INSEGNA
− Contrassegno distintivo per indicare a vista e simbolicamente un'autorità (eventualmente con le specifiche funzioni e i poteri connessi), una dignità, uno stato giuridico, una unità militare, un mestiere o professione. Hanno valore di i., e di fatto sono denominati insignia dagli antichi scrittori, anche simboli e vesti o loro parti di forma e colore speciale, caratteristici e proprî di determinati personaggi, ordini politici e classi sociali.
1. Insegne politiche e civili. − Presso tutti i popoli primitivi si trovano lance, asce, bastoni, ecc. come i. della regalità o del sommo potere. Presso i popoli dell'antichità classica tale i. è costituita dallo scettro e dall'asta. Un esemplare di scettro da Kourion (Cipro) sembra risalire alla tarda Età del Bronzo ed un altro probabile, di avorio, proviene da Micene. Nelle raffigurazioni scultoree e vascolari e nei tipi monetari esso appare sormontato da volute, da un fiore, una palmetta, un pomo, una figura alata, un'aquila, ecc. Noto anche agli Etruschi, lo scettro fu in Roma l'i. dapprima del comandante trionfatore e successivamente del potere imperiale. Fra le altre insegne degli imperatori romani, di origine ellenistico-orientale e connesse, in un primo tempo, con il mondo religioso, si incontrano: il globo, simbolo del dominio (già attributo di Roma e del Genius Populi Romani e, in età imperiale, anche del Senato e dell'Italia), il fulmine, il caduceo, l'egida, la pelle leonina (già di Alessandro Magno), il trono con baldacchino e fastigium; per le imperatrici e le donne della famiglia imperiale, il diadema. Parimenti di origine ellenistica e dovuta all'influsso della parte greca dell'Impero Romano fu l'i. imperiale della corona radiata.
In Roma la toga contrassegnava il cittadino; la toga candida, il cittadino candidato alle magistrature; il latus clavus, il senatore; l'angustus clavus, il tribuno militare; l'anello d'oro, il cavaliere; la toga praetexta e i fasces, il magistrato e poi l'imperatote. In particolare l'imperatore come capo dello Stato, indossava il paludamentum quasi sempre insieme alla Zorica, la corazza (v.), ogni qualvolta usciva da Roma.
Egli, inoltre, recava sul capo la corona civica, simbolo della clemenza del principe, o quella d'alloro, già contrassegno del generale trionfatore in età repubblicana; aveva diritto al subsellium, in quanto investito della potestò tribunicia, ed alla sella curulis per sedere nella curia come console o fra i consoli, finché non gli venne riservato un posto speciale ed isolato (il suggestus); si trova infine rappresentato con il lituus, il bastone ricurvo degli auguri, simbolo del diritto esclusivo dell'imperatore agli auspici. In occasione dei trionfi e di solenni celebrazioni festive l'imperatore vestiva la toga purpurea con stola aurea o, più tardi, la toga picta oppure la toga bianca trionfale; portava sul capo la corona aurea; recava in una mano il globo oppure lo scettro sormontato dall'aquila o dalla Vittoria, e sul braccio la mappa per dare il segnale d'inizio dei ludi; sedeva sulla sella aurea e prendeva posto sul pulvinar del circo. In uniforme militare, oltre alla lorica e al paludamentum, l'imperatore indossava vesti con segmenta (applicazioni di stoffa di diverse forme e colori), cingeva il cingulum e calzava i campagia.
Il cingulum era anche il contrassegno del soldato in servizio; la vitis, il contrassegno del centurione e dell'evocato.
2. Insegne militari. − Presso gli Egiziani e i popoli dell'Asia Anteriore esse consistevano in aste o pertiche sormontate dalle immagini degli animali sacri delle tribù, o di divinità protettrici o di un'aquila. Un drappo purpureo (ϕοινικιᾒς) serviva come i. dell'esercito di Alessandro Magno. Tuttavia, soltanto presso i Romani, le insegne militari, poste in prima linea nello schieramento dell'esercito, raggiunsero una grandissima importanza tattica: dal loro movimento, infatti, dipendevano i movimenti delle truppe, consacrati per l'appunto dalle espressioni tecniche di signa tollere, signa movere, signa ferre o efferre o proferre, signa constituere, signa inferre, signa conferre, signa convertere, signa referre, signa transferre, signa promovere, signa retro recipere, signa ad laevam o ad dexteram ferre, signa obicere, signa expedire, ecc., per indicare l'avanzata, la marcia, l'arresto, l'attacco, la zuffa, la ritirata, l'insegnimento, la conversione, il contrattacco, la preparazione per la battaglia e via dicendo. Di qui la venerazione in cui le i. erano tenute, poste in un sacrario apposito costruito presso il pretorio dell'accampamento, e la considerazione e l'elevato grado attribuito ai portatori delle i. (signiferi, imaginiferi, vexiliferi, aquiliferi), i quali, stando al fianco del centurione primipilo, ne trasmettevano gli ordini.
Oltre all'i. tattica di ciascun manipolo, la legione ebbe, da Mario in poi, anche una propria i. comune, puramente simbolica: l'aquila; mentre il vexillum divenne l'i. simbolica di un distaccamento della legione, chiamato per l'appunto vexillatio. Il vexillum, inoltre, rimase l'i. caratteristica della cavalleria, sia legionaria che ausiliaria e, verosimilmente, pretoriana (sebbene per le ali ausiliarie e per gli equites singulares sia documentata la presenza di signa, oltre che di vexilla). Per analogia con le legioni, certamente, ogni manipolo delle coorti pretorie, forse anche la centuria, dovette avere la propria insegna.
Tipi e forme di i. ci sono noti dalle loro raffigurazioni sulle stele di aquiliferi, signiferi e di uomini d'armi in generale, sulle colonne onorarie, sugli archi, sulle monete e altrove (per esempio sui rilievi della corazza dell'Augusto di Prima Porta). Non mancano, naturalmente, parti originali di i. rinvenute negli scavi. L'i. della legione consisteva in un'asta sormontata da un'aquila ad ali spiegate e poggiante su fulmini; l'i. tattica del manipolo, invece, in una asta sormontata da una mano aperta o da una punta di lancia, circondata o meno da una corona d'alloro, con un nastro annodato su un traversino di legno. A questi elementi essenziali, si aggiungevano, generalmente, come elementi accessorî ed ornamentali: la targhetta metallica recante l'indicazione della legione, della coorte e del manipolo (eccezionalmente della centuria); le phalerae con o senza raffigurazioni in rilievo; i diversi tipi di coronae (vallares, murales, ecc.); Vittorie alate, crescenti e immagini di divinità protettrici, di esseri mitici o di animali apotropaici (Minerva, Nettuno, Ercole, Pegaso, centauro, leone, toro, aquila, capricorno, orso, bue marino, ariete, ecc.).
Le i. delle coorti pretorie erano analoghe: sormontate da una punta di lancia o da un'aquila poggiante su un vessillo o altro, e ornate da immagini di animali in rilievo (scorpione, ecc.), da medaglioni con l'immagine dell'imperatore, dalla targhetta con l'indicazione della coorte, da coronae, phalerae, crescenti, ecc.
Parimenti analoghe le i. delle truppe ausiliarie, sormontate da una punta di lancia circondata da una corona d'alloro, oppure (forse solo per i numeri) da figure di animali (ariete, toro, ecc.), sopra un traversino con nastro, e ornate da phalerae, coronae, ecc.
Invece i vessilli erano di un solo tipo per qualsiasi genere di truppa. Essi consistevano in un drappo quadrato e con frange, pendente da un traversino fissato in cima ad una asta; in alcuni casi appaiono sormontati da una punta di lancia o da una Vittoria.
Nella tarda età imperiale appare, come i. della coorte, il draco, di origine barbarica, portato dal draconarius. Esso servì anche come i. degli auxilia palatina e, forse, della legione costantiniana ridotta a mille uomini. Lo si vede riprodotto nel fregio costantiniano dell'Arco di Costantino in Roma e doveva consistere in una testa di drago in legno o metallo, alla quale era fissata una lunga coda tubulare di stoffa leggera. Una testa in argento lavorato a sbalzo, che si conserva all'Ermitage di Leningrado, di epoca sassanide, sembra essere l'unico cimelio di tal genere di insegne.
Considerazioni a parte esige lo stendardo costantiniano sormontato dal chrismòn in corona d'alloro, che non fu una i. militare, bensì un simbolo religioso (v. labaro).
Tutte le i. militari romane avevano, come caratteristica comune, il fatto di terminare con un puntale per essere facilmente conficcate nel terreno.
Presso i barbari l'i. militare in forma di stendardo o vessillo, a imitazione di quello romano, fu chiamato bandum (donde bandus fu detta l'unità militare che ne era munita e il termine bandiera) e consistente in una striscia di panno o drappo variamente colorato, issato su un'asta.
3. Insegne di opifici, botteghe, taverne. − Un rilievo, un dipinto, un mosaico o un'epigrafe possono essere assunti come i. di mestiere soltanto se rispondenti al duplice requisito del contenuto e della destinazione. Come i., infatti, non sono da intendersi né le iscrizioni né le raffigurazioni di professioni e mestieri (e sono la grande maggioranza), che ricorressero in dediche, su stele e cippi funerarî, su are, su sarcofagi e, più in generale, in mosaici, dipinti e rilievi provenienti da sepolcri.
Solitamente intonate a spirito pubblicitario, queste i. sono per lo più di indole descrittiva ed espositiva. Caratteristiche sono le i. in mosaico degli uffici delle varie corporazioni degli artigiani e delle società di commercio e di navigazione nel Piazzale delle Corporazioni di Ostia, indicanti, con scritte e rappresentazioni, il genere di commercio esercitato e il luogo di provenienza dei commercianti; l'i. dipinta della fullonica a Pompei, raffigurante, in nicchie, una tinozza con un lavandaio intento a pigiare la stoffa, altri che lavano e piegano i panni, un altro nell'atto di cardare un pezzo di stoffa, un altro, infine, con una secchia ed un utensile; e, sempre a Pompei, le i. dipinte della bottega di fornaio e della bottega di M. Vecilio Verecondo, produttore e mercante di articoli di abbigliamento (quattro feltrai intenti ad impastare la lana attorno ad una caldaia bollente; tre tessitori di nastri; l'industriale Verecondo che mostra una coperta, prodotto del suo opificio; una donna seduta dietro il banco in atto di vendere ad un giovane cliente); l'i. in rilievo della corporazione dei saccari, cioè dei braccianti addetti ai trasporti (due facchini nell'atto di trasportare una grossa anfora pendente dal mezzo di una sbarra di legno). Svariate le insegne delle tabernae, generalmente intitolate ad animali secondo una tradizione che sopravvisse attraverso i secoli: un cammello, in base ad una testimonianza di Artemidoro; un gallo, per una taberna di Narbona; un elefante avvolto dalle spire di un serpente e condotto da un nano, per la taberna di Sittius a Pompei. A titolo esemplificativo si possono richiamare alcune i. puramente epigrafiche: una, avente la forma di un'iscrizione funeraria, fu l'i. di una bottega di marmorario e quadratario: d(is) m(anibus), titulos scribendos vel si quid operis marmorari opus fuerit, hic habes (C.I.L., vi, 9566); un'altra, di un negoziante di perle, proveniente da Roma: L. Valerius Primus, negotiator margaritar(um) ab Roma (Inscriz. Latinae Selectae, 7603, dai pressi di Aquileia); una terza, di una taberna: Mercurius hic lucrum, promittit Apollo salutem, Septumanus hospitium cum prandio. Qui venerit, melius utetur post; hospes, ubi maneas, prospice (C.I.L., xiii, 2031, da Lione). Non sempre i piccoli rilievi con rappresentazione di arti e mestieri possono qualificarsi con certezza come i., potendo esser stati impiegati anche come ornamento di un monumento sepolcrale (necropoli dell'Isola Sacra presso Ostia).
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