Impugnazioni. Ricorso straordinario per errore
Tre sentenze delle Sezioni Unite ridisegnano la fisionomia del ricorso straordinario per errore di fatto. Gli interventi riguardano le implicazioni disciplinari dell’uso del termine «condannato» sia sotto il profilo della legittimazione attiva, sia sotto il profilo dei provvedimenti impugnabili. Ora il ricorso può essere proposto anche dall’imputato assolto sui capi penali, ma condannato su quelli civili, e può essere diretto anche contro le sentenze di annullamento parziale con rinvio che lascino intatto il profilo dell’accertamento della responsabilità. A uno sguardo complessivo, tuttavia, la collocazione sistematica e la ratio dell’istituto appaiono ancora più sfuggenti.
Immediatamente dopo la sua introduzione nel 2001 si era segnalato che il ricorso straordinario per errore di fatto, confinato in un’unica disposizione normativa piuttosto lacunosa, richiedeva uno sforzo interpretativo di un certo rilievo, anche perché l’auspicata eccezionalità statistica del rimedio non impediva di riconoscere che esso si collocava nel sistema delle impugnazioni in una posizione davvero anomala1. Quello sforzo fu condotto in modo lodevolmente tempestivo dalle Sezioni Unite, che tentarono non solo di precisare i caratteri dell’errore ricorribile in via straordinaria, ma di delineare la fisionomia sistematica dell’istituto, fornendo così gli strumenti per affrontare e risolvere eventuali incertezze interpretative future2.
Ciò non ha impedito che nel corso del tempo sorgessero nuovi problemi interpretativi e contrasti giurisprudenziali. Le Sezioni Unite, ad esempio, avevano identificato l’errore di fatto con la “svista”, o difetto percettivo. Un cospicuo orientamento giurisprudenziale aveva così escluso la possibilità di censurare attraverso il ricorso straordinario l’eventuale errore sulla maturazione della prescrizione del reato, in quanto tale giudizio presupporrebbe un accertamento assai complesso3. Tornando dopo quasi un decennio sul tema, nel 2011 le Sezioni Unite hanno invece affermato che nessun tipo di vizio, neanche l’errore sulla prescrizione, è di per sé estraneo all’area dell’errore di fatto; occorre solo verificarne, caso per caso, la natura percettiva e non valutativa4.
Altri dubbi hanno riguardato invece alcuni profili procedimentali. L’art. 625 bis c.p.p. stabilisce che il ricorso straordinario è proponibile contro i «provvedimenti pronunciati dalla Corte di cassazione» da parte del procuratore generale o del «condannato». Le due espressioni si completano a vicenda per cui, quanto alla legittimazione attiva, essa è attribuita a colui la cui sentenza di condanna consegue a un provvedimento pronunciato dalla Cassazione; quanto ai provvedimenti impugnabili, se ne ricava specularmente che si tratta di quelli per effetto dei quali un soggetto risulta condannato. In prima battuta dunque il rimedio è adoperabile da chi, condannato nei gradi di merito, ha visto dichiarare inammissibile o rigettare il suo ricorso. Si era perciò subito escluso che potessero essere impugnati provvedimenti della Cassazione di inammissibilità o rigetto pronunciati al termine di procedimenti incidentali o esecutivi: la legge menziona un «condannato», che manca se non si è ancora giunti a una sentenza definitiva, né, data l’eccezionalità del ricorso, che infrange il secolare principio di inoppugnabilità dei provvedimenti della Cassazione, è possibile applicare la disposizione di cui all’art. 625 bis oltre i casi ivi espressamente considerati5.
Restavano aperte però alcune questioni. La prima riguardava la legittimazione attiva di colui che viene condannato non sui capi penali bensì su quelli civili. Un indirizzo riteneva che il riferimento al condannato presupponesse una vera e propria sentenza di condanna, quella cioè che contiene l’irrogazione di una sanzione di carattere penale6; altra parte della giurisprudenza riteneva invece che l’espressione «condannato» fosse inidonea a specificare il tema civile o penale della pronuncia e che nessun altro dato testuale legittimasse una simile limitazione7. La seconda questione riguardava i provvedimenti impugnabili. Mentre l’orientamento maggioritario affermava che le sentenze di annullamento parziale con rinvio a un nuovo giudice per l’esame di uno o più punti della sentenza non potevano essere oggetto di ricorso straordinario, non essendoci né una sentenza di condanna né un condannato, ma solo, ancora, un imputato8, alcune sentenze avevano deciso di ammettere l’impugnazione nei casi in cui l’annullamento parziale fosse stato motivato dalla necessità di una rideterminazione della pena, poiché la parte della sentenza relativa all’accertamento della responsabilità doveva ritenersi ormai irrevocabile ai sensi dell’art. 624, co. 2, c.p.p. Tale orientamento si divideva al suo interno, in quanto alcune pronunce avevano ritenuto che il ricorso straordinario andasse proposto dopo il passaggio in giudicato della sentenza del giudice del rinvio9; altre che l’impugnazione potesse essere immediata, anche in pendenza del giudizio di rinvio10.
Le Sezioni Unite sono così state chiamate a pronunciarsi sui seguenti quesiti: se sia ammissibile la proposizione del ricorso straordinario per errore di fatto avverso la sentenza della Corte di cassazione «che confermi le statuizioni civili di condanna dell’imputato» o «che abbia pronunciato l’annullamento con rinvio soltanto in riferimento alla questione relativa alla sussistenza di una circostanza aggravante, e che, dunque, abbia determinato la irrevocabilità del giudizio in punto di sussistenza della responsabilità penale». Tre sentenze pronunciate dal medesimo collegio nel medesimo giorno hanno dato a entrambi i quesiti una risposta positiva11.
2.1 I soggetti legittimati
Il problema della legittimazione attiva dell’imputato assolto sotto il profilo penale ma condannato al risarcimento del danno era senza dubbio il più semplice da risolvere. Il dato testuale infatti, anche nei limiti di una stretta interpretazione, non consentiva di distinguere tra profili civili e profili penali. Insomma, che la condanna evocata dall’art. 625 bis c.p.p. si riducesse a quella per effetto della quale viene irrogata una sanzione penale, come hanno agevolmente avuto modo di osservare le Sezioni Unite, era effettivamente un’interpretazione priva di appigli testuali.
Per decidere la questione il Supremo Collegio ha perciò fatto ricorso a una lettura costituzionalmente orientata. Nel 2000 il Giudice delle leggi aveva affermato che, alla luce del diritto a fruire del controllo di legittimità sancito dall’art. 111, co. 7, Cost., «l’errore di tipo percettivo in cui sia incorso il giudice di legittimità e dal quale sia derivata l’indebita compromissione di quel diritto deve avere un necessario rimedio»12. Non a caso sono stati introdotti, a tutela di quel diritto, prima la revocazione straordinaria di cui all’art. 391 bis c.p.c., nella sede civile, poi il ricorso straordinario di cui all’art. 625 bis c.p.p. nella sede penale. Ciò dimostra – a giudizio della Corte – la «sostanziale identità delle garanzie processuali che ne devono presidiare l’effettività, a prescindere dalla sede – penale o civile – in cui l’eventuale errore di tipo percettivo della Corte di cassazione si sia trovato a incidere»13. Se dunque non conta la sede, non può contare nemmeno il tema della decisione.
Nel ragionamento della Corte questo argomento risulta avvalorato da un’altra considerazione. Se la parte civile avesse scelto di avanzare la sua pretesa risarcitoria direttamente davanti al giudice civile, il condannato, in caso di errore percettivo della Corte di cassazione, avrebbe potuto impugnare la decisione con lo strumento della revocazione straordinaria; se questa medesima opportunità non gli fosse concessa anche nella sede penale, il catalogo dei diritti del condannato al risarcimento verrebbe a dipendere dalla discrezionale e insindacabile scelta del titolare dell’azione di danno. Non potendosi ammettere una simile conseguenza, a tutela del principio di parità di trattamento, occorre rifiutarne le premesse.
2.2 I provvedimenti impugnabili
Il problema della ricorribilità in via straordinaria della sentenza di annullamento parziale con rinvio era invece davvero più complesso; o, meglio, era assai più arduo rovesciare l’interpretazione maggioritaria. Infatti, il dato testuale, stavolta, era inequivocabile: «condannato» si riferisce, nel lessico del codice (ad es., nell’art. 632), a colui che ha perso la condizione di imputato per essere stato destinatario di una sentenza definitiva di condanna, mentre il suo carattere dichiaratamente «straordinario» colloca il ricorso in una fase successiva alla formazione del giudicato. Occorreva perciò derogare al criterio della stretta interpretazione, enunciato anni addietro dalle stesse Sezioni Unite, facendo prevalere su quello letterale argomenti di altra natura.
Il più importante degli argomenti chiamati in causa dal Supremo Collegio è ricavato dall’art. 624 e si incentra sull’idea, dogmaticamente non del tutto nitida, di formazione progressiva del giudicato, per cui «la sentenza definitiva può essere la risultante di più decisioni, intervenute attraverso lo sviluppo progressivo dei mezzi di impugnazione»14. Ne consegue una nozione duplice di giudicato: la prima coincidente col momento in cui la sentenza diventa esecutiva; la seconda legata a una nozione di irrevocabilità/preclusione, coincidente con l’esaurimento del potere decisorio del giudice in relazione a punti della sentenza non oggetto di annullamento, la cui estensione varia a seconda del concreto sviluppo dell’iter processuale.
Quando resti solo da determinare la pena e la sentenza pure annullata debba considerarsi per il resto passata in giudicato, la Corte afferma con innegabile coerenza che «deve ritenersi ontologicamente venuta meno la presunzione di non colpevolezza» e «risulti eo ipso trasformata la posizione dell’imputato in quella di condannato». Non a caso, si rammenta con favore quell’orientamento giurisprudenziale che in simili casi, quando la sentenza contenga l’indicazione della pena minima comunque da espiare, ritiene che questa vada immediatamente messa in esecuzione15.
Una volta risolta in senso positivo la questione relativa all’an della ricorribilità, la Corte ha affrontato quella relativa al quomodo, facendo rapidamente giustizia dell’orientamento che rinvia il dies a quo dell’impugnazione al passaggio in giudicato della sentenza del giudice del rinvio: per ragioni sistematiche e per banali ragioni legate ai termini processuali, i quali decorrono dalla pronuncia della decisione che contiene l’errore di fatto, non può ammettersi che esso possa essere denunciato né con il ricorso ordinario contro la decisione del giudice del rinvio né tantomeno con quello straordinario contro la nuova decisione di legittimità; entrambe quelle decisioni, di per sé, sono immuni da vizi.
Ammettere l’impugnazione immediata della sentenza di annullamento parziale con rinvio significa prefigurare la contemporanea pendenza di due giudizi, uno ordinario e uno straordinario. La Corte, tuttavia, non teme eventuali sovrapposizioni: con formula assai elastica l’art. 625 bis c.p.p. attribuisce al giudice del ricorso straordinario il potere di pronunciare tutti i provvedimenti necessari per correggere l’errore; quindi, in ipotesi, anche di disporre una sospensione del giudizio di rinvio, qualora si debba rinnovare in altra udienza il giudizio di legittimità, o una sua cancellazione, a seconda della pronuncia che si ritenga di adottare in quella sede.
La decisione sul profilo della legittimazione attiva, testualmente plausibile e equitativamente ben orientata, non sembra porre specifici problemi; semmai sembra favorire l’estensione del suo dispositivo ad altre situazioni. Se infatti il diritto al controllo di legittimità e il principio della parità di trattamento impongono di ritenere che il condannato di cui parla l’art. 625 bis c.p.p. sia anche il soggetto destinatario di una pronuncia di inammissibilità o rigetto esclusivamente sui capi civili della sentenza, non vi è ragione di escludere dalla platea dei legittimati le parti private diverse dall’imputato che si trovino nella medesima condizione. Sul punto tuttavia una non ampia ma univoca giurisprudenza si pronuncia in senso negativo16. Va perciò segnalato un possibile contrasto giurisprudenziale.
La decisione sull’impugnabilità della sentenza di annullamento parziale con rinvio a un nuovo giudice per la rideterminazione della pena apre invece diverse questioni17. In linea di principio lasciano anzitutto assai perplessi le affermazioni della Corte sul venire meno della presunzione di innocenza, con conseguente eseguibilità teorica della pena minima stabilita, a seguito dell’esaurimento del potere decisorio del giudice in punto di responsabilità, anche quando il processo è ancora pendente. La Corte, infatti, interpreta in modo assai lato il concetto di irrevocabilità, che invece l’art. 648 ricollega espressamente all’inoppugnabilità del provvedimento (e che in genere viene ragionevolmente esteso solo all’inoppugnabilità della decisione relativa a uno dei capi della sentenza)18. Peraltro la giurisprudenza richiamata a sostegno non sorregge questa interpretazione: è palese infatti che il concetto di formazione progressiva del giudicato viene in genere impiegato senza pretese dogmatiche solo per escludere nel giudizio di rinvio la rilevabilità della prescrizione, se il profilo della responsabilità non è stato oggetto di annullamento19. La duplice forzatura esegetica non è priva di implicazioni di ampio rilievo perché l’asserita equivalenza tra preclusione, irrevocabilità e definitività incide sulla latitudine operativa dell’art. 27, co. 2, Cost. Peraltro – va osservato – la giurisprudenza, risalente e isolata, sull’eseguibilità della pena minima si occupava di un caso di specie molto particolare, nel quale, in un processo cumulativo, la rideterminazione della pena in sede di rinvio era necessaria per stabilire l’aumento di pena correlativo ai reati satelliti in una fattispecie continuata; il capo della sentenza che riguardava il reato base era ormai, in senso stretto, passato in giudicato20.
La soluzione prescelta dalla Corte genera per altro verso significative anomalie sistematiche. L’art. 627, co. 4, c.p.p. esclude che nel giudizio di rinvio possano essere rilevate cause di invalidità verificatesi nei precedenti giudizi, e quindi anche in quello di legittimità. Poiché l’invalidità potrebbe essere stata determinata da un difetto percettivo (ad es., la mancata rilevazione dell’omesso avviso d’udienza al difensore), ciò si traduce nella impossibilità di rilevare in quella sede l’errore di fatto. Se si ammette un ricorso straordinario mentre è in corso il giudizio di rinvio si arriva alla conseguenza davvero paradossale che si può impugnare in via straordinaria, duplicando i giudizi, quel medesimo vizio che non può essere rilevato nella fase processuale pendente. Il paradosso è ancora più evidente alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite che, a fronte di una giurisprudenza assolutamente granitica nell’escludere la rilevabilità nel giudizio di rinvio della prescrizione del reato, se l’annullamento parziale ha riguardato soltanto il profilo della commisurazione della pena, include l’omessa rilevazione di una causa di prescrizione tra i possibili effetti di un errore di fatto ricorribile in via straordinaria21. Ma delle due l’una: o si limita il ricorso straordinario alle sentenze realmente irrevocabili o si modifica l’art. 627, co. 4, consentendo il rilievo dell’errore di fatto. La terza via prescelta dalle Sezioni Unite introduce un meccanismo talmente farraginoso e inefficiente da sollevare più di un dubbio di legittimità costituzionale sotto il profilo dell’economia dei giudizi.
1 In tema vedi Bargi, A., Controllo di legittimità ed errore di fatto nel giudizio di cassazione, Padova, 2004; Capone, A., Gli errori della Cassazione e il diritto al controllo di legittimità, Padova, 2005; Gialuz, M., Il ricorso straordinario per cassazione, Milano, 2005.
2 Cass. pen., S.U., 27.3.2002, n. 16103.
3 Vedi Cass. pen., 25.1.2011, n. 13279; Cass. pen., 25.1.2011, n. 4783; Cass. pen., 24.2.2009, n. 10781; Cass. pen., 28.10.2008, n. 41237; per quella positiva vedi Cass. pen., 28.10.2010, n. 41489; Cass. pen., 11.3.2010, n. 15683; Cass., pen. 7.10.2009, n. 41918.
4 Cass. pen., S.U., 14.7.2011, n. 37505 con nota di Gaeta, P., Rimedio possibile se sulla causa estintiva c’è stata solo una “svista” priva di valutazioni, in Guida dir., 2011, fasc. 45, 66.
5 Cass. pen., S.U., n. 16103/2011.
6 Cass. pen., 3.12.2008, n. 46277.
7 Cass. pen., 27.4.2010, n. 26485; Cass. pen., 12.2.2003, n. 12720.
8 Cass. pen., 20.5.2010, n. 23854; Cass. pen., 16.7.2009, n. 40171; Cass. pen., 28.1.2009, n. 16692; Cass. pen., 15.6.2007, n. 24569; Cass. pen., 28.1.2004, n. 4975.
9 Cass. pen., 15.4.2009, n. 17362.
10 Cass. pen., 8.6.2010, n. 25977; Cass. pen., 21.11.2007, n. 217.
11 Cass. pen., S.U., 21.6.2012, n. 28717; Cass. pen., S.U., 21.6.2012, n. 28718; Cass. pen., S.U., 21.6.2012, n. 27819.
12 C. cost., 13.7.2000, n. 395.
13 Cass. pen., S.U., 21.6.2012, n. 28718.
14 Cass. pen., S.U., 21.6.2012, n. 28717.
15 Cass. pen., 2.7.2004, n. 2541.
16 Vedi Cass. pen., 5.7.2007, n. 28629 che esclude l’impugnazione «della parte civile o di altre parti processuali, che pure possono essere condannate al pagamento delle spese processuali o al pagamento di una somma di denaro a favore della cassa delle ammende in caso di dichiarazione di inammissibilità del loro ricorso»; in senso conforme Cass. pen., 30.10.2008, n. 42114; Cass. pen., 15.2.2008, n. 11653.
17 Per una lettura critica della sentenza vedi Romeo, G., Le Sezioni unite sull’ammissibilità del ricorso straordinario per errore di fatto contro la sentenza di legittimità di parziale annullamento con rinvio, in www.penalecontemporaneo.it.
18 Cass. pen., S.U., 28.6.2005, n. 34655.
19 Cass. pen., 14.4.1999, n. 7018; Cass. pen., 21.10.1998, n. 13416.
20 Cass. pen., 20.3.2000, n. 2071.
21 Cass. pen. n. 37505/2011.