Persino individuare la data d’inizio del cammino delle riforme appare difficile. Probabilmente, il merito del lancio, se fu tale, va attribuito al segretario socialista Bettino Craxi che nel 1978 dichiarò indispensabile procedere a una non meglio precisata ‘Grande riforma’. Gli altri partiti politici risposero con grande titubanza. La prima vera svolta avvenne nel novembre 1983 con la costituzione della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali presieduta dall’onorevole Aldo Bozzi, liberale. Alla fine dei lavori, gennaio 1985, il Parlamento non ne discusse neppure i risultati. Per anni le riforme fecero oggetto di dichiarazioni dei parlamentari per comparire sui mass media. Soltanto nel 1992 venne istituita una nuova Commissione parlamentare, detta De Mita-Iotti, poiché guidata prima dal democristiano Ciriaco De Mita, poi da Nilde Iotti, già comunista ed ex presidente della Camera dei deputati. Anche i lavori di questa Commissione, terminati all’inizio del 1994, si conclusero con un nulla di fatto.
Alcune significative riforme vennero conseguite dai cittadini con referendum che abrogarono diversi ministeri, alcuni dei quali resuscitati con altro nome, il finanziamento statale dei partiti, reintrodotto sotto nuove forme, intere sezioni delle leggi elettorali vigenti. Dal canto suo, in tutta fretta, per evitare il referendum, nel 1993 il Parlamento introdusse l’elezione popolare diretta del sindaco. La nuova legge elettorale, detta Mattarellum, con riferimento ironico al cognome del relatore, Sergio Mattarella, dispose l’elezione di tre quarti dei parlamentari con un sistema maggioritario in collegi uninominali e un quarto proporzionale. Nel 1996 sembrò che potesse addirittura nascere un governo, con la guida di Antonio Maccanico, per dare vita a una repubblica di tipo semi-presidenziale alla francese, con sistema elettorale a doppio turno. Fallì. Il tentativo successivo, con una Commissione presieduta da Massimo D’Alema, di giungere a una riforma organica sia della forma di stato, introducendo elementi di federalismo, sia della forma di governo, rafforzando i poteri del Presidente del Consiglio, si ebbe fra il 1997 e il 1998, ma rimase senza esito.
Più successo iniziale ebbe la maggioranza di centro-destra guidata da Silvio Berlusconi, che approvò sia un’ambiziosissima riforma di 56 articoli della Costituzione, sia la reintroduzione di una legge elettorale proporzionale, ma con soglia percentuale d’accesso al Parlamento e con premio di maggioranza per il partito o la coalizione che ottengono più voti alla Camera e regione per regione al Senato. Vinte molto risicatamente le elezioni dell’aprile 2006, il centro-sinistra chiamò l’elettorato a un referendum costituzionale che bocciò tutta la riforma costituzionale. Pure in seguito sottoposta a referendum, la legge elettorale rimase in piedi intatta a causa del non conseguimento del quorum del 50% più uno dei votanti. Costantemente criticata dagli opinionisti, in particolare del centro-sinistra, la legge elettorale che, grazie alle sue lunghe e bloccate liste di candidati, consente ai capi-partito di scegliersi i parlamentari graditi e ai candidati di farsi cooptare, appare molto difficile da riformare.
Alla fine del 2010, anno quant’altri mai di conflitti politici e di migrazioni parlamentari (la classica malattia italiana chiamata trasformismo), le riforme istituzionali continuano a rimanere sullo sfondo, promessa o minaccia, entrambe difficili da tradurre in pratica. La Costituzione, autorevolmente difesa e interpretata dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, esibisce una straordinaria elasticità, tanto da fare pensare che le riforme dovrebbero essere indirizzate a migliorare la qualità della classe politica piuttosto che a incidere sui meccanismi e sulle strutture istituzionali. Naturalmente, c’è molto da temere qualora una classe politica conflittuale e inadeguata riesca a trovare accordi su riforme costituzionali che ciascuno dei suoi componenti vorrebbe esclusivamente se avvantaggiano la sua parte politica. Le non-riforme appaiono di gran lunga preferibili a riforme forzate, partigiane, malfatte.