altro Iacopo, detto Pisbolica», 1568, VI, 1987, p. 168) sembrerebbe avvalorare questa ipotesi, confermando la percezione di una prossimità artistica e professionale tra i due pittori. Pur nei limiti di una produzione pittorica modesta e ancora in parte da ricostruire, il dato stilistico tende a confermare questa lettura, evidenziando la stretta adesione formale al canone bonifacesco, talora arricchito da riferimenti a modelli compositivi e grafici di derivazione tizianesca.
La prima notizia che riguarda Jacopo Pistoia risale al giugno 1540, quando il suo nome compare insieme a quello di Arrigo Licinio in un atto di procura a nome di Giovanni Busi detto Cariani (Ludwig, 1903, p. 84). Una seconda menzione in qualità di procuratore ricorre anche nel marzo 1548, in occasione di un atto stipulato dal collega pittore Giovanni Maria della Giudecca (ibid., p. 39); i rapporti con quest’ultimo dovettero peraltro essere molto stretti, come conferma anche la sua nomina, nel settembre 1562, quale erede di parte del suo lascito testamentario (ibid., p. 86).
Ai primi anni Cinquanta, in concomitanza forse non casuale con la morte di Bonifacio avvenuta nel 1553, dovrebbe risalire anche il suo esordio pubblico come pittore. Non datata, ma plausibilmente completata verso il 1555, come riferito nelle fonti a stampa (Sansovino-Stringa, 1604, c. 189v), è la pala con l’Ascensione di Cristo (Venezia, Gallerie dell’Accademia), ricordata anche da Vasari («Cristo in aria con molti angeli, e a basso la Nostra Donna con gl’Apostoli»; Le Vite, 1568, VI, 1987, p. 168) ed eseguita per un altare laterale della chiesa di S. Maria Maggiore a Venezia (Walberg, 2004, pp. 281 s.).
A quegli stessi anni viene inoltre fatta risalire anche la pala ispirata a modelli tizianeschi con la Discesa dello Spirito Santo realizzata per la chiesa di S. Spirito di Casnigo, nel Bergamasco (ora in deposito nella locale chiesa parrocchiale), di recente assegnata a Jacopo Pistoia e datata verso la metà degli anni Quaranta (Ravelli, 2001). Più problematica risulta invece l’attribuzione avanzata da Ludwig (1901, pp. 199 s.) di altre due pale d’altare di ambito bonifacesco, raffiguranti la Madonna in gloria e cinque santi (già Venezia, S. Maria Maggiore; in deposito a S. Giobbe) e la Madonna del Carmelo con tre santi (già Venezia, S. Antonio di Castello; ora alle Gallerie dell’Accademia), per le quali il riferimento a Jacopo Pistoia è stato giustamente ridimensionato nella letteratura più recente (Pistoi, 1976, pp. 92 s.).
Tra quinto e sesto decennio dovrebbero potersi scalare ulteriori dipinti a carattere devozionale, assegnati a Pistoia sulla base di confronti stilistici non sempre però del tutto persuasivi (una rassegna critica in Pistoi, 1976, pp. 90-93). Tra le opere più interessanti si segnalano in particolare una Madonna col Bambino, s. Giovannino e monaco donatore (Budapest, Szépművészeti Múzeum), opera di sapore bergamasco già attribuita in precedenza a diversi epigoni di scuola palmesca, e una notevole e controversa Cena in Emmaus (Firenze, Galleria Palatina), dove già in passato era stata individuata un’iscrizione parzialmente leggibile con le lettere «I. P. A.» ritenuta un possibile monogramma dell’artista (Pistoi, 1976, p. 92), e per la quale oggi sembra preferibile il riferimento a Polidoro da Lanciano (Tiziano nelle gallerie fiorentine, 1978). Tra le opere provvisoriamente ricondotte al periodo giovanile si segnalano anche due dipinti raffiguranti la Madonna con Bambino e santi del Museo civico di Padova, una delle quali derivata da un noto prototipo di Jacopo Palma il Vecchio conservato a Oxford (Rylands, 1992, pp. 290 s.).
Nel maggio 1563 venne interpellato come specialista dai procuratori di S. Marco insieme ad altri noti maestri veneziani (tra cui Tiziano Vecellio, Andrea Schiavone e Jacopo Tintoretto) nel processo contro i mosaicisti Francesco e Valerio Zuccato, accusati di contraffazione e imperizia per alcuni lavori eseguiti nella basilica di S. Marco. La deposizione, particolarmente articolata, affrontò con precisione e competenza diversi aspetti di tecnica e composizione musiva, concludendosi con un giudizio complessivamente favorevole sull’operato dei due imputati (Pistoi, 1976, p. 88).
Alla convocazione al processo Zuccato, e alla contestuale presenza nei circuiti marciani, è connessa probabilmente anche la successiva apparizione del suo nome («maistro Giacomo Pistogia depentor») nel libro dei conti di Marchiò Michiel, eletto procuratore di S. Marco ‘de supra’ nel 1558, dal quale Jacopo Pistoia ricevette diversi pagamenti scalati tra il settembre 1566 e il maggio 1567 per alcuni lavori pittorici non meglio precisati (Ludwig, 1905, p. 155). Sulla base di questa testimonianza è stato proposto di attribuirgli il Ritratto di Marchiò Michiel in veste di capitano generale da mar, datato 1568 (Venezia, Gallerie dell’Accademia; in deposito presso la Fondazione Giorgio Cini), il quale tuttavia presenta caratteri stilistici più prossimi alla cerchia di Jacopo Tintoretto (Moschini Marconi, 1962, pp. 204 s.).
L’ultima testimonianza che lo riguarda risale al marzo 1572, quando viene citato tra i beneficiari dei beni del pittore muranese Lorenzo Stampa (Ludwig, 1905, p. 155). Il documento consente tra l’altro di precisare la residenza, localizzata «a San Salvador, drio dill ponte, in chale di Sant’Antonio», in un’area nei pressi di Rialto storicamente caratterizzata dalla presenza di numerose botteghe artigiane, soprattutto di speziali e vendecolori (si veda L.C. Matthew, ‘Vendecolori a Venezia’. The reconstruction of a profession, in The Burlington Magazine, CXLIV (2002), pp. 680-686, in particolare p. 685).
Non è nota con precisione la data di morte, avvenuta probabilmente a Venezia.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le Vite (1550 e 1568), a cura di R. Bettarini - P. Barocchi, VI, Firenze 1987, p. 168; F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare… corretta, emendata, e più d’un terzo di cose nuove ampliata dal M.R.D. Giovanni Stringa, Venetia 1604, c. 189v; G. Ludwig, Bonifazio di Pitati da Verona, eine archivalische Untersuchung, in Jahrbuch der Königlich Preußischen Kunstsammlungen, XXII (1901), pp. 198-200; Id., Archivalische Beiträge zur Geschichte der Venezianischen Malerei, ibid., Supplemento, XXIV (1903), pp. 1-109 (in particolare pp. 82-88); P. Molmenti, I pittori bergamaschi a Venezia, in Emporium, XVII (1903), pp. 436 s.; G. Ludwig, Archivalische Beiträge zur Geschichte der Venezianischen Malerei, in Jahrbuch der Königlich Preußischen Kunstsammlungen, Supplemento, XXVI (1905), pp. 153-155; R. Pallucchini, P., J., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVII, Leipzig 1933, p. 106; S. Moschini Marconi, Gallerie dell’Accademia di Venezia, II, Opere d’arte del secolo XVI, Roma 1962, pp. 68-70, 160 s., 170 s., 204 s.; E. Favaro, L’arte dei pittori in Venezia e i suoi statuti, Firenze 1975, pp. 137, 144; M. Pistoi, J. P., in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo, III, 2, Il Cinquecento, Bergamo 1976, pp. 87-97 (con bibl. precedente); Tiziano nelle gallerie fiorentine. Mostra documentaria e di restauro (catal.), a cura di G. Agostini - E. Allegri - M. Gregori, Firenze 1978, pp. 86-88; P. Rylands, Palma Vecchio, Cambridge 1992, pp. 111, 141 (nota 4), 290 s.; V. Mancini, Polidoro da Lanciano, Lanciano 2001, p. 151; L. Ravelli, Risarcimento per J. P., in La rivista di Bergamo, n.s., XXVIII (2001), pp. 56-58; H.D. Walberg, ‘Una compiuta galleria di pitture veneziane’: the church of S. Maria Maggiore in Venice, in Studi veneziani, n.s., XLVIII (2004), pp. 259-303.