Ius variandi e risoluzione del contratto
Le Sezioni Unite della Suprema Corte, nell’affermare che, dopo la richiesta d’adempimento del contratto, si può richiedere, con la risoluzione, il risarcimento dei danni consequenziali, approfondiscono una tematica, che la dottrina e la giurisprudenza avevano affrontato di rado e con esiti contrastanti: Cass., S.U., 11.4.2014, n. 8510 offre una lettura sistematica della risoluzione per inadempimento e dello ius variandi e scandaglia i riflessi sostanziali e processuali d’una scelta ermeneutica, che ha precedenti autorevoli e solide ragioni letterali e teleologiche.
Innovando rispetto all’art.1165 c.c. previgente1, l’art.1453 c.c. delinea una disciplina compiuta di quello ius variandi che la dottrina, nel silenzio del vecchio codice, ammetteva senza distinzioni2: se la transizione dalla domanda di risoluzione alla domanda d’adempimento oggi è preclusa, è ammessa senza limiti, per contro, la transizione dalla domanda d’adempimento alla domanda di risoluzione.
La norma, nel vietare il passaggio dalla domanda di risoluzione alla domanda d’adempimento, tutela l’affidamento del debitore, che può disporre dell’oggetto della prestazione, confidando ragionevolmente nello scioglimento del vincolo negoziale: non si può pretendere dal debitore che si tenga pronto ad eseguire la prestazione dovuta e contemporaneamente si prepari alla restituzione della prestazione ricevuta, per l’ipotesi in cui il creditore muti avviso e, dopo aver chiesto la risoluzione, imbocchi la strada dell’adempimento3.
Se il divieto di mutare la domanda di risoluzione in domanda d’adempimento mira a non aggravare la posizione del debitore inadempiente, la facoltà di mutare la domanda d’adempimento in domanda di risoluzione è presidio per il contraente fedele, dinanzi ad un inadempimento che s’aggrava di giorno in giorno e frustra l’interesse alla manutenzione del contratto.
Non v’è alcuna ragione cogente, che imponga di vincolare la parte adempiente alla scelta originaria dell’esecuzione del contratto, non vi sono affidamenti meritevoli di tutela che la parte inadempiente, persistendo nell’inadempimento, possa rivendicare4. Se, sul mutamento della domanda d’adempimento in domanda di risoluzione e sul mutamento inverso, pacificamente precluso, l’elaborazione della dottrina e della giurisprudenza è copiosa, più sparuti sono i cenni che la dottrina e la giurisprudenza hanno dedicato alla questione della proponibilità della domanda risarcitoria, unitamente alla domanda di risoluzione del contratto, allorché il contraente fedele abbandoni la domanda d’adempimento originariamente proposta.
Alla vexata quaestio il dettato normativo non offre una risposta scevra da incertezze: l’art.1453 c.c. non si premura di stabilire a chiare lettere se, alla domanda di risoluzione, proposta dopo l’iniziale richiesta d’esecuzione del contratto, sia possibile affiancare la domanda di risarcimento dei danni consequenziali.
Il silenzio della legge spiega il dissidio che attraversava la giurisprudenza di legittimità: Cass., 31.10.2008, n. 26325 afferma che la facoltà di mutare la domanda d’adempimento in quella di risoluzione, consentita dall’art.1453 c.c. in deroga al divieto della mutatio libelli, si estende anche alla conseguente domanda di risarcimento del danno, nonché a quella di restituzione del prezzo, domande accessorie rispetto alla domanda sia di risoluzione che d’adempimento.
La Suprema Corte disattende le censure del ricorrente, che eccepiva l’inammissibilità della mutatio libelli sulla scorta del rilievo che la domanda risarcitoria introducesse un nuovo tema d’indagine ed implicasse l’esigenza d’ulteriore attività istruttoria.
A tale apertura fa riscontro l’orientamento restrittivo, propugnato da Cass., 23.1.2012, n. 870: la deroga alle norme processuali che vietano la mutatio libelli non riguarda la domanda ulteriore di risarcimento del danno, consequenziale a quelle di adempimento e di risoluzione, trattandosi di domande diverse per petitum e causa petendi rispetto a quella originaria.
Il contrasto tra tali orientamenti, segnalato nell’ordinanza di rimessione al Primo Presidente del 9 agosto 2013, n. 19148, ha reso ineludibile l’intervento delle Sezioni Unite.
2.1 La soluzione del contrasto
Cass., S.U., 11.4.2014, n. 8510, dopo un’ampia ricognizione degl’indirizzi che si sono avvicendati, privilegia l’orientamento estensivo ed accorda al contraente fedele la facoltà d’introdurre la domanda di risarcimento del danno, contestualmente al mutamento della domanda d’adempimento in domanda di risoluzione.
2.2 L’argomento letterale e l’argomento sistematico
La sentenza delle Sezioni Unite non ravvisa argomenti letterali di segno antitetico rispetto alla soluzione prescelta: la norma non esclude che, con la domanda di risoluzione, si possa cumulare la domanda di risarcimento del danno e configura tale esito come possibile, nel far salvo in ogni caso il risarcimento del danno.
L’argomento letterale è corroborato dall’argomento sistematico: la facoltà di mutare la domanda d’adempimento in domanda di risoluzione non tutelerebbe efficacemente le ragioni del contraente fedele, se questi non potesse proporre congiuntamente anche la domanda di risarcimento del danno. La Suprema Corte coglie le ragioni, che sottendono l’iniziativa di richiedere la risoluzione del contratto: tali ragioni non s’identificano nell’interesse alla mera caducazione del vincolo negoziale, poiché s’accompagnano all’interesse a conseguire la restituzione della prestazione e la riparazione del pregiudizio patito.
La soluzione restrittiva, in contrasto col canone di concentrazione e di speditezza dei giudizi, condurrebbe, inoltre, al proliferare di controversie praeter necessitatem, con il rischio della «frammentazione delle istanze giurisdizionali».
Contro tale enunciazione di principio, non militano neppure ragioni d’indole processuale, che la Corte nomofilattica s’incarica di scrutinare, precorrendo ogni possibile critica: la stessa transizione dalla domanda d’adempimento alla domanda di risoluzione reca con sé l’ampliamento del tema d’indagine, che non investe più un inadempimento qualsivoglia, ma un inadempimento grave; la tutela risarcitoria coopera a «integrare e completare le difese del contraente in regola, costituendo un coelemento, un tassello di un sistema complessivo di tutela» e sarebbe contraddittorio ammettere la tutela restitutoria, come complemento della domanda di risoluzione, inibendo ogni spazio applicativo alla tutela risarcitoria.
2.3 Lo ius variandi nella dinamica processuale
Le Sezioni Unite,memori delle implicazioni processuali di tale principio, non trascurano d’offrire indicazioni operative sul concreto dipanarsi del processo e chiariscono che il giudice dovrà consentire il pieno dispiegarsi del contraddittorio processuale sul nuovo tema d’indagine: «è la domanda nuova che pone l’esigenza di allegazioni, controallegazioni, eccezioni, deduzioni e controdeduzioni istruttorie… queste attività processuali devono essere consentite, non già per provvedimento discrezionale del giudice, ma per garanzia del diritto di azione e di difesa e del giusto processo».
La soluzione, prospettata dalle Sezioni Unite, non nasce ex abrupto: affonda le radici in precedenti remoti e in opinioni autorevoli della dottrina, che la sentenza raccoglie in unità sistematica, con un’argomentazione serrata, che si fa carico d’ogni prevedibile obiezione.
3.1 I precedenti dell’orientamento delle Sezioni Unite
Il principio di diritto, già enunciato da Cass., 19.11.1963, n. 2995, affiora anche in un obiter dictum di Cass., S.U., 18.2.1989, n. 962: nel ribadire che il mutamento della domanda d’esecuzione del contratto in domanda di risoluzione presuppone che non mutino i fatti posti a fondamento della domanda, la Corte disattende un argomento del ricorso e reputa poco pertinente «il richiamo al consolidato principio secondo cui, quando la legge ammette, in deroga alle norme generali, la sostituzione della domanda di risoluzione contrattuale a quella di adempimento non può, correlativamente, non ammettere l’introduzione della domanda di risarcimento dei danni consequenziali, anche se effettivamente diversi per essenza e quantità da quelli che siano stati richiesti con l’originaria domanda di adempimento».
Pur senza diffondersi su tale principio e sulle ragioni giuridiche che lo sorreggono, la Corte di legittimità discorre d’un principio consolidato, che non intende, dunque, revocare in dubbio.
Tale principio di diritto già incontrava il favore della dottrina: «l’ammissione, da parte della legge, in deroga alle generali norme processuali della mutatio libelli con riguardo all’azione di adempimento e a quella di risoluzione, non può non comportare anche l’ammissione della introduzione della richiesta dei danni da risoluzione in luogo di quella originaria, stante la funzione complementare che la pretesa risarcitoria svolge»5.
Dagli spunti, offerti dai precedenti giurisprudenziali e dall’apporto ricostruttivo della dottrina, prende le mosse l’articolato percorso sistematico delle Sezioni Unite.
3.2 L’orientamento restrittivo: ragioni e limiti
La soluzione contraria, sostenuta da Cass. n. 870/2012, presta il fianco alle critiche: la pronuncia si pone in contrasto con Cass. n. 26325/2008, contrasto inconsapevole, visto che la sentenza non si sofferma a confutare la ratio decidendi del precedente difforme.
Non si svolgono argomenti critici decisivi, che travalichino il richiamo di maniera all’eccezionalità del divieto di mutatio libelli.
Tale sentenza, in realtà, appare condizionata dall’orientamento, che pone in risalto la novità della domanda di risarcimento rispetto alla domanda d’adempimento e di risoluzione e fissa limiti rigorosi, in particolare, allo ius variandi dalla domanda risarcitoria alla domanda di risoluzione6.
Tali principi, che le Sezioni Unite non ridiscutono, non s’attagliano alla fattispecie sottoposta al vaglio della Corte e forniscono un supporto malsicuro all’indirizzo restrittivo: qui non si tratta, sic et simpliciter, d’una domanda di risarcimento dei danni derivanti dall’inadempimento, ma d’una domanda di risarcimento dei danni consequenziali alla risoluzione, d’una domanda di risarcimento che, rispetto alla domanda di risoluzione, s’atteggia come complementare.
Poco giova, pertanto, richiamare l’inammissibilità del mutamento della domanda risarcitoria in domanda di risoluzione, o il principio dell’inammissibilità della nuova domanda risarcitoria, dopo l’originaria richiesta d’adempimento7: qui la domanda di risoluzione è proposta ritualmente, dopo una richiesta orientata in prima battuta alla manutenzione del contratto, e, a tale domanda di risoluzione, s’accompagna la domanda di risarcimento dei danni strettamente consequenziali.
È la considerazione di questa peculiarità, d’una domanda di risarcimento non d’un danno purchessia, ma dei danni strettamente correlati alla risoluzione del contratto, che instrada alla soluzione più ampia, perorata dalla Suprema Corte nella composizione del contrasto: peculiarità che l’orientamento restrittivo misconosce o svaluta.
3.3 Il superamento dell’indirizzo restrittivo
I tempi erano maturi per la revisione dell’orientamento restrittivo: di tale revisione, s’avvertivano le avvisaglie già nell’ordinanza di rimessione.
L’ordinanza critica vivacemente l’indirizzo ostile alla mutatio libelli, stigmatizzando l’irragionevolezza di tale opzione ermeneutica, che avrebbe condotto a moltiplicare i giudizi, a vanificare la tutela del contraente fedele e a svuotare di contenuto precettivo la stessa disposizione dell’art.1453, co. 1, c.c., che consente di chiedere in ogni caso il risarcimento del danno.
A favore del superamento dell’indirizzo restrittivo si pronuncia anche la dottrina, che di recente ha rimeditato funditus la tematica8, svelando le contraddizioni insite nell’orientamento restrittivo: lo ius variandi sarebbe indebitamente sacrificato se non fosse consentito d’affiancare alla domanda di risoluzione proposta in corso di giudizio la domanda di risarcimento del danno, che ha titolo e ragione giustificatrice nel diritto fatto valere con l’azione di risoluzione.
L’intervento nomofilattico recepisce ed elabora criticamente le suggestioni della dottrina e, nell’opera di ricostruzione sistematica che prelude alla composizione del contrasto, muove dal riconoscimento della natura squisitamente sostanziale dell’art. 1453 c.c. e delle norme sullo ius variandi.
Tali norme sono destinate a disciplinare le proiezioni processuali d’un diritto che va colto ed inquadrato, in via prioritaria, nella sua valenza sostanziale, in tutti i suoi corollari, non ultimo quello risarcitorio.
Ogni diversa lettura, incentrata sul dato processuale ed immemore della natura sostanziale della norma, rischia di svilire lo ius variandi e di costringere entro il letto di Procuste del processo, e d’un sistema malinteso di preclusioni, un diritto che pure si riconosce nella sua pienezza.
La possibilità di proporre la domanda di risoluzione, dopo avere chiesto l’adempimento, lungi dal porsi soltanto come deroga stridente rispetto al sistema delle preclusioni, è piuttosto l’estrinsecazione d’un principio di portata generale, di tutela contro l’inadempimento, e d’un diritto del contraente fedele d’optare per il rimedio più acconcio: la preclusione della domanda di risarcimento dei danni consequenziali alla risoluzione violerebbe tale principio, immiserendolo ad un’accezione arbitrariamente riduttiva, e sguarnirebbe di tutele la posizione del creditore.
La Corte ha tratto, da tali premesse, le conseguenze necessarie,mettendo a nudo le aporie e le incongruenze in cui si dibatte la tesi contrapposta.
Non sarebbe ragionevole un sistema che, ampliando il tema controverso, consentisse di mutare la domanda d’adempimento in domanda di risoluzione anche all’udienza di precisazione delle conclusioni9, anche in appello10, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna all’adempimento11, e poi sbarrasse il passo alla domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla risoluzione, che rappresenta il caposaldo della tutela richiesta e la ragione autentica del mutamento della domanda d’adempimento in domanda di risoluzione.
Non sarebbe coerente un sistema che, allargando il tema d’indagine, consentisse di proporre, con il mutamento della domanda d’adempimento in domanda di risoluzione, la domanda di restituzione12 e negasse ogni diritto di cittadinanza a quella domanda di risarcimento, che, al pari della domanda di restituzione, completa ed integra la tutela offerta al contraente fedele.
Non appare armonico un sistema che, in tali ipotesi, ammette l’estensione del tema d’indagine, che invece s’intende preservare inalterabile soltanto per la domanda risarcitoria.
La Corte nomofilattica, come in altri precedenti, puntella tali considerazioni con l’argomento di chiusura del canone della ragionevole durata del processo, che orienta l’interprete e coopera anche a delimitare i confini delle norme di diritto sostanziale.
Tale canone, posto sotto l’egida della Costituzione (art.111 Cost.), appare richiamato in maniera pertinente, in un sistema, quale è quello dello ius variandi collegato all’inadempimento, in cui i profili sostanziali e processuali sono inestricabilmente connessi e lo stesso legislatore disciplina gli istituti di diritto sostanziale dall’angolo visuale del processo.
Tali ragioni sistematiche non appaiono scalfite dal dato letterale, di per sé ambivalente.
Non è un caso che la dottrina13, che ha esaminato le questioni più problematiche in tema di ius variandi, abbia ammonito a non risolverle sul versante della mera esegesi letterale, quanto piuttosto in chiave sistematica.
Dalla norma, e dal silenzio serbato sulla proponibilità dell’azione risarcitoria dopo il mutamento della domanda d’adempimento in domanda di risoluzione, non si può inferire alcun inoppugnabile argomento a contrario.
Anche l’esegesi storica rafforza tale assunto: la norma è nata per disciplinare uno ius variandi, dapprima riconosciuto in maniera indiscriminata, e per affermare a chiare lettere la proponibilità in via autonoma dell’azione risarcitoria, e non soltanto come accessorio delle domande d’adempimento e di risoluzione.
Appare arduo supporre che il legislatore, proprio mentre faceva salvo in ogni caso il risarcimento del danno e confermava l’orientamento invalso, proclive ad ammettere indistintamente la transizione dalla domanda d’adempimento alla domanda di risoluzione, abbia inteso circoscrivere la proponibilità della domanda di risarcimento dei danni consequenziali alla risoluzione, senza neppure dar conto delle ragioni d’una scelta di siffatta portata.
La soluzione delle SezioniUnite ha già ricevuto il plauso della dottrina14. È prevedibile che la soluzione faccia breccia anche nella giurisprudenza: la coerenza sistematica e teleologica, il dato storico e letterale, la macchinosità dell’opzione contraria, la accreditano nella comunità degli studiosi e dei pratici come una scelta lineare ed efficiente ad un tempo.
1 Auletta, G., Risoluzione e rescissione dei contratti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948, 649.
2 Consolo, C., Il processo nella risoluzione del contratto per inadempimento, in Riv. dir. civ., 1995, 305.
3 Sacco, R., Risoluzione per inadempimento, in Dig. civ., IV ed., XVIII, Torino, 1998, 63. In tali argomenti, echeggiano gli spunti offerti dalla Relazione al codice civile, n. 661: «Scegliendo la risoluzione il contraente dichiara di non aver più interesse al contratto e il debitore non deve ulteriormente mantenersi pronto per l’esecuzione della prestazione».
4 Smiroldo, A., Profili della risoluzione per inadempimento, Milano, 1982, 311, ss.
5 Luminoso, A., Artt.1453-1454 c.c., in Luminoso, A.-Carnevali, U.-Costanza,M., in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna, 1990, 122, s.
6 Cass., 30.3.1984, n. 2119, per il principio che non si può chiedere la risoluzione, dopo aver chiesto il risarcimento del danno, principio ribadito anche da Cass., 9.4.1998, n. 3680, da Cass., sez. lav., 27.3.2004, n. 6161, da Cass., 27.7.2006, n. 17144.
7 Cass., sez. lav., 16.06.2009, n. 13953.
8 Gabrielli,G., Proponibilità delle domande risarcitoria e restitutoria in corso di giudizio purché congiuntamente con quella di risoluzione del contratto inadempiuto, in Riv. dir. civ., 2012, 597, ss.
9 Cass., 27.3.1996, n. 2715.
10 Cass., 5.5.1998, n. 4521.
11 Cass., 4.10.2004, n. 19826.
12 Cass., 27.11.1996, n. 10506, con affermazione che neppure l’indirizzo restrittivo critica o smentisce.
13 Auletta, G., Ancora sul mutamento della domanda di esecuzione in domanda di risoluzione, in Giur. it., 1950, I, sez. II, 664.
14 D’Alessandro, E., Le Sezioni Unite si pronunciano sulla portata dell’art.1453, 2° comma, c.c., in Giur. it., 2014, 1624, ss., in un primo commento alla pronuncia delle Sezioni Unite, mostra di condividerne l’impostazione sistematica e l’intento di sfoltire giudizi superflui.