DIOTALLEVI, Irenio
Nacque a Voltri Ligure (prov. di Genova) il 10 genn. 1909 da Ariosto, ingegnere navale impiegato presso i Cantieri liguri, e da Irene Ventura. Studiò ingegneria a Roma, dove si laureò nel 1932. Nella stesura del progetto di laurea gli fu a fianco Franco Marescotti, un abile giovane collaboratore di studi di architettura: fu questo l'inizio di una importante amicizia e di una fruttuosa collaborazione che durerà per quasi venti anni.
Il Marescotti aveva già fatto conoscere la sua ostilità culturale verso l'"eclettismo colossale" che dominava la scena architettonica romana e i primi disegni della tesi che il D. gli mostrò (avevano per tema il progetto di un grande albergo) lo convinsero che fra loro esisteva una aperta affinità. La linearità e la sobrietà di linguaggio presenti nel progetto del D. avevano le loro radici nel razionalismo di matrice tedesca ed erano in sintonia con le prove di alcuni giovani architetti dell'area milanese.
Il polo milanese attirò quindi il D., che decise di frequentare il politecnico per conseguire (nel 1935) una seconda laurea, in architettura. Negli stessi anni, fra il 1932 e il 1933, compì un viaggio di studio in Germania; a Berlino e a Monaco svolse attività di collaborazione presso studi di architettura, ma il vero scopo del viaggio sembrò essere la conoscenza della nuova architettura tedesca e l'acquisizione di una ampia documentazione.
Al ritorno il D. aveva con sé le riviste dell'architettura moderna, i libri di W. Gropius e L. Hilberseimer: tutte fonti queste dalle quali trasse gli elementi chiave per l'impostazione di quel linguaggio della "architettura funzionale" che avrebbe contraddistinto la sua progettazione, svolta peraltro sempre in collaborazione col Marescotti, che, parimenti, aveva deciso di abbandonare Roma per Milano.
I primi progetti (1936-1937) del duo, divenuto ormai inseparabile, furono dedicati allo studio della tipologia della residenza: le abitazioni in altezza a piani alternati e i gruppi di abitazioni a ville sovrapposte progettate in quegli anni coniugavano la ricerca funzionale di Gropius con l'immagine forinale dei progetti lecorbusieriani (cfr. G. Pagano, Un gruppo di abitazioni a ville sovrapposte, in Casabella, XV [1937], III, pp. 12-17; Ciucci-Casciato, 1980, pp. 48-52). Seguirono una serie di progetti per il Lanificio Rossi a Schio; le case per operai (1937), le case in serie per gli impiegati (1938; cfr. G. Pagano, Progetto di case in serie per impiegati a Schio, in Casabella, XVI [1938], 1303 pp. 22-271, un quartiere di abitazioni popolari (1939). In questi progetti il modello della casa alta fu abbandonato in favore di soluzioni basse, che saranno le predilette anche negli anni successivi, mentre agli edifici alti verranno legate quasi esclusivamente destinazioni a uffici ed attrezzature.
L'unità residenziale delle case per operai, organizzata su uno schema distributivo ad "L", richiamava nell'uso di analoghi elementi compositivi le casette popolari presentate da A. Libera o da M. Ridolfi alla mostra del Movimento italiano per l'architettura razionale del 1931. Le case in serie per gli impiegati portavano un contributo di novità funzionale alla progettazione della casa unifamiliare.
Dal 1937 i due furono chiamati a collaborare a Casabella, allora diretta da G. Pagano; fino al 1943 essi svilupparono attraverso le pagine della rivista una approfondita ricerca di respiro internazionale sulla tipologia dell'abitazione, innanzitutto della "casa popolare", che trovò una sintesi nei tre numeri monografici pubblicati nel 1941 (cfr. Analisi e problemi della casa popolare, in Casabella, XIX [1941], nn. 162-164, riuniti nel volume Ordine e destino della casa popolare, Milano 1940.
La collaborazione col Pagano rivelò una intesa insieme morale e culturale; momento centrale fu la redazione del progetto per la "città orizzontale", che apparve, firmato dal D. insieme con Marescotti e Pagano, nel n. 148 di Casabella (XVIII), pubblicato nell'aprile del 1940. La proposta conteneva una indagine sulla condizione abitativa a Milano, in cui si individuavano le aree più fatiscenti, si denunciavano le cause del degrado e le conseguenze sociali per avanzare una proposta di sostituzione completa, edilizia e urbanistica, di una zona centrale con un quartiere nuovo. Scriveva Pagano (La civiltà e la casa: ibid., p. 3), presentando la "città orizzontale": "La fisionomia civile di un paese, di una nazione, non è data dalle opere di eccezione, ma da quelle altre tantissime che la critica storica classifica come architettura minore ... Di questa architettura sana il nostro paese non ne produce quasi più. La casa è concepita solo come sfruttamento di denaro". Si affacciò dunque per il D. e il Marescotti il tema che sarà a loro più caro negli anni successivi: quello della casa popolare come problema morale e sociale.
Il quartiere della città orizzontale, previsto per circa 8.000 abitanti, è racchiuso in un perimetro rettangolare di m 750 × 400. Il reticolo delle strade dà forma a isolati quadrangolari di residenze e giardini; al centro sono le attrezzature sviluppate in altezza. Le residenze basse sono costituite da case-unità di differente grandezza: la casa-unità, pensata su uno schema ad "L" che cresce proporzionalmente al numero di abitanti di ciascun alloggio, è il modulo del progetto. L'ampliamento determina minimi accrescimenti dei singoli lotti, da cui scaturisce una differenziazione degli isolati del quartiere.
Il riferimento più diretto della città orizzontale è nelle ricerche tipologiche sviluppate dalla scuola razionalista tedesca e presentate nei congressi intern. di architettura moderna del 1929 e 1930; l'idea del reticolo uniforme presenta chiare analogie con lo studio di L. Hilberseimer del 1932 per un quartiere di case basse a un piano. Per ultimo, l'ipotesi di inserimento del sistema orizzontale in un'area intorno a corso Garibaldi a Milano rappresentò un tentativo, carico di tensione utopica, di rifondazione della città.
Il tema del quartiere ad alloggi singoli, idea base del progetto di città orizzontale, era stato parzialmente affrontato dal D. anche nel piano di un quartiere di case popolari per i dipendenti del Lanificio Rossi in località Piovene Rocchette, in provincia di Vicenza (1939; cfr. M. Casciato, Casa popolare o architettura popolare?, in 1930-1942. La città dimostrativa del razionalismo europeo, a cura di L. Caruzzo e R. Pozzi, Milano 1981, pp. 240-243) e ripreso nel quartiere per le maestranze del Lanificio Fila a Cossato in provincia di Vercelli (1943; cfr. Ciuccicasciato, 1980, pp. 29, 111-123).
Gli studi sul tema della casa popolare, condotti per più di dieci anni col Marescotti, costituiscono un vero e proprio inventario dei metodi e modi di costruzione dell'abitazione. Tutti i materiali, selezionati, catalogati e ridisegnati, furono raccolti nel volume a schede Il problema sociale costruttivo ed economico dell'abitazione, edito a Milano nel 1948 (cfr. la ristampa delle 196 tavole con indici e note introduttive, a cura di M. Casciato, Roma 1984; nella riedizione sono inserite anche le cinquantasei schede dei Particolari costruttivi di architettura, elaborate dal D. con il Marescotti e apparse nel biennio 1942-1943 su Casabella).
Con la fine della guerra avvenne un profondo cambiamento nella vita del D.; sembrò essere giunto il momento della verifica di tanti anni di progetti e speranze. Partecipò nel 1945 alla fondazione del Movimento studi di architettura (MSA), voluto da un gruppo di architetti milanesi, alcuni già legati a Casabella, che credevano di poter coniugare la ricostruzione edilizia con una ricostruzione anche sociale e politica. Cominciò a collaborare con l'ufficio tecnico dell'Istituto case popolari di Milano e con l'Ina Casa (1947-1948). Lo "studio sociale di architettura", costituito dal D. col Marescotti e C. Ceccucci, realizzò negli anni 1947-1949 alcuni quartieri di case popolari nella periferia di Milano: Baravalle (distrutto), Varesina, Mangiagalli, Castellina.
In occasione della VIII Triennale del 1947, nella sezione denominata "Mostra dell'abitazione", il D. curò, insieme con Marescotti e Ceccucci, la presentazione di alcune indagini e analisi sull'abitazione in Italia. Non fu questa la prima collaborazione con la Triennale; già nel 1940, infatti, Pagano aveva chiamato il D. e Marescotti nel gruppo dei curatori della mostra internazionale della produzione in serie esposta nella VII Triennale (cfr. A. Pansera, Storia e cronaca della Triennale, Milano 1978, ad Indicem).
Nel 1948 il D. ebbe la vicepresidenza dell'Istituto milanese delle case popolari e dall'anno successivo ne ricoprì la carica di presidente. Questo impegno si scontrò con la posizione di architetto militante che il Marescotti intendeva seguire e segnò la fine del loro lungo sodalizio. Collaborarono un'ultima volta nella elaborazione della relazione sui "Problemi dell'abitazione", presentata nel 1950 alla conferenza economica nazionale voluta dalla Confederazione gen. italiana del lavoro.
Il D. morì a Milano il 22 apr. 1954.
Altri suoi progetti, sempre sviluppati in collaborazione con Marescotti, sono: una villa a Schio e una unità ospedaliera, entrambi del 1938; un centro di uffici (1940; cfr. Progetto di un centro di uffici, in Casabella, XVIII [1940], 145, pp. 8-25); una casa per uffici in piazza del duomo (1940); una unità alberghiera a Milano; una abitazione-studio sopra una vecchia casa (1941); una cucina in cristallo Securit per una casa unifamiliare (1943; cfr. Casabella, XXI [1943], 182, pp. 49-53); uno studio di massinia per un istituto clinico e per il cinema Eros, entrambi a Milano (1945); uno studio delle tipologie edilizie per il quartiere della "Città del sole" a Catania (1945; cfr. Tafuri, 1982); la sede dell'YMCA a Milano (1947).
Fonti e Bibl.: Il volume di G. Ciucci - M. Casciato, F. Marescotti e la casa civile 1934-1956, Roma 1980, contiene la documentazione più completa sulla collaborazione fra il D. e Marescotti con l'elenco dei progetti, degli scritti, apparsi per la gran parte su Casabella (1937-1943), e delle mostre cui parteciparono. Cfr. inoltre Il razionalismo e l'architettura italiana durante il fascismo, a cura di S. Danesi-L. Patetta, Milano 1976, p. 120 e passim; C. Conforto - G. De Giorgi - A. Muntoni - M. Pazzaglini, Il dibattito architettonico in Italia 1945-1975, Roma 1977, pp. 24, 172, 284; M. Tafuri, Architettura italiana 1944-1981, in Storia dell'arte italiana (Einaudi), VII, Il Novecento, Torino 1982, pp. 435 s.; Il razionalismo italiano, a cura di E. Mantero, Milano 1984, pp. 117-121.