DE MARI (Mari), Ippolito
Nacque a Genova il 28 luglio 1681, primogenito di Francesco di Stefano, e di Livia Centurione, e venne battezzato il giorno dopo nella chiesa di S. Maria delle Vigne.
Tanto il nonno Stefano, come i due zii paterni, Girolamo e Domenico Maria, furono dogi della Repubblica, rispettivamente nel 1663, 1699 e 1707, in un periodo in cui la famiglia De Mari, finanzieri e assentisti, sembra cercare nelle alte cariche pubbliche prima il suggello del proprio prestigio economico e politico, poi, forse, il compenso ad un certo declino di esso. Il D. venne iscritto al Libro della nobiltà il20 dic. 1703, insieme ai fratelli Stefano, nato il 29 luglio 1683 (visse a lungo alla corte di Madrid e fu, tra l'altro, tra il 1731 e il 1736 ammiraglio, della flotta spagnola fornita in aiuto a Genova contro la Corsica), e Giovanni Battista, nato il 12 ag. 1686 (capace diplomatico e commissario generale in Corsica nel 1738-40). Come il fratello Giovanni Battista, il D. si dimostrò abile diplomatico: e gli incarichi assunti in concomitanza con la dislocazione di fratelli e cugini per le corti europee, rispondono evidentemente ad una precisa strategia familiare, che consentiva di difendere i propri interessi insieme a quelli della Repubblica, se non prima di essi.
Sulla formazione culturale del D. non abbiamo notizia, ma dalle lettere e dalle relazioni ad alto livello che mantenne durante le sue legazioni, essa appare molto accurata. Sposò la figlia di Giovan M. Doria, ma dal matrimonio non nacquero figli maschi, o almeno nessun figlio risulta iscritto al Libro della nobiltà. Ricevette il primo incarico diplomatico documentato nel gennaio 1721, come inviato straordinario a Francesco Farnese duca di Parma, per sollecitarne l'intervento presso Filippo V di Spagna, affinché questi ripristinasse i normali rapporti diplomatici con la Repubblica, colpevole di aver fornito rifugio al cardinale G. Alberoni.
La questione si trascinava da quasi un anno, da quando cioè Genova si era prestata a ospitare l'Alberoni e a fornirgli i mezzi per la fuga, nonostante le richieste di cattura da parte di papa Clemente XI, formalmente appoggiate da Filippo V. Questi, apparentemente risentito con la Repubblica, per compiacere il pontefice, nell'aprile 1720 aveva vietato l'accesso in Spagna al nuovo inviato straordinario genovese, Francesco M. Balbi. Il governo della Repubblica, di fronte al gravissimo danno derivante dalla mancanza di un procuratore ufficiale dei propri vasti interessi in Spagna, predispose una operazione diplomatica a vasto raggio, con due missioni straordinarie: una a Roma di Costantino Balbi, fratello di Francesco, per tentare, attraverso la mediazione di alti prelati genovesi, di ottenere la revoca della condanna pontificia; l'altra a Parma appunto del De Mari. Da Parma il conte Ignazio Rocca, ministro delle Finanze del Farnese, aveva fatto precedentemente sapere al governo di Genova di essere disposto a fare da intermediario, ma chiedeva un mandato ufficiale, che il Senato genovese riteneva troppo impegnativo. Perciò, con delibera 17 genn. 1721, si decise di inviare il De Mari. Arrivato a Piacenza il 22, il D. due giorni dopo fu ricevuto assai cordialmente dal Farnese, il quale espresse subito il desiderio di mettersi a completa disposizione dei governo genovese. Ma il D., conformemente agli ordini ricevuti, si mantenne in termini generali, scontentando così il duca, che trovò il modo di far sapere al D. il proprio disappunto attraverso il Rocca. Il 3 marzo comunque, il Farnese comunicava al D. che Filippo V gli aveva scritto di non essere disposto a ricevere l'inviato genovese a Madrid finché il papa non avesse concesso udienza a quello inviato a Roma. Al che la Repubblica, il 6 marzo, ordinò al D. di rientrare a Genova: ordine che il D., chiesta e ottenuta udienza di congedo l'11 marzo, eseguì immediatamente. Tale comportamento, nonostante i ringraziamenti di rito, indispettì il duca, che in seguito si irrigidì nei confronti di Genova, e la vertenza con la Spagna poté essere risolta solo molti mesi dopo, grazie al lungo ed abile lavoro diplomatico svolto a Roma da Costantino Balbi e, sopra tutto, alla morte di Clemente XI, irriducibile nemico dell'Alberoni. Comunque l'insuccesso della missione non poté certo essere imputato al D., che aveva anzi dimostrato di saper disporre di ottime e tempestive informazioni personali sulla situazione diplomatica a Madrid: egli stesso aveva segnalato da Parma alla Repubblica la recentissima caduta in disgrazia del conte A. Scotti, ambasciatore del Farnese presso Filippo V, non più in grado quindi di fornire alcun aiuto, nonché alla Repubblica, al suo stesso duca.
Dieci anni più tardi, un'altra ambasceria del D. risulta ampiamente documentata e studiata: mentre ricopriva la carica di membro della deputazione di Corsica, il 15 giugno 1731 venne scelto come inviato plenipotenziario a Milano per concludere l'accordo circa l'invio di truppe imperiali nella Corsica in rivolta.
I preliminari erano stati abilmente preparati a Vienna dall'ambasciatore Gian Luca Pallavicino; ma il principe Eugenio di Savoia aveva chiesto l'invio di un plenipotenziario genovese a Milano per definire. i singoli punti con il governatore conte W. Pli. Daun. Dopo la nomina del D., il governo genovese trascorse dieci giorni in dibattito per preparargli le istruzioni: il nodo riguardava lo scopo, difensivo od offensivo, con cui giustificare la richiesta di truppe e, di conseguenza, la loro consistenza numerica. Vienna voleva fornire 10.000 soldati, non volendo correre rischi di eventuali scacchi militari; ma Genova, che diceva di non poter sostenere una spesa tanto elevata, ne aveva chiesti 2.000, a solo scopo difensivo. Dalle discussioni nel Minor Consiglio era emersa la proposta di elevare la richiesta a 5.000 uomini, ritenuti sufficienti per risolvere radicalmente la situazione in Corsica. Ma al D. che, preoccupato della scarsa chiarezza di intenti del suo governo, aveva presentato alcune sue "riflessioni" scritte in cui elencava i vari punti di una probabile discussione col Daun, sui quali chiedeva direttive esplicite, veniva raccomandato di insistere sullo scopo difensivo e di motivare in termini generici la richiesta di aumento del contingente, prospettando al Daun la probabilità che, di fronte ad una consistenza non troppo esigua, i ribelli corsi si sarebbero tutti arresi dopo le prime sconfitte.
Il D. partì da Genova il 25 giugno e il 26 fu ricevuto a Milano dal conte Daun. Il D. seppe sfruttare a vantaggio del progetto del governo genovese le precise e tempestive informazioni di cui era venuto subito in possesso circa le rivalità e i giochi di potere tra gli alti funzionari del governatorato di Milano. Infatti, dal momento che un corpo di spedizione di 10.000 uomini, come proponeva il governatore secondo le direttive di Vienna, avrebbe richiesto il comando di un generale (e non avrebbe potuto che essere il Württemberg, protetto di C. de Mercy, segreto avversario del Daun), il D. seppe insinuare che un contingente più modesto di 5.000 uomini, che non avrebbe provocato il collasso economico della Repubblica, poteva essere posto agli ordini di un colonnello, quale il Wachtendock, che godeva appunto della protezione del Daun. Dopo tre giorni di negoziati si giunse ad un compromesso, in cui il D. aveva complessivamente la meglio: il governatore, pur riservandosi di informare Vienna sulla sua personale convinzione della necessità di un numero superiore, accordò 4 battaglioni (2.400 uomini) oltre a 400 granatieri e 100 ussari al comando del Wachtendock.
Le truppe giunsero a Genova tra il 28 e il 30 luglio e, dopo che il governo genovese ebbe aggiunto un quinto battaglione, si imbarcarono per la Corsica il 7 agosto. Dopo gli iniziali successi, però, le difficoltà dell'impresa, i tentativi degli insorti di ottenere la mediazione dell'imperatore, gli invii di nuovi contingenti, gli interventi francesi, i contrasti sugli indulti ai ribelli, resero sempre più tesi i rapporti tra Vienna e Genova, la quale temeva da un lato che l'intervento imperiale si traducesse dal piano militare a quello politico, e dall'altro che Vienna ritirasse le proprie truppe dalla Corsica.
Anche il D. a Milano, durante tutto l'inverno 1731, risentì della tensione del momento, al punto che il 18 gennaio arrivò improvvisamente a Genova per informare personalmente il suo governo circa i termini di un indulto ai ribelli corsi preparato dal governatore di Milano secondo le direttive di Vienna. Ma nella successiva primavera-estate i contrasti tra Genova e Milano, prima sugli indulti in se, poi sulla estensione della garanzia politica degli stessi, divennero drammatici, e - per consenso generale - solo l'abilità diplomatica del D., grazie al rapporto di fiducia personale che aveva saputo mantenere col Daun, riuscì ad evitare più di una volta che la situazione precipitasse e che si arrivasse alla rottura definitiva. Risolto infine il problema della formula dell'indulto ai ribelli, pur senza piena soddisfazione né di Genova né di Milano, il D. nel settembre 1732 poté tornare in patria. Due mesi dopo, il 20 novembre, a Milano sarebbe giunto, come inviato straordinario, suo cugino Lorenzo.
Nel corso degli anni successivi il D. risulta ricoprire a Genova solo due cariche: nel 1734 fu estratto senatore e nel 174041 figurò tra i Padri del Comune. Nel 1736 invece probabilmente era in Spagna, come sembra deducibile dai precisi riferimenti al D. nella corrispondenza del segretario della legazione genovese a Madrid, Giuseppe Ottavio Bustanzio.
A questo proposito, è necessario avvertire che il Ciasca è caduto in errore nell'identificare il D. con il marchese ammiraglio Mari, che era invece suo fratello Stefano. L'equivoco è stato originato probabilmente dal fatto che, nella corrispondenza del Bustanzio pubblicata dal Ciasca, l'ammiraglio non è mai citato col nome di battesimo, ma solo con il titolo nobiliare di marchese, con cui spesso è anche citato il De Mari. Del resto Stefano (a sua volta da non confondere con due omonimi contemporanei: l'altrettanto prestigioso fu Camillo, nato il 20 maggio 1689, poi commissario in Corsica nel 1745 e generale delle armi nel 1746, e il figlio del doge Domenico Maria, nato il 22 dic. 1679, anche lui in Spagna nel febbraio 1734 per incarichi minori), tra il luglio e il settembre 1731 era a Siviglia e a Barcellona, dove si raccoglieva la flotta spagnola di ventidue navi da inviare in Corsica, proprio mentre il fratello Ippolito era a Milano a trattare col Daun per il contingente imperiale. Inoltre, in due lettere, rispettivamente dell'11 febbr. 1736 del Bustanzio al governo genovese, e del 31 luglio del governo al Bustanzio, si fa riferimento ad alcune situazioni relative alla Corsica, sulle quali il marchese Mari, generale alla corte di Madrid, riceverà incarichi specifici dal D., definito al di là di ogni possibile dubbio marchese Ippolito, fratello del generale.
L'ultima volta in cui il D. appare nella vita politica della Repubblica, è in forma indiretta: da un documento dell'ottobre 1748, risulta che Giobatta Ottone e gli altri protagonisti della rivolta popolare antiaustriaca nel gennaio 1747 avevano trasferito il loro quartier generale nel palazzo del D., vicino a piazza Banchi. Perciò, anche se può sembrare strano che non risulti da altri documenti ufficiali un ruolo del D. nella rivolta, questa circostanza può far ipotizzare un suo allineamento con quella nobiltà cautamente progressista che, se non proprio con l'impegno diretto di un Pier M. Canevari e di un Gerolamo Serra, appoggiava di fatto il movimento popolare antiaustriaco. Si ignora la data di morte, posteriore all'ottobre 1748.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Mss. 493, c. 209; Istruz. e relaz. degli ambasc. genovesi, a cura di R. Ciasca, V, 1, Roma 1951, p. 290n. 1; VI, ibid. 1951, pp. 207, 223; A. Boscassi, Il magistrato dei Padri del Comune, Genova 1912, p. 56;F. Donaver, La st. della Repubblica di Genova, Genova 1913, p. 372;R. Quazza, La cattura del cardinal Alberoni, Genova 1913, pp. 112 ss., 131;E. Pandiani, La cacciata degli Austriaci da Genova nel 1746, Torino 1923, p. 191; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, in Atti d. Soc. lig. di storia patria, LXIII (1934), pp. 56, 78;G. Oreste, La prima insurrez. corsa del sec. XVIII, in Arch. storico d. Corsica, XVII (1941), pp. 159, 161, 171, 175, 193, 203; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, Genova 1955, p. 371;G. Guelfi Camajani, II"Liber nobilitatis Genuensis"..., Firenze 1965, p. 328.