Introduzione alla storia dell'Alto Medioevo
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Si pongono questioni non da poco nel ripercorrere le vicende del primo Medioevo, una lunga epoca di decadenza segnata in modo inequivocabile da un accentuato calo demografico. Tale periodo, infatti, va anche inteso come l’epoca in cui tramonta il Mondo Antico e lentamente si forma un nuovo amalgama con i popoli barbari, con i loro modi di aggregazione sociale, le loro lingue, le loro istituzioni, i loro diritti. È un’epoca in cui si diffonde una cultura religiosa comune, il cristianesimo – già divenuto religione di Stato nell’Impero romano, a partire da Teodosio – che finisce col modificare profondamente il sentire delle popolazioni.
È un tempo in cui si sposta il baricentro della vita politica ed economica dal Mediterraneo verso nord e verso est, e si va formando l’Europa quale noi la conosciamo, intorno ad alcuni spazi destinati a dare origine a future nazioni (visigota, longobarda e franca, a sua volta divisa in Neustria e Austrasia), anche se il confine orientale resterà a lungo molto più a occidente di quello che siamo abituati a considerare come confine geografico. È un lungo momento storico in cui si sperimentano la nascita e la disgregazione di un nuovo impero – quello carolingio –, si testano la tendenza all’accentramento dei poteri e le forze centrifughe che opereranno ancora per molti secoli, si collauda il rapporto di forza fra i principi e i papi, tra Stato e Chiesa, e si determina la costruzione di un nuovo ordine sociale ed economico fondato sul sistema feudale, sulla grande proprietà terriera, sulla ereditarietà dei mestieri, sulla servitù dei contadini che – nonostante le molte e profonde trasformazioni e innovazioni sopravvenute – resterà il tessuto connettivo del continente fino al secolo XIX. Sono anche i secoli nei quali si va definendo una identità europea nel confronto con l’islam e con l’Impero romano d’Oriente che, non a caso, ora è meglio detto bizantino, e con le nuove ondate di barbari che premono alle frontiere orientali.
Se è vero che tutti i periodi storici possono essere letti solo a partire dalle vicende del presente, alcuni dei problemi che più urgentemente si pongono oggi all’attenzione di politici, economisti e studiosi in genere, oltre che dei media, degli uomini e delle donne che li affrontano quotidianamente, chiamano in causa direttamente proprio il Medioevo. Ci si chiede se stiamo vivendo il declino di quell’Europa che qui ha le sue origini, la fine di un ciclo di civiltà, mentre anche gli Stati Uniti d’America, figli di quella civiltà, dopo aver dominato incontrastati nel secolo scorso, danno segnali di stanchezza e alcuni Paesi asiatici sembrano fare prepotentemente il loro ingresso sulla scena di una storia vista con occhi europei. Certo un riposizionamento del continente nel quadro geopolitico mondiale appare inevitabile.
È evidente anche la crisi di identità degli Europei nel momento in cui gli spostamenti da un Paese all’altro e da un continente all’altro non sono più solo un fatto individuale, ma diventano tanto consistenti da indurre a parlare di migrazioni, imminenti o già in corso; in cui si vanno formando gruppi che appaiono come isole coese al loro interno e dai confini ben delineati, annegate in ambienti che si vogliono omogenei o si scoprono ora come tali, a dispetto di ogni discorso su tolleranza, multiculturalismo e interculturalismo.
Allo stesso tempo si intravede la crisi degli Stati nazionali – i cui primi nuclei si è soliti scorgere proprio in questa parte del Medioevo –, assediati dal sorgere e risorgere di regionalismi e localismi, dall’affermarsi di organismi multinazionali e sovranazionali, di un’economia globalizzata, di rapidi o istantanei mezzi di comunicazione a scala mondiale che non si limitano a mettere in contatto aree e sistemi di vita prima isolati o non immediatamente contigui, ma comportano nuove riflessioni sulla natura, la liceità, la convenienza di quei sistemi di vita e sulla loro reciproca compatibilità.
Non meno influenti, anche se a prima vista meno strettamente connessi con il piano storico, sono gli avanzamenti della scienza e della tecnica che mettono in crisi alcuni valori e alcuni comportamenti radicati come quelli familiari, resi problematici dalla fecondazione artificiale, o quelli nei confronti della morte, e soprattutto il concetto stesso di uomo, il confine fra umano e non umano, fra macchine sempre più intelligenti e uomini “imbottiti” di componenti artificiali. E allora si parla di ritorno alla natura e alla religione, alla ricerca di punti di riferimento sicuri, posti fuori del tempo.
Da un lato si cerca di dimenticare che la natura non è separabile dalla sua storia, non è ipotizzabile una natura primigenia e inalterata, solo poi compromessa dall’intervento umano; e che neppure il Medioevo, con i suoi boschi abitati da animali selvatici, i suoi mari vuoti di imbarcazioni, la rarità degli insediamenti e dei traffici, i pretesi comportamenti primordiali, può fare da sfondo immobile che dia la misura del cambiamento verificatosi fino all’età contemporanea, come vorrebbe certo medievalismo di maniera.
Dall’altro si mette in evidenza il ruolo della religione nella costituzione dell’identità europea, nella formazione della Christiana communitas, o Christiana societas, o Christiana respublica, o Christianitas. E si discute se l’influenza del cristianesimo sia stata fondamentale o no, sia da passare sotto silenzio o da respingere come rischiosa per la laicità della vita pubblica e degli Stati conquistata recentemente, a partire dal secolo XIX, oppure tanto esclusiva da dover essere citata nella costituzione europea a preferenza di altri tratti distintivi, quali potrebbero essere la precoce formazione di una mentalità capitalistica o di uno spirito di avventura e di conquista o di una volontà di trasformazione della natura e della realtà circostante, il cui sviluppo potrebbe essere pure correttamente ricondotto al Medioevo.
In questo tempo, che molti definiscono di postmodernità e postsecolarità, certo di incertezza, ma proprio per questo di analisi sottile della storia passata e del presente, a partire da una pluralità di punti di vista appuntati su oggetti di studio prima trascurati, di relativismo e di paura dello stesso relativismo, anche la storia ha perso la linearità che le era attribuita dalla visione eurocentrica di un progresso senza fine. Essa appare ora piuttosto come il risultato più o meno fortuito dell’incrociarsi di eventi solo in parte determinati e controllati da una consapevole volontà umana, anzi in piccola parte, o meglio frantumati in mille volontà diverse e spesso contraddittorie, risultato di tensioni e contrattazioni, successi parziali e fallimenti.
La valutazione del Medioevo, considerato, a partire dagli umanisti, come un’età di mezzo priva di valore proprio, un’epoca di barbarie, di violenza, di miseria, di anarchia, racchiusa fra lo splendore dell’età classica e il recupero rinascimentale di quell’età, non può non risentire di tali orientamenti.
Quello che ancora nell’età dell’Illuminismo era stato respinto in blocco come il tempo della nascita della feudalità, della separazione della società in ceti distinti e dotati di regole e diritti propri, destinati a ripercorrere un cammino preassegnato e rimandare all’aldilà sogni e speranze di riscatto, in nome della riscoperta di una ragione universale, di una natura razionale, di una umanità alla quale andavano tolti i ceppi costituiti da superstizioni e abusi, e che il secolo seguente aveva rivalutato quale tempo di riscoperta della spiritualità, di fondazione di un’unità religiosa cristiana, di formazione delle indipendenze nazionali e comunali, appare oggi scomposto in segmenti che non hanno trovato una sistemazione univoca.
Ipotesi per una periodizzazione del Medioevo
La data generalmente indicata come inizio del Medioevo è, come è noto, il 476, la deposizione dell’imperatore Romolo Augustolo, considerata quale fine dell’Impero romano d’Occidente, ma non manca chi indica la calata dei Longobardi in Italia nel 567 o 568 o l’arrivo dei Franchi nel 774, chi propone che il periodo fino al secolo VI sia da ascrivere alla tarda Antichità e che solo dal secolo successivo si possa parlare di alto Medioevo.
Una cesura importante è certo costituita dalla presenza islamica nel Mediterraneo a partire dai secoli VII e VIII, anche se la tesi di Henri Pirenne, secondo la quale questa vicenda ha determinato la fine del Mondo Antico, ha subito qualche ridimensionamento. Altrettanto importante appare il nuovo ordine imposto da Carlo Magno nel cuore del continente. Persino l’anno Mille, caricato a lungo di significati apocalittici, sembra avere in parte perduto la sua pregnanza periodizzante, soprattutto per chi individua dal IX all’XI i secoli centrali del Medioevo. I passaggi dal V al VI e dal X all’XI secolo restano comunque svolte significative nella storia europea alle quali si è scelto di attenersi.
La stessa tendenza alla moltiplicazione di riferimenti, di eventi che possono essere giudicati fondanti, e la loro varietà a seconda dell’area geografica e dell’angolo visivo da cui sono esaminati non solo rendono possibili periodizzazioni diverse, ma mettono in rilievo, oltre alle trasformazioni del mondo antico, anche l’apporto fondamentale dei popoli “barbari”, dei Bizantini sottratti alla pretesa immobilità della loro storia, degli islamici – che oggi, per ovvi motivi, attirano particolarmente l’attenzione –, o di minoranze come quella degli ebrei e degli eretici nella costruzione dell’identità e delle vicende europee.
Proprio se si considera per intero il crogiolo di popoli e civiltà che hanno contribuito alla prima formazione dell’Europa medievale, e i loro reciproci contatti, anche i confini del continente appaiono mobili e permeabili, costituiti come sono più che da barriere, da aree le cui parti più remote sono interessate da incontri via via più sporadici.
La stessa separazione fra Oriente e Occidente, conseguente alle migrazioni barbariche, alle spedizioni islamiche, alla separazione e al primato della Chiesa di Roma rispetto a quelle orientali, alla distinzione sempre più marcata dell’Europa rispetto a Bisanzio, che costituisce un tratto distintivo del primo Medioevo, non è stata poi così netta come si potrebbe credere da un esame che tenesse in considerazione soprattutto la riduzione delle vie di comunicazione e del tessuto urbano, la decadenza dei porti e dei traffici, la scomparsa delle scuole e la aumentata distanza sul piano politico e culturale. Basti pensare che Carlo Magno e persino gli Ottoni hanno avvertito la necessità di tenere rapporti con Costantinopoli, che gli Arabi, come è ben noto, hanno trasmesso agli Europei il loro sapere e quello antico, che i musulmani sono stati a più riprese chiamati in soccorso da cristiani contro altri cristiani e si sono accordati spesso con i potenti locali per contrastare loro correligionari, che i Mori sono penetrati in territori vasti come la penisola iberica, e non solo, con forze ridotte, fidando sul favore di popolazioni depresse e oppresse e che non mancano casi, anche importanti, di matrimoni fra fedeli di religioni diverse.
Proprio su questo versante sono in corso gli studi forse più innovativi, che si propongono di mostrare la permeabilità dell’islam e di contribuire ad abbattere le oggi ventilate barriere religiose e culturali, senza perciò rinunciare a rivendicare il rilievo della specifica tradizione europea, fondata su una particolare pluralità di forme sociali e politiche e sulla loro variabilità.